DOI: http://doi.org/10.6092/issn.2532-8816/12623

Abstract

Le Digital Humanities hanno maturato con il tempo una forte consapevolezza del ruolo che in esse gioca il rapporto tra discipline umanistiche e ricerca informatica. Il dibattito interno all’ambito delle DH, però, ancora trascura il ruolo che dovrebbe avere il Project Management nella definizione di modelli, metodologie e strumenti utilizzati nelle ricerche umanistiche. Una simile mancanza si manifesta nonostante da più parti si sottolinei la centralità della dimensione del progetto che le caratterizza. Questo articolo vuole portare un proprio contributo alla riflessione su questi temi e lo fa a partire dall’esperienza del progetto PhiBor. La gestione del progetto ha messo in rilievo i benefici che alcune tecniche di project management, come il tracciamento delle attività, possono portare allo sviluppo della ricerca umanistica e, in particolare, alla creazione di un’edizione critica digitale. Tali benefici si riversano sia sulla definizione delle metodologie da seguire sia sull’individuazione di variabili e criticità che influenzano il lavoro di ricerca.

Over time, Digital Humanities have increasingly proven a powerful link between humanities and computer science. However, the internal debate within DH still leaves out the role that Project Management should play in defining models, methodologies and tools which are used in humanistic research. Despite the recognition of the important role of the project by scholars in the field, the project management is often ignored. This article aims to bring to light its contribution by taking into account each of the issues, starting from the experience of the PhiBor project. Managing the PhiBor project has highlighted some of the benefits resulting from project management techniques. These include activity tracking which can lead to the development of humanistic research and, in particular, the creation of a scholarly digital edition. These benefits concern both the definition of methodologies to be followed and the identification of variables and critical issues that influence the research.

1. Digital Humanities e Project Management

Il presente articolo si concentra sulla tracciabilità di attività coinvolte nella creazione di un’edizione critica. L’intento è di fornire degli spunti che possano contribuire alla riflessione se sia possibile e, nel caso, come e riguardo a che cosa, tracciare e misurare attività spesso svolte in modo autonomo e per le quali si presentano solo le metodologie utilizzate e gli scopi perseguiti. Le tecniche di tracciamento rientrano nella sfera del Project Management, il quale meriterebbe maggiore spazio nel dibattito interno alle Digital Humanities.

L’incontro tra le discipline umanistiche e la ricerca informatica ha alimentato nel corso degli anni un intenso dibattito sul loro rapporto e sulla denominazione di una disciplina autonoma. Molti sono gli interventi che hanno provato a delineare una storia della nuova disciplina e il suo stato dell’arte (a titolo di esempio , , , ). Le posizioni dei vari studiosi si differenziano spesso sulla denominazione e, di conseguenza, su quali siano i suoi confini e il suo oggetto di studio. Sia che si parli di Digital Humanities sia che si parli di Humanities Computing, in molti emerge un aspetto comune: l’incontro tra discipline umanistiche e tecnologie informatiche ha determinato una ridefinizione, o perlomeno un riadattamento, dei propri modelli, metodologie e strategie di ricerca da parte delle prime.

Dal punto di vista di questo contributo, l’aspetto più interessante su cui focalizzare l’attenzione è, appunto, il nuovo approccio seguito dagli umanisti nelle loro ricerche e nel trattare il proprio oggetto di studio. In quest’ottica preferisco l’uso di Digital Humanities, seguendo Svensson quando afferma:

This is not to suggest a well-defined and delimited academic field outside of the traditional humanities disciplines, but rather an inclusive notion that will allow us to talk about different kinds of initiatives and activities in the intersection between the humanities and information technology or the digital. ( :12).

Anche quando la consapevolezza delle implicazioni e delle potenzialità non è completa, l’umanista è pronto a confrontarsi con strumenti, metodologie e modelli, nati dall’interazione con l’informatica. Se il dialogo tra i dati umanistici e il calcolo è ben avviato nella ricerca umanistica ( : 8), lo stesso non si può dire su un altro possibile dialogo: quello tra le attività umanistiche e la gestione. Affinché questo dialogo possa svilupparsi, viene richiesto agli umanisti lo stesso sforzo di apertura verso le tecniche di project management.

Qualsiasi ricerca implica una qualche forma di gestione e questo vale in modo particolare nell’ambito delle Digital Humanities, come sottolineano Burdick, Drucker, Lunenfeld, Presner e Schnapp quando titolano un capitolo del loro Digital_Humanities The project as basic unit ( : 124-125). Nello stesso tempo, però, è sostenibile l’affermazione di Ermolaev, Munson, Xinyi e Siemens secondo cui è poco valorizzata la parola management, quando si riflette e si analizzano i principi e i modelli che devono sostenere la ricerca umanistica digitale ( : 116). Questa sottovalutazione è evidenziata anche da Reed quando afferma che il più delle volte i principi del project management vengono presentati agli umanisti digitali sotto forma di basic principles, tips and tricks, top-ten lists ( : 1).

La mancanza di un vero dibattito del ruolo che può giocare il Project Management nello sviluppo delle Digital Humanities è testimoniata anche dalla difficoltà di trovare contributi, articoli ecc. in cui vengano analizzate le attività svolte in relazione alle metriche di tracciamento che non riguardino l’oggetto di studio stesso della ricerca. Tra le eccezioni vanno annoverati i contributi di Causer e altri ( ; ) in cui vengono riportate le analisi e le metriche delle attività svolte nell’ambito del progetto Transcribe Bentham. L’esigenza di una simile analisi non poteva non imporsi agli autori dal momento che si tratta di un progetto di crowdsourcing dove diventa necessario un monitoraggio e una verifica delle attività svolte da un alto numero di partecipanti volontari aventi alle spalle una formazione molto varia.

L’esperienza del progetto Transcribe Bentham permette di fare emergere un’idea spesso implicita nei contributi di chi parla di progetti o interessati a valorizzare il ruolo del project management all’interno delle Digital Humanities. L’idea è che il project management sia necessario solo quando i progetti sono importanti per dimensione e richiedono la collaborazione di più persone.

A project is a kind of scholarship that requires design, management, negotiation, and collaboration. ( : 124).

