DOI: http://doi.org/10.6092/issn.2532-8816/10591

Abstract

La recensione si occupa di analizzare alcuni tra gli aspetti più rilevanti del volume di Mancinelli e Pierazzo pubblicato da Carocci. Partendo da una breve trattazione degli obiettivi del testo, ci si è proposti di delineare le caratteristiche principali: l’attenzione storiografica, la vocazione didattica e la propensione teorica e metodologica, evidenziando inoltre l’ampio spazio dedicato all’allestimento in concreto dell’edizione scientifica digitale. Si è deciso di sottolineare lo stato dell’arte presentato nel testo – che non vuole essere un catalogo di edizioni scientifiche digitali, ma un elenco ragionato delle esperienze più rappresentative – per permettere allo studioso di avere chiare le coordinate essenziali da cui muovono le autrici. In conclusione, si è riflettuto sull’incipit del testo, «Hic sunt leones», per rispondere alla domanda (implicita) che viene posta sin dal titolo del volume, ovvero che cosa sia in fondo questa edizione scientifica digitale.

The review analyzes some of the most relevant aspects of Mancinelli and Pierazzo’s book published by Carocci. Starting from a brief discussion of the objectives of the book, we outline its main characteristics: its attention to the historical context, the didactic vocation, and its theoretical and methodological focus. Another important aspect of the book is the generous space given to the description of how a digital scholarly edition is prepared. The state of the art presented in the text is not intended as a catalog of digital scholarly editions, but as a well-thought list of the most representative experiences, reported here to help the scholar better understand the main concepts. In conclusion, the review discusses the incipit of the text, «Hic sunt leones» to answer the (implicit) question posed by the title of the book, that is, what a digital scientific edition really is.

Obiettivi e contesto

Che cos’è un’edizione scientifica digitale, pubblicato da Carocci, si inserisce pienamente nella collezione di testi divulgativi della collana Le bussole che hanno come titolo una formula tanto semplice quanto complessa: «che cos’è» seguito dal nome di una disciplina o di un prodotto culturale, come ad esempio che cos’è una mostra d’arte (2019), che cos’è la storia della scienza (2019), che cos’è un testo letterario (2015), che cos’è la filologia d’autore (2010) e molti altri. Ciò che caratterizza questi testi è il tentativo di far orientare il lettore all’interno di campi spesso poco definiti oppure del tutto innovativi. Che cos’è la narrazione (2019), ad esempio, cerca di ridefinire il significato del narrare nell’epoca dello storytelling, mentre che cos’è una fanfiction (2019) o che cos’è una serie televisiva (2017) tentano di tratteggiare i punti essenziali di ambiti semisconosciuti al grande pubblico (perlomeno accademico). Che cos’è un’edizione scientifica digitale si caratterizza per il tentativo di delineare il profilo di una disciplina (filologia digitale) e di un prodotto culturale (l’edizione scientifica digitale) che sono allo stesso tempo indefiniti, sconosciuti e innovativi. L’obiettivo di questa Bussola è infatti quello di definire cosa sia un’edizione scientifica digitale attraverso riflessioni teoriche e consigli pratici e d’altronde le due autrici, Tiziana Mancinelli ed Elena Pierazzo, sono attive da diversi anni in questo campo: Mancinelli ha infatti lavorato presso il criLET con Giuseppe Gigliozzi, ha conseguito il dottorato all’Università di Reading con un’edizione digitale de La camera di letto di Attilio Bertolucci e si sta occupando dell’edizione digitale dei Documenti d’Amore; Pierazzo, invece, insegna a Grenoble Italian Studies e Digital Humanities e tra le sue pubblicazioni si ricordano La codifica dei testi. Un’introduzione (2006), Digital scholarly editing: Theories, models and methods (2015) e l’edizione critica digitale de Lo stufaiuolo (2015).