Of course project-based scholarship is not born with Digital Humanities, but that in the same way as collaboration, it is quantitatively bigger and qualitatively deeper than other disciplines in the Humanities ( : 207).

But it is precisely those practices and standards that are most hidden from immediate view—those considered to be implicit, assumed, or already mastered—that should be most assiduously excavated and explored by scholars wishing to further the collaborative work of the digital humanities ( : 7).

Il fatto che questo contributo riporti l’esperienza di un progetto collaborativo e di grandi dimensioni qual è il progetto PhiBor non deve trarre in inganno. L’esperienza di PhiBor è un’occasione per sottolineare, al contrario, che il project management non è solo un’applicazione di tecniche e uso di strumenti che consentono di pianificare, visionare e tenere sotto controllo risorse, ma dovrebbe essere prima di tutto un approccio, un’attitudine a organizzare e svolgere attività, a qualsiasi livello e di qualsiasi natura. Se è auspicabile prevedere un project manager per una gestione del progetto nel suo complesso ( : 4), allo stesso tempo ogni partecipante al progetto dovrebbe sviluppare quelle soft skills, implicit skills che gli consentano di approcciare le attività in modo organizzato e misurabile.

In questo senso bisogna prendere le distanze anche da un’altra idea evidenziabile dai contributi sul rapporto tra progetto e le discipline umanistiche digitali e che sembra emergere anche dal passo citato sopra della Pierazzo. Il più delle volte il ruolo del project management si giustifica col fatto che un progetto umanistico digitale si caratterizza per la sua multidisciplinarità. Quindi, sembra quasi che la gestione interessi il progetto nella sua interezza e che sia utile a far convivere e interagire persone con una formazione scientifica differente.

The essential challenge facing the project manager—to coordinate actions across a team’s heterogeneous backgrounds, requirements and skill sets—is foregrounded in Digital Humanities projects. ( : 116).

[…] managing a complex interplay between digital and humanistic aspects of DH projects requires consideration of insights and methods from different disciplines. ( : 2).

In realtà, un progetto potrebbe essere immaginato come un frattale, dove ogni attività, indipendentemente dalla sua scala, richiede l’applicazione di modelli e strategie di gestione. Certo, le attività coinvolte in un progetto di Digital Humanities sono molteplici e presentano peculiarità che richiedono dei modelli adeguati, ma non è più opportuno restringere la loro applicazione alla pianificazione complessiva del progetto o alle attività tecniche o al solo contenuto e materiale o all’interazione tra tecnici e umanisti. La necessità di gestire le attività prettamente umanistiche è già ben chiara nel modello ibrido presentato da Tabak:

The hybrid model proposes that any DH project must include three basic roles: a role that corresponds to the digital aspects of DH, another one related to the humanities aspects of DH, and a role that combine both digital and humanistic aspects of a DH project. ( : 37).

Se si prende coscienza dell’importanza del ruolo del project management nello sviluppo di progetti di umanistica digitale, è possibile passare a restringere lo sguardo su aspetti particolari di questo rapporto, come quello proposto dal presente contributo: le tecniche di tracciamento.

La riflessione su questo tema parte dal chiedersi le ragioni che giustificano questa pratica (capitolo 2), prosegue col mostrare un’esperienza concreta di applicazione di tracciamento (capitolo 3) e si conclude col chiedersi se l’esigenza di gestire le attività, oltre al contenuto, possa determinare un diverso sviluppo di strumenti pensati per lo svolgimento di attività umanistiche (capitolo 4).

2. Tracciare le attività di un’edizione critica

Il dialogo tra le Digital Humanities e il Project Management è più naturale di quanto si possa pensare. Essi sono accomunati anzitutto dallo stesso obiettivo. Qualsiasi progetto di ricerca si prefigge di essere futurity, as something which is not yet ( : 124), in definitiva di essere innovativo, perché è un processo con il quale si ottiene un nuovo risultato finale ( : 39). Il project management a sua volta va considerato come strumento di gestione dell’innovazione, perché mira al raggiungimento di risultati ( : 37-41):

The purpose of project management is to leverage and coordinate the creativity and effort of human beings in a common commitment to accomplish a shared goal. ( : 116).

Un altro punto di contatto è rappresentato dalle fasi che caratterizzano sia un progetto sia il project management. Con le dovute differenze, si può sostenere che l’affermazione sia valida sia quando si prende il project management nella sua veste classica: concezione, definizione, pianificazione, programmazione, esecuzione, monitoraggio e controllo ( : 28-31); sia quando lo si prende nella sua veste agile: The naming of stages as visioning, speculating, innovating, collaborating, or learning stresses the significance of specific features of agile projects such as adaptive planning, extensive collaboration, constant learning, incremental development, and modularity. These features are also common to DH research projects. ( : 16).

Resta da chiedersi come conciliare una visione classica, in cui [a] ‘project’ constitutes a single manageable unit […] which can be completed in a predictable time ( : 876), e una visione agile, in cui the goal [of a DH project] is not to produce the planned but rather the desired result, the outcomes of a DH research project are more unpredictable. ( : 18). La dicotomia tra prevedibilità e imprevedibilità, tra pianificato e desiderato potrebbe essere superata dalla pratica del tracciamento delle attività svolte in un progetto, e, parlando di un’edizione critica, anche di quelle specificamente umanistiche che vanno dalla recensio alla constitutio textus.

La tracciabilità del lavoro di ricerca e di sviluppo di progetti di umanistica digitale è molto importante, perché consente di riciclare modelli, metodologie e pratiche che possono rendere quei progetti sostenibili ( : 7.00-8.00, 17.00-19.00). Quando si parla di tracciamento, però, non bisogna limitarsi a documentare e a elencare le attività svolte. Queste possono dare informazioni utili se vengono anche accompagnate dall’indicazione del tempo impiegato, del numero di persone coinvolte, della quantità di materiale trattato e, soprattutto, dalle metodologie usate per tracciarle.