Articolazione, contenuto e metodologie

Che cos’è un’edizione scientifica digitale si articola in sette capitoli scritti rispettivamente da Mancinelli (capp. 2, 3 e 7) e Pierazzo (capp. 1, 4 e 5) con il sesto capitolo, la bibliografia, la sitografia e il glossario, invece, firmati da entrambe. Dalla suddivisione dei compiti appare chiaro il diverso apporto che le due studiose hanno dato: Pierazzo si è occupata di codifica e modellizzazione, quindi dell’aspetto più teorico, mentre Mancinelli ha elaborato uno stato dell’arte delle edizioni scientifiche digitali presentando anche una breve storia di queste. Sempre Mancinelli si è occupata poi della valutazione delle edizioni scientifiche digitali, mentre la responsabilità dei consigli pratici sull’allestimento delle edizioni è ricaduta su entrambe in egual misura. Se, per questioni di attribuzione, è importante che sia ben individuabile chi ha scritto cosa, il testo appare uniforme e non si ha l’impressione che una voce si distacchi dall’altra. Possiamo quindi pensare che il testo sia stato fortemente condiviso con un importante lavoro di rilettura, correzione e sintesi che lo ha reso uniforme. Per questioni pratiche attribuiremo la scrittura di volta in volta a una delle due autrici consapevoli che la stessa autorialità in un progetto condiviso come questo è qualcosa di molto sfumato. Passando ai contenuti, il punto di partenza del volume è la trattazione per esempi delle varie tipologie di edizioni. Mancinelli le descrive presentando un solo caso rappresentativo per ogni tipologia: per le edizioni documentarie e ipertestuali l’Electronic Beowulf; per gli archivi/edizioni multimediali William Blake Archive; per le edizioni genetiche, collaborative o sociali A Digital Archive of the Book of Disquiet e per le edizioni composite l’edizione digitale Carl Maria von Weber Gesamtausgabe. Per ognuno di questi vi è una sintesi degli obiettivi e della storia del progetto, seguita da una descrizione tecnica di notevole interesse (codifica XML/TEI, tecnologia web, tecnologia del Database). Grande attenzione poi al panorama italiano con la Commedia di Robinson, il Petrarchive di Storey, The Oregon Petrarch Open Book di Lollini, il Decameron Web dell’Università di Brown, il Codice Pelavicino, di Salvatore, Ricciardini, Balletto, Rosselli Del Turco, l’Adbrevatio artis grammaticae di Monella, Le lettere di Vespasiano da Bisticci di Tomasi, Stufaiuolo di Pierazzo e gli Scartafacci di Attilio Bertolucci di Longo. Questa trattazione si caratterizza per essere una vera e propria cartografia del panorama delle edizioni scientifiche digitali servendosi di un approccio che unisce dimensione storica e teorica. L’indagine storica si intreccia infatti con una tipologia teorica dell’edizione dove il punto di vista adottato è di volta in volta quello del metodo di lavoro, del metodo di presentazione dei dati e del metodo editoriale:

Le tipologie considerate, da un punto di vista dal metodo editoriale sono: edizioni documentarie; edizioni critiche; edizioni genetiche; edizioni composite. A seconda del metodo di lavoro, sono: edizioni collaborative; edizioni sociali. Secondo il metodo di presentazione dei dati, sono: edizioni ipertestuali; edizioni ipermediali. (Mancinelli-Pierazzo 2020, p. 19)

Accanto a questa tipologia viene sviluppata una storia delle edizioni digitali in quattro fasi: la fase iniziale di sperimentazione (Anni ’50 – 1978, conferenza di Parigi) con i primi tentativi di utilizzo delle tecnologie informatiche come l’automatizzazione della collazione che «ha in realtà fatto emergere come questo lavoro, sia, soprattutto, un’interpretazione qualitativa da parte dello studioso, prima ancora di un meccanico confronto di stringhe di caratteri» (Ivi, p. 34). La fase di consolidamento (Anni Settanta – 1996) ha invece visto nascere i primi progetti strutturati come le basi di dati CLIO, il Corpus dei Manoscritti Copti Letterari di Tito Orlandi e il progetto di Savoca sulle Concordanze della lingua italiana poetica dell’Otto e Novecento (CLIPON). «Sono gli esordi della biblioteca digitale e degli archivi di grandi quantità di testi» (Ivi, p. 36). È in questa fase che nasce la TEI – Text Encoding Initiative (Ivi, p. 37) anche se soltanto nella fase successiva si affermerà con la scelta dell’XML e la pubblicazione delle Guidelines. La terza fase (1996 – 2005) è poi caratterizzata dall’avvento del web e dall’affermazione dell’ipertesto, ma anche dalla pubblicazione in CD-ROM della prima edizione scientifica digitale, The Wife of Bath’s Prologue di Geoffrey Chaucer curata da Peter Robinson (Ivi, p. 39). Sono anni di grande fermento, in Italia nascono progetti come la LIZ (Letteratura Italiana Zanichelli), Liber Liber, TIL (sviluppata da CRIlet), Biblioteca Italiana e ALIM. La quarta e ultima fase (2005 – oggi) è la più complicata da definire dal momento che ci siamo ancora dentro e non è possibile avere una visione completa. Mancinelli, però, trova nell’interoperabilità, ovvero nella capacità delle tecnologie di comunicare e scambiare informazioni, la caratteristica dominante. Tra il 2005 e oggi è nato infatti il cosiddetto Web semantico e si sono sviluppate le ontologie (come lo standard della tripla di RDF), il GIS, la tecnologia per la geolocalizzazione, e IIIF, il framework per lo scambio di immagini (Ivi, pp. 44-45).