Tracciare un’attività impone subito il problema della sua definizione: cosa deve fare e qual è il suo obiettivo. Nell’ambito del project management parlare di obiettivo significa parlare di qualcosa che deve essere SMART, cioè deve essere Simple (semplice), Measurable (misurabile), Achievable (raggiungibile/attuabile), Realistic (realistico) Timelined (tempificato) ( : 120). Queste categorie possono creare delle difficoltà in un ambito come quello dei progetti di umanistica digitale che si caratterizzano per essere iterativi, modulari e incrementali ( : 18). Una simile difficoltà potrebbe spingere a pensare che sia superfluo se non inutile tracciare il lavoro umanistico digitale e, in particolare, quello umanistico. In realtà, proprio perché è un continuo ripianificare e rivalutare i risultati che si vogliono raggiungere, diventa necessario basarsi su dei dati che possano orientare tra le criticità, le ridefinizioni degli obiettivi e le ricalibrature delle attività in lavoro in corso.

L’esigenza di semplicità comporta un lavoro di astrazione e di generalizzazione volto a individuare in una determinata attività tutti i compiti necessari a svolgerla. Quanto più saranno chiari e ben definiti i compiti, tanto più l’attività potrà essere realistica e attuabile. Un simile risultato consente di relazionarsi in modo efficace anche con le altre categorie della misurabilità e della tempificazione.

Tempificare un’attività non deve ridursi semplicemente a fissare una scadenza. È un aspetto, questo, importante, soprattutto in ottica di progetti finanziati, ma dal momento che si ha a che fare con attività fluide, la scadenza di partenza potrebbe subire slittamenti e oscillazioni. Per affrontare una simile incertezza, sarebbe opportuno abituarsi a tempificare le attività in chiave di registrazione quotidiana del lavoro svolto. In pratica, ogni curatore di un’edizione dovrebbe sviluppare l’attitudine a registrare il momento in cui inizia e il momento in cui termina il suo dedicarsi ad una determinata attività, fino a che non possa considerarsi conclusa.

La registrazione del tempo potrebbe aiutare a formulare delle previsioni per confrontarle con la scadenza fissata, e questo sarebbe utile a capire se ci sono delle difficoltà da superare e se è necessario attuare degli aggiustamenti. Inoltre, una simile pratica andrebbe incontro all’esigenza del riciclo, come si diceva sopra. Infatti, avere una tabella il più dettagliata possibile dei tempi richiesti per svolgere determinate attività, aiuterebbe molto di più che affidarsi alla percezione soggettiva nel fissare scadenze per progetti futuri dello stesso genere.

La creazione di un vero e proprio diario di attività richiede l’individuazione di compiti misurabili, cioè bisogna definire delle unità di misura sulla base delle quali è possibile stabilire il momento in cui far partire la registrazione del tempo e il momento in cui fermarla. Come vedremo nel prossimo capitolo, questa operazione non è sempre facile; non sempre l’unità è ben definibile e a volte sembra oscillante, cioè in alcune fasi dell’attività sembra più naturale misurare un aspetto e in altre fasi misurarne altri. È probabile che in diversi casi la difficoltà sia superabile attuando un lavoro di astrazione più fine in grado di elaborare un modello che soddisfi le esigenze della misurazione.

Un’altra necessità di cui tener conto nella definizione delle unità di misura è quella di stabilire delle unità per cui il tempo necessario a registrare l’attività non vada a pesare troppo sul tempo necessario a compiere l’attività stessa. In tal caso, bisogna chiedersi cosa sia più conveniente fare: perdere tracce del lavoro svolto o allungare il tempo di realizzazione? E qual è la percentuale sostenibile di tempo in più? Come è intuibile, il tempo di registrazione varia non solo in base al modello definito dei compiti da tracciare, ma anche in base agli strumenti utilizzati.

Affinché il lavoro di tracciamento possa contribuire al lavoro di ricerca umanistica, è necessario mutare l’approccio nei confronti di queste pratiche. Anzitutto, gli umanisti sono chiamati a liberarsi di alcuni timori che possono insorgere nel rapportarsi al project management. Come rilevato anche da altri autori, essi possono considerare queste pratiche come qualcosa di freddo e orientato al profitto ( : 116) o semplicemente un altro sacrificio della qualità nei confronti della quantità ( : vii) o, addirittura, una forma di controllo non del lavoro ma dei curatori coinvolti.

Tracciare le attività di un’edizione critica dovrebbe diventare una pratica di lavoro che consenta di determinare una nuova convergenza tra le categorie della qualità e della quantità ( : vii). La quantità di dati raccolti può diventare quella base sulla quale svolgere analisi in grado di fare risaltare le variabili che influenzano il lavoro digitale umanistico. La conseguenza sarebbe un contributo alla qualità del lavoro fornendo informazioni utili a migliorare metodologie, modelli e strumenti usati.

3. L’esperienza di PhiBor

3.1 Workflow

Il progetto PhiBor è un progetto finanziato tra il 2014 e il 2019 dall’European Research Council, diretto da Amos Bertolacci e ospitato prima dalla Scuola Normale Superiore di Pisa e ora dall’IMT Scuola Alti Studi di Lucca. I suoi due obiettivi principali consistono nella realizzazione di un inventario completo dei manoscritti conservanti l’Ilāhiyyāt di Avicenna e la realizzazione di un’edizione critica digitale del suo testo arabo.

È ormai consolidata la consapevolezza che i modelli sono fondamentali per la realizzazione di un progetto di umanistica digitale e che essi rispecchiano, tra le altre cose, le finalità del progetto. In base alle finalità nominate sopra, si può rappresentare il workflow di PhiBor con uno schema come in .

Il verso delle frecce indica semplicemente il fatto che ogni fase produce dei risultati che diventano dati su cui si lavora nella fase successiva, ma ogni fase seguente può influire su quella precedente, innescando quel processo iterativo che rende essenziale una gestione del flusso nella sua interezza e delle sue singole attività. Ai fini di questo articolo, verranno prese in considerazione alcune attività svolte nelle fasi che vanno dalla recensio alla constitutio textus, ma prima di parlare del loro tracciamento è opportuno fare delle precisazioni preliminari.

Workflow di PhiBor

Workflow di PhiBor

L’edizione critica del testo avicenniano viene realizzata attraverso un editor specificamente sviluppato per il progetto, chiamato CEED ( ), il quale consente una marcatura del testo in modo trasparente. Quindi, quando si parla di codifica in questo contesto, si intende l’individuazione dei fenomeni interessanti per il progetto e segnati nel testo tramite dei marcatori di CEED, i quali vengono mappati nei formati utili in fase di output (HTML, TEI). Alcune attività della recensio e la collazione del testo sono esse stesse una parte della codifica, in quanto consistono nell’individuazione di lemmi racchiusi tra marcatori e relative varianti caratterizzate dagli attributi di lettura variante, testimone/mano, causa che determina la varianza, grado di certezza, lingua della lettura e note filologiche. Altri fenomeni di interesse sono, ad esempio, la struttura logica del testo, interventi critici, note esegetiche, fonti di Avicenna, passi paralleli di altre opere di Avicenna e passi dell’Ilāhiyyāt recepiti da autori successivi.

La costruzione dell’edizione critica è ancora in corso e allo stato attuale sul sito dei risultati del progetto (https://www.avicennaproject.eu/) è pubblicato l’intero testo arabo, basato sull’edizione del Cairo, con la sua struttura logica, mentre la ricostruzione critica del testo si limita per il momento al primo trattato dell’opera, per il quale vengono presentati: l’apparato critico, le traduzioni latina e inglese e l’apparato delle note esegetiche. Al momento, i curatori stanno lavorando alla ricostruzione critica dei due trattati successivi.

3.2 Modello di tracciamento

Per le fasi di lavoro coinvolte tra la recensio e la constitutio textus, sono state definite le seguenti attività:

  1. trascrizione del testimone di riferimento;

  2. test di collazione;

  3. collazione di un campione;

  4. analisi dei dati di collazione del campione;

  5. costruzione dello stemma dei testimoni;

    1. stemma generale, che comprende 192 testimoni;

    2. selezione di 18 testimoni su cui si basa la constitutio textus;

  6. collazione dell’intero testo sulla base dei 18 testimoni selezionati;

  7. costituzione del testo critico con l’aiuto dello stemma dei 18 testimoni;

  8. strutturazione del testo arabo;

  9. traduzione inglese del testo critico;

  10. strutturazione del testo inglese e latino;

  11. inserimento di note esegetiche nel testo arabo;

  12. individuazione e codifica nel testo arabo di passi fonti, paralleli e recepiti;

  13. revisione.

Le attività elencate possono essere svolte non nell’ordine indicato: alcune possono essere svolte in parallelo, altre prima o dopo ad altre a seconda dell’andamento del lavoro e del materiale a disposizione. Inoltre, alcune sono più facilmente tracciabili di altre e nel caso di PhiBor alcune non sono state tracciate.

Le attività tracciate sono il test di collazione, la collazione del campione e dell’intero testo, la strutturazione dei testi arabo, inglese e latino; solo in parte è stata tracciata l’attività di revisione. L’attività 12 non è ancora iniziata, ma come si vedrà fra breve si pone un problema di definizione dell’unità di misura.

Modello di tracciamento in PhiBor

Modello di tracciamento in PhiBor

Per il tracciamento viene proposto un modello come quello mostrato nella . Esso si compone di una serie di sessioni di lavoro per le quali vengono registrati i valori relativi a diverse entità.

Sono previste delle entità necessarie, cioè entità richieste affinché il tracciamento possa fornire dati utili all’analisi dell’attività. Tra le entità necessarie si possono distinguere entità fisse ed entità variabili. Le prime hanno una validità generale e possono essere comuni a qualsiasi progetto; esse sono: il curatore; l’ora di inizio e ora di fine sessione; lo stato del lavoro. Le seconde possono cambiare sia da progetto a progetto sia da attività ad attività dello stesso progetto, perché dipendenti dall’oggetto. Per oggetto si intende ciò su cui viene svolta l’attività. L’unità di misura è la quantità di oggetto minima su cui vengono misurate le sessioni di lavoro. Una buona unità di misura dovrebbe presentare tre caratteristiche:

  1. limite definito della sua estensione;

  2. estensione sufficientemente ampia per dare continuità all’attività;

  3. numero di unità da misurare definito prima che l’attività inizi.

Si può notare che in questo contesto l’unità di misura è solo una grandezza di riferimento che consente di stabilire l’inizio e la fine di una sessione, ma non ha una caratteristica di uniformità. Ogni unità di misura può variare nella quantità di componenti, i quali potranno poi essere utilizzati insieme alle unità stesse ai fini di analisi statistiche (vedere i paragrafi successivi).

Le entità funzionali, sono entità che possono essere trascurate nel tracciamento, ma che sono utili ad affinare le misurazioni. Tra le entità funzionali si evidenzia l’indicazione della presenza o meno dell’unità di misura, perché potrebbe rendere i dati tracciati più riciclabili per progetti futuri. Supponendo di avere come unità di misura un campione di testo per svolgere le attività di collazione, registrare che sono stati collazionati 100 testimoni su un campione senza indicare in quali testimoni il campione è presente o è assente, potrebbe dare un’informazione vaga della quantità di testo collazionato e, di conseguenza, rendere le informazioni temporali poco significative. Naturalmente, i tempi possono dipendere anche da altre variabili, come ad esempio le condizioni di leggibilità dei testimoni dovute allo stato di conservazione o alla qualità della riproduzione ecc. Quando si decide di introdurre delle entità funzionali, bisogna valutare anche quanta complessità introduce nell’attività di tracciamento così da andare a pesare sul tempo per svolgerla, come già accennato sopra.

Prima di passare alle metriche delle attività tracciate in PhiBor, sono necessari alcune chiarificazioni per orientarsi tra i dati:

  1. nel corso del progetto c’è stato un turn-over di curatori;

  2. la maggior parte dei curatori ha lavorato part-time all’edizione del testo;

  3. il modello dei dati registrati ha subito nel tempo qualche modifica;

  4. i dati sono suscettibili di imprecisioni dovute a una registrazione delle sessioni non sempre costante e uniforme tra i vari curatori;

  5. i curatori hanno un background differente (alcuni sono filosofi, altri filologi).

I limiti elencati non inficiano, comunque, l’attendibilità delle informazioni che si possono ricavare dai dati registrati, i quali consentono di ragionare sulle variabili che influenzano le tipiche attività svolte per ottenere un’edizione critica.

3.3 Test di collazione

Il test è consistito nella collazione di un campione di testo composto da circa 430 tokens. Il campione ha rappresentato l’unità di misura ai fini della registrazione delle sessioni con un’estensione pari al numero di tokens che lo compongono.