La dimensione storiografica va di pari passo con l’attenzione alle metodologie. Queste vengono descritte attraverso una serie di passaggi ben precisi: modellizzazione, digitalizzazione automatica (OCR) con correzione manuale oppure trascrizione/digitazione del testo, sviluppo di facsimili, codifica e collazione. Più nel dettaglio, il modello presentato da Pierazzo è quello sorgente-output dove la sorgente è il file codificato in XML/TEI e l’output è la pubblicazione (usualmente sul web attraverso un’interfaccia ben precisa). Per ognuno di questi passi vi è una trattazione concisa degli aspetti più rilevanti. Tra gli aspetti teorici da sottolineare meritano una menzione la differenza tra filologia digitale e filologia digitalizzata (ripresa da Patrick Sahle) e la distinzione tra edizione ergodica (E. Vanhoutte), plurima e work in progress. Per la prima, conviene citare direttamente la fonte:

[Vi è] una divisione concettuale fra due approcci diversi, il primo, che chiameremo “filologia digitale”, che ha come scopo quello di produrre ricerca innovativa sia nel campo filologico sia nel campo digitale, con una spiccata vocazione teorica e metodologica; il secondo, che chiameremo , che ha come scopo quello di produrre ricerca innovativa sia nel campo filologico sia nel campo digitale, con una spiccata vocazione teorica e metodologica; il secondo, che chiameremo filologia digitalizzata, che ha lo scopo di produrre innovazione testuale facendo uso di strumenti informatici a disposizione; quest’ultimo approccio potrebbe essere semplicemente definito filologia, dato che sempre più qualsiasi impresa scientifico editoriale fa, e a maggior ragione farà, uso di strumenti informatici sempre più sofisticati e adattati alla pratica filologica. (Ivi, pp. 86-87)

Per quanto riguarda la differenza tra edizione ergodica e plurima la questione si fa più sfumata. Se per ergodica si intende un’edizione che invita il lettore a «trovare la propria strada, il proprio percorso nel labirinto di possibilità offerte dall’edizione» (Ivi, p. 77), Pierazzo crede che la sola ergodicità non basti a garantire la scientificità dell’edizione. Bisogna infatti che «questa ergodicità sia controllata da un principio regolatore editoriale. È forse allora più corretto parlare di edizione plurima e assumere a priori che ogni edizione scientifica digitale sia in grado di presentare il testo in più di un modo» (Ivi, p. 78) L’edizione scientifica digitale, inoltre, è quasi sempre work in progress in quanto i filologi si trovano a pubblicare la propria edizione in momenti successivi, aggiornandola continuamente. Sia per questioni di tempo e di finanziamento, sia perché spesso diventa necessario correggere, integrare o comunque adattare le tecnologie all’hardware che cambia (per rispondere al rischio di obsolescenza che proietta la propria ombra minacciosa su tutti i progetti digitali), l’edizione sarà in futuro sempre più work in progress e sarà quindi necessario attuare delle buone pratiche per non compromettere la stabilità dell’edizione, come ad esempio il versioning, ovvero la pubblicazione delle diverse versioni (o di un indice delle modifiche apportate in ogni momento).

Infine, le autrici si soffermano sull’aspetto pratico – sugli strumenti e sui metodi che caratterizzano concretamente la produzione di edizioni scientifiche digitali (Ivi, pp. 89-96) – e sulla valutazione delle risorse digitali presentando alcune indicazioni utili per valutare la qualità delle edizioni scientifiche, come ad esempio la presenza di un modello esplicito di codifica, l’accuratezza (o meno) della nota al testo digitale, l’esplicitazione delle modalità della trascrizione o dell’OCR, la dichiarazione della tecnologia di collazione, senza dimenticare una nota sulle licenze (Ivi, pp. 99-108).

Conclusioni

L’incipit del volume di Mancinelli e Pierazzo, «Hic sunt leones» (Ivi, p. 9), riprende una locuzione latina presente nelle mappe medievali usata per descrivere le terre inesplorate. Secondo questa lettura, le edizioni scientifiche digitali somigliano a quei luoghi sconosciuti dove vivono animali quasi fantastici dalla natura ancora misteriosa. Il volume si propone allora di tratteggiare un profilo minimo rivolgendosi prevalentemente allo studente, al filologo tradizionale e al lettore desideroso di farsi un’idea sulla cosiddetta edizione scientifica digitale. Per questo le autrici, sin dall’inizio, non danno nulla per scontato – utilissimo a tal proposito il glossario a fine volume – e presentano definizioni chiare e precise: ad esempio, l’edizione scientifica viene descritta come «l’edizione di un testo del passato preparato e pubblicato seguendo principi e metodi rigorosi e documentati, tali per cui il lavoro dell’editore sia verificabile dal lettore» (Ibidem). Definizione che mantiene tutta la sua validità anche con l’avvento del digitale, pur cambiando metodi, strumenti e tecniche. Da questa stessa citazione si può inoltre intravedere la vocazione didattica delle due autrici senza che questo porti a una banalizzazione dei contenuti. Anzi, lo stato dell’arte tratteggiato è quanto di più rappresentativo ci sia, così come la descrizione della metodologia sorgente-output con l’esplicitazione di ogni step. Come ogni Bussola che si rispetti questo saggio riesce a unire sintesi, rigore scientifico ed esaustività – non volendo essere un catalogo ma più una sorta di breviario – esprimendo inoltre un’identità ben precisa, sebbene sia stato scritto a quattro mani. Il volume riesce infine a rispettare la promessa del titolo, rispondere all’interrogativo (implicito) di partenza su cosa sia un’edizione scientifica digitale, facendo sì che nella cartografia del sapere la regione delle edizioni scientifiche digitali non sia più quella sconosciuta dei leoni fantastici, ma una regione di cui si conoscono pienamente i tratti fondamentali.