Il campione è stato estratto da una porzione centrale del testo a cavallo di due capitoli, perché più utile a far emergere possibili criticità da tener conto in fase di collazione. La collazione è stata svolta da 6 curatori e ha coinvolto 35 manoscritti divisi in due gruppi:

  1. 5 mss comuni ai 6 curatori

  2. 30 mss distribuiti a gruppi di 5 per ogni curatore.

Tra gli obiettivi del test vi è anzitutto quello di uniformare i criteri di definizione dei lemmi tra i vari curatori. In secondo luogo, era necessario definire le metodologie da usare in fase di collazione. Infine, si aveva l’intenzione di verificare la differenza dei tempi necessari per registrare le varianti: a) riportando un’annotazione sulle immagini dei testimoni; b) non riportando l’annotazione sulle immagini.

Sulla base delle registrazioni compiute sono stati ottenuti dati in parte riportati nella , i quali sono utili per alcune riflessioni.

Curatore Ore tot. Mss Mss+Ann Aumento % N. Tokens Giorni lavorati Giorni lavorativi G.Lt/G.Lv %

C. 1

16:56

6:51

10:05

19,09

4.300

8

10

20,00%

C. 2

24:15

11:30

12:45

5,15

4.300

11

11

0,00%

C. 3

23:57

11:18

12:39

5,64

3.870

9

12

25,00%

C. 4

11.28

6:51

4:37

-19,48

4.300

6

7

14,29%

C. 5

10:56

3:40

7:16

32,93

4.300

6

8

25,00%

C. 6

18:25

7:02

11:23

23,62

4.300

7

11

36,36%

Dati del test di collazione.

Analizzando i dati, emerge che l’attività di test non ha richiesto, in termini assoluti, molto tempo. Le ore necessarie al suo completamento sono state circa 25, ma distribuite su circa 10 giorni. Questo dato fa emergere una variabile importante nell’ambito dei progetti accademici, in generale, e umanisti, in particolare. Come rilevano Ermolaev et al. ( : 116), il più delle volte i membri del team di un progetto possono dedicare solo una parte del loro tempo a determinate attività, perché coinvolti contemporaneamente in altre attività interne ed esterne al progetto (ancora più evidente nei dati riferiti alle attività di collazione del campione e testo del primo trattato).

Ai fini del test, il dato più importante è l’aumento di tempo necessario a registrare le varianti sia sul testo sia sulle immagini dei testimoni. Anche se prevedibile, il tasso di aumento, oscillante tra il 5 e il 33 per cento circa, ha suggerito di non procedere alla doppia registrazione per assicurarsi di avere almeno parte del testo critico pronto in vista della scadenza del progetto. Un simile dato è in parte dovuto allo stato di sviluppo degli strumenti usati per compiere la catalogazione dei manoscritti e l’editor, i quali rendevano la doppia registrazione troppo macchinosa. In ogni caso, il tracciamento dell’attività è un esempio di quanto sia stato utile per PhiBor raccogliere dati dettagliati. Infatti, essi hanno rappresentato una base oggettiva per ottenere delle proiezioni dei tempi necessari al completamento della successiva attività di collazione e pianificare un obiettivo raggiungibile entro le scadenze del progetto. La misurazione è stata fondamentale, perché qualche curatore, prima di iniziare il test, si aspettava dei tempi molto più ristretti per realizzare la doppia registrazione delle varianti. Le misurazioni, invece, hanno smentito la percezione soggettiva ed evitato di iniziare la collazione con una metodologia che si sarebbe rivelata controproducente e destinata, quindi, a essere modificata in corso d’opera.

Per passare all’analisi dei dati dell’attività di collazione del campione e del testo, è opportuno chiarire un altro dato elencato sopra, il quale è utilizzato anche per le descrizioni successive. Il numero di tokens collazionati è dato dal numero di token del campione moltiplicato con il numero di testimoni utilizzati. E come si può notare nel caso del curatore 3 si hanno meno tokens, perché un testimone presentava una lacuna in corrispondenza del campione. Questa informazione mette in rilievo la differenza tra quantità ipotetica di testo trattato e quantità di testo più vicina alla realtà. Il dato è ottenibile in virtù dell’uso dell’entità presenza dell’unità, come sottolineato nel paragrafo precedente, infatti aver registrato l’assenza del campione ha consentito di calcolare i tokens collazionati al netto di quelli mancanti. Il dato sarà molto più significativo per le attività di collazione descritte di seguito.

3.4 Collazione del campione e del testo

I dati ottenuti dal tracciamento dell’attività di collazione del campione (sulla base della quale è stato ricostruito lo stemma dei codici) e del primo trattato dell’opera (basata su un sottoinsieme di testimoni componenti lo stemma) consentono di estrarre altre informazioni interessanti intorno alle attività svolte. I dati sono riportati nelle e .

Curatore Ore tot. Tokens ipotetici Tokens collazionati Giorni lavorati Giorni lavorativi G.Lt/G.Lv

C. 1

220:58

107.670

95.788

56

162

34,57%

C. 2

312:43

105.894

91.343

123

153

80,39%

C. 3

323:30

116.025

94.500

47

88

53,41%

C. 4

125:07

102.102

90.321

39

86

45,35%

C. 5

175:17

105.196

93.296

50

53

94,34%

Dati collazione del campione
Curatore Ore tot. Tokens ipotetici Tokens collazionati Giorni lavorati Giorni lavorativi G.Lt/G.Lv

C. 1

104:10

33.991

32.202

23

36

63,89%

C. 2

185:49

77.159

73.098

28

29

96,55%

C. 3

114:34

29.165

27.630

29

38

76,32%

C. 4

52:01

44.612

41.285

13

22

59,09%

C. 5

69:58

33.573

31.806

13

24

54,17%

Dati collazione trattato 1

Il campione è composto da passi estratti da 5 trattati differenti: estr. 1 (477 tokens); estr. 2 (485 tokens); estr. 3 (462 tokens); estr. 4 (476 tokens); estr. 5 (525 tokens). Ogni estratto è stato collazionato da 1 curatore diverso.

L’unità di misura utilizzata per tracciare la sessione di lavoro è, come intuibile, il campione, il quale è stato collazionato sulla base di 224 testimoni, così articolati:

Il primo trattato dell’Ilāhiyyāt è composto da 8 capitoli e l’unità di misura, ai fini della registrazione delle sessioni di lavoro, è rappresentato dal capitolo. La collazione è stata eseguita dagli stessi 5 curatori sulla base di 19 testimoni: 16 manoscritti; l’edizione del Cairo; la fonte di tradizione indiretta (Lawkarī); la traduzione latina.

Dai dati salta agli occhi una variabile che influenza il lavoro sull’edizione critica e che è stata già richiamata sopra. Le percentuali dei giorni lavorati rispetto ai giorni lavorativi, componenti il periodo di collazione, mostrano come spesso i membri di un team di un progetto accademico possono dedicare solo una parte del loro tempo a specifiche attività. I casi più eclatanti sono quelli dei curatori 1 e 5, dove si nota una percentuale invertita tra le due attività, a dimostrazione che in una delle due attività sono stati impegnati contemporaneamente in altre attività interne ed esterne al progetto più del solito.

Gli stessi dati mostrano quanto sia importante la segnalazione della presenza o meno dell’unità di misura nel tracciare l’attività di collazione per un’edizione basata su una tradizione massiva come nel caso di PhiBor. Il numero di tokens collazionati risulta dal 5% al 7% in meno rispetto al numero di tokens ipotetici, per arrivare a punte del 20% circa nel caso del campione. Questa variazione è utile a comprendere il ruolo che ha l’aumento di tokens sull’attività di collazione e a tal fine sono utili i dati della e i grafici nelle e .

Curatore OreCampione Toks Coll. SuToks Ipot. Toks Coll. OreTrattato 1 Toks Coll. SuToks Ipot. Toks Coll.

C. 1

220:58

89%

95.788

104:10

95%

32.202

C. 2

312:43

86%

91.343

185:49

95%

73.098

C. 3

323:30

81%

94.500

114:34

95%

27.630

C. 4

125:07

88%

90.321

52:01

93%

41.285

C. 5

175:17

89%

93.296

69:58

95%

31.806

Correlazione

-0,74

0,43

Correlazione

0,58

0,73

Correlazione tra: 1) ore e rapporto tra tokens collazionati e ipotetici; 2) ore e tokens collazionati.

Grafico della correlazione tra ore rapporto dei tokens collazionati e ipotetici

Grafico della correlazione tra ore e rapporto dei tokens collazionati e ipotetici.

Grafico della correlazione tra ore numero di tokens

Grafico della correlazione tra ore e numero di tokens.

Le correlazioni tra i tempi di collazione e il rapporto tra i tokens collazionati e quelli ipotetici, e tra i tempi e il numero di tokens collazionati confermano due aspetti intuibili. Anzitutto, all'aumentare delle lacune nel testo corrisponde una diminuzione dei tempi di collazione. Infatti, è possibile notare come, sotto una certa percentuale del rapporto tokens collazionati e tokens ipotetici, nel campione si verifichi una correlazione negativa con l’aumentare dei tempi ( , ). Inoltre, le corrispondenze dei tempi rispetto al numero di tokens collazionati conferma il fatto che all'aumentare dei tokens aumentano i tempi ( , ). In questo caso, però, si può notare qualcosa di più interessante: nonostante siano stati collazionati più tokens nel campione rispetto al trattato 1, l’indice di correlazione è maggiore per il trattato (0,73 contro il 0,43). Quindi, sembra di poter dire che a parità di tokens si impiega meno tempo a collazionare un testo breve su un maggiore numero di testimoni piuttosto che un testo più esteso su un numero minore di testimoni. Una delle ragioni che spiegano questa tendenza è data dalla crescente ripetitività delle varianti, la cui registrazione richiede in proporzione minor tempo dopo un certo numero di testimoni.

L’ultima conclusione sembra essere confermata anche dalle percentuali di ore impiegate rispetto alle percentuali di tokens rapportando il campione al trattato, come mostrato nella e nella .

Curatore Ore Tr.SuOre Camp. Toks. Tr.SuToks. Camp.

C. 1

47%

34%

C. 2

59%

79%

C. 3

35%

29%

C. 4

42%

46%

C. 5

40%

34%

Rapporto trattato-campione

Rapporto ore e tokens tra trattato e campione

Rapporto ore e tokens tra trattato e campione

Dai dati si può osservare che per i curatori 2 e 4 il rapporto dei tokens collazionati tra il trattato e il campione è maggiore del rapporto delle ore impiegate, a differenza degli altri curatori. Questa differenza si può spiegare in parte per un numero maggiore di lacune nel campione rispetto alle lacune presenti nel trattato per la porzione di testo considerata. Questa tendenza viene smentita dal terzo curatore, il cui campione è quello che presenta il maggior numero di lacune rispetto a tutti gli altri. L’eccezione consente di far emergere l’entrata in gioco di altre variabili nell’attività di collazione, le quali si pongono su un piano più qualitativo che quantitativo.

Una variabile difficilmente misurabile, ma che può influire sull’andamento di un’attività è rappresentata dai ritmi soggettivi dei singoli curatori, come si può notare dai dati riportati sopra. I fattori in gioco possono essere molteplici, ma sarebbe interessante poter approfondire quale peso ha l’interazione di ogni curatore con lo strumento usato per collazionare (CEED). Una simile indagine sarebbe utile in vista dello sviluppo di strumenti sempre più user friendly.

Nel caso della collazione altre variabili incidenti sui tempi sono relazionate alle condizioni dei testi che vengono collazionati.

Testimone Minuti N. Varianti N.Var./Min. Fasi/N.Var. Add./N.Var.

Lat

5261

774

0,15

0%

21%

K

2048

388

0,19

22%

11%

Qn

1251

250

0,20

16%

12%

2007

437

0,22

11%

13%

T

2020

457

0,23

20%

7%

Pb

2577

645

0,25

21%

14%

Si

1369

372

0,27

14%

11%

Law

1003

279

0,28

0%

11%

Er

1615

460

0,28

19%

14%

O

1783

508

0,28

35%

10%

N

1547

457

0,30

3%

8%

U

1610

489

0,30

25%

7%

J

1468

456

0,31

22%

8%

R

1728

577

0,33

29%

7%

S

1771

715

0,40

10%

10%

Edc

829

347

0,42

0%

15%

Q

1370

607

0,44

17%

14%

Dati della collazione del trattato 1 per singolo testimone

La elenca la lista di quasi tutti i testimoni collazionati per il primo trattato dell’Ilāhiyyāt, ordinati sulla base del rapporto del numero di varianti riscontrate rispetto ai minuti occorsi per registrarle. Il dato rivela che non sempre a un maggior numero di varianti corrisponde una maggiore quantità di tempo. Oltre al grado di varianza del testimone rispetto al testo base, possono influire sulla collazione la leggibilità delle immagini, l’ampiezza dell’area scrittoria e la densità di scrittura. Quest’ultima variabile, ad esempio, può influire sia quando è troppo alta così da rendere difficoltoso seguire il segno mentre si passa dalla lettura del testo base alla lettura del testimone sia quando è troppo bassa così da rendere necessario un frequente cambio di immagini.

Altri due fattori legati ai testimoni pesano sui tempi di collazione e vengono riportati nella tabella sotto forma di rapporto rispetto al numero di varianti: il numero di aggiunte rispetto al testo base e il numero di fasi temporali in cui il manoscritto è stato soggetto a interventi scribali. Gli interventi scribali, in modo particolare, possono sia abbassare il grado di leggibilità del testo sia aumentare il grado di difficoltà nell’interpretazione delle varianti. Spicca tra i testimoni il Lat (traduzione latina del testo arabo), per il quale l’alto numero di varianti si combina con la difficoltà di discernere i casi di varianza testuale vera e propria da pure trasposizioni di lingua. La difficoltà di interpretazione spesso si accompagna con l’esigenza di aggiungere note filologiche, volte a motivare o a esplicitare le scelte compiute, con conseguente influenza sui tempi.

La registrazione dell’attività di collazione è stata particolarmente utile per pianificare, nel modo più efficiente possibile, la collazione dei trattati successivi in una fase di transizione del progetto. Infatti, diversi curatori hanno concluso la loro collaborazione con PhiBor. I dati hanno permesso di avere un’idea più precisa del tempo necessario per svolgere la stessa attività con un numero inferiori di curatori. Inoltre, quando un’attività si estende in un arco temporale piuttosto lungo, come quella di collazione, c’è il rischio costante di perdere di vista cosa è stato realmente trattato. Il tracciamento ha consentito di tenere continuamente sott’occhio il materiale, chi e quando l’aveva lavorato, consentendo di recuperare rapidamente le informazioni utili al controllo del lavoro svolto.

3.5 Altre attività e sfide al tracciamento

Delle altre attività elencate nel paragrafo 3.2, solo l’attività di codifica della struttura logica del testo arabo (completo), latino, inglese (parti) è stata tracciata. I dati di questa attività non aggiungono molto rispetto ai dati esposti sopra. L’attività è stata svolta da 3 curatori e sono stati necessari dai 5 ai 8 giorni per concluderla in un arco di tempo di un mese.

Più interessante è riflettere sulle attività non o solo parzialmente tracciate, perché queste pongono delle sfide per la costruzione di un modello utile alla loro misurazione. L’attività parzialmente monitorata è quella di revisione.

La revisione pone subito il problema della sua varietà: la revisione del testo, ad esempio, presenta delle esigenze diverse dalla revisione della collazione; inoltre si può revisionare per correggere, per integrare o eliminare istanze di fenomeni già trattati, per uniformare, ecc. A questo si deve aggiungere che può risultare utile revisionare lo stesso contenuto in più fasi, utilizzando diverse viste che consentono di far risaltare aspetti sempre nuovi. Questa varietà di oggetti e di approcci rende difficile individuare un’unità di misura che abbia un limite preciso, sia sufficientemente estesa e che sia quantificabile. A queste difficoltà si deve aggiungere anche il fatto che spesso l’attività stessa si compone di micro attività per le quali non si sente il bisogno di registrarle. Magari, si nota un errore e lo si corregge nell’atto in cui si individua senza essere inserito in un’attività strutturata.

Un modo per approcciare una simile attività potrebbe essere quello di:

  1. definire dei compiti che esprimono l’intervento da compiere, ad esempio: correggere testimone variante, invertire il fenomeno di aggiunta con il fenomeno di cancellazione, uniformare le referenze bibliografiche ecc.;

  2. associare una lista di occorrenze del fenomeno da revisionare: ad esempio lista delle referenze che non seguono la forma stabilita;

  3. considerare l’occorrenza come unità di misura.

Questa soluzione presenta due limiti: 1) non sempre è possibile associare una lista di occorrenze, il che comporta una misurazione vaga dell’attività, perché fornisce un tempo complessivo ma non relazionato a una quantità misurabile; 2) l’occorrenza di un fenomeno può avere un’estensione molto limitata, per cui la sua misurazione rigorosa causerebbe solo una dilatazione dei tempi necessari allo svolgimento dell’attività stessa. In quest’ultimo caso potrebbe essere utile segnare blocchi di occorrenze, il che consentirebbe di avere una quantità di riferimento per confrontare i tempi, senza perdere particolari informazioni sulle variabili che intervengono sulle singole occorrenze.

Un altro tipo di sfida è posta da un’attività come quella di analisi delle varianti volta alla costruzione di uno stemma dei codici e alla costruzione del testo critico. In questo caso i lemmi individuati nel campione o nel testo potrebbero assumere un ruolo simile a quello assunto dai tokens nell’attività di collazione: essi sono quantificabili per ogni campione o elemento strutturale dell’opera. Si potrebbe pensare, quindi, che anche in questo caso l’unità di misura utile per tracciare l’attività possa essere il capitolo (nel caso di PhiBor). In realtà, mentre la collazione avviene in modo lineare dall’inizio alla fine di un capitolo per ogni testimone, l’analisi può svolgersi in modo trasversale: i lemmi possono essere analizzati in modo parallelo ad altri collocati in altri contesti, ecc. Durante l’attività di analisi diventa difficile dire quando essa sia conclusa per un determinato capitolo.

Anche trattare il lemma alla stregua dell’occorrenza dell’attività di revisione pone i suoi problemi. Infatti, un lemma può essere analizzato e confrontato con altri più volte durante il processo di analisi. Di conseguenza, se per alcuni lemmi si può indicare una conclusione definitiva della sua analisi, per altri essa si conclude quando si conclude l’intera attività. In questo caso, probabilmente, potrebbe essere utile introdurre una nuova entità funzionale consistente nella quantità di volte un lemma viene utilizzato nell’analisi. Resta, comunque, da capire se e come una simile misurazione possa essere registrabile e utile.

È opportuno riflettere anche sulle difficoltà poste da attività come l’inserimento di note esegetiche e la registrazione di passi fonti, paralleli e recepiti. Le problematiche cambiano a seconda che si stia digitalizzando un’edizione preesistente o si stia creando un’edizione digitale nativa. Nel primo caso, il problema si riduce alla codifica dei fenomeni in oggetto, i quali diventano l’unità di misura stessa, in quanto sono quantificabili prima che l’attività inizi e sono facilmente identificabili l’inizio e la fine della sua misurazione.

I problemi maggiori emergono quando si deve commentare il testo e si devono individuare i passi fonti, paralleli e recepiti e associare ad essi tutte le informazioni necessarie. In questo caso, è evidente che non è possibile sapere a priori quante note e quanti passi devono essere codificati. Inoltre, ognuno di questi fenomeni sono soggetti a continue integrazioni, per cui diventa difficile anche dire se sono stati trattati tutti i fenomeni per un determinato capitolo (o altra unità strutturale). Nonostante tutte queste difficoltà, un lavoro di analisi delle metodologie seguite prima di iniziare l’attività potrebbe aiutare a individuare delle entità finalizzate a misurazioni, se pur non pienamente precise, utili al riciclo dell’attività.

Le attività di revisione, di commento al testo ecc. sono spesso attività complesse e riescono ad evidenziare un altro fattore di sfida per una modellazione del loro tracciamento. L’elemento in questione è comune a molte altre attività delle discipline umanistiche e consiste nel fatto che spesso esse si intrecciano tra loro. Di conseguenza, non solo a volte potrebbe essere difficile individuare un’adeguata unità di misura, ma anche distinguere una sessione di lavoro specifica per ognuna. Una soluzione a un simile problema potrebbe essere quella di introdurre un’entità peso, anche se comporta un grado di soggettività importante. Infatti, in tal caso spetterebbe al curatore indicare la percentuale con cui ogni attività ha pesato in una determinata sessione.

Gli ostacoli evidenziati in questo paragrafo non hanno impedito di ottenere in PhiBor dei riscontri positivi dalla pratica del tracciamento anche nel caso di alcune delle attività più sfuggenti alla misurazione. Lo sforzo impiegato nel tentativo di modellarne il tracciamento ha portato alla creazione di fogli di calcolo utili al lavoro di revisione e di analisi delle varianti. Pur se ancora a uno stadio embrionale, questi strumenti hanno contribuito alla uniformazione delle analisi e degli interventi svolti.

Le analisi compiute presentano PhiBor come un esempio concreto dell’utilità derivante dall’applicazione di tecniche di project management. Esse consentono di estrarre informazioni da dati spesso trascurati e che invece risultano preziosi per comprendere le dinamiche delle attività coinvolte e per formarsi un quadro più preciso delle esigenze richieste da determinati progetti. Una maggiore chiarezza delle esigenze e delle criticità porterebbe benefici non solo alla definizione di modelli e metodologie riutilizzabili da altri e in altri contesti, ma anche alla progettazione di strumenti in grado di migliorare sempre più lo svolgimento delle attività richieste. In quest’ottica diventa auspicabile che nel dibattito delle Digital Humanities rientrasse anche il tema della relazione degli strumenti usati per svolgere le attività specifiche di un progetto e la loro misurazione. Nel prossimo capitolo, presentando gli strumenti utilizzati in PhiBor, viene introdotto uno spunto di riflessione su questa tematica.

4. Strumenti di tracciamento

Le attività di project management possono avvalersi di una vasta gamma di software sviluppati specificamente per questa area. Uno dei principali limiti, però, è rappresentato dal fatto che la maggior parte di essi sono a pagamento o prevedono versioni gratuite con funzionalità limitate.

Uno dei pochi strumenti gratuiti è Redmine, il quale si presenta più adatto a una gestione dello sviluppo software e a questo scopo è stato usato nella fase iniziale del progetto PhiBor. Gradualmente è stato introdotto l’uso di Trello, molto più flessibile e adatto alla gestione di attività dinamiche come quelle umanistiche. Trello, però, viene usato per una gestione più generale delle attività, perché il suo uso è iniziato in una fase in cui molte delle attività da registrare erano avviate e, soprattutto, non appare adatto (almeno nella sua versione gratuita) a tracciare il lavoro così come esposto nei capitoli precedenti.

La soluzione seguita è stata quella di usare dei fogli di calcolo di Google, per due motivi: l’ambiente di Google Drive era già conosciuto dai curatori e viene usato per la produzione di documenti condivisi; i fogli di calcolo hanno dato la possibilità di definire le entità necessarie al tracciamento in un modo piuttosto flessibile. A titolo di esempio, viene descritto il foglio di calcolo elaborato per il tracciamento delle attività connesse al testo critico.

Il foglio complessivo è composto da vari fogli (tab):

  1. fogli dedicati alle attività: dove si registrano le sessioni relative alla collazione e alla codifica;

  2. fogli dedicati allo stato del lavoro di una determinata attività;

  3. fogli dedicati alle statistiche e analisi.

Il foglio dedicato alla collazione ha una struttura che prevede oltre alle entità fisse, le entità variabili dell’oggetto (il testimone collazionato) e dell’unità di misura (trattato-capitolo), e le entità funzionali dell’indicazione della presenza dell’unità di misura e del numero di mani intervenute sul testimone. Il foglio dedicato alla codifica prevede oltre alle entità fisse, le entità variabili dell’oggetto (fenomeno da codificare) e dell’unità di misura (trattato), e un’entità funzionale (la lingua del testo codificato).

Per quanto gli strumenti adottati si siano dimostrati funzionali alla misurazione delle attività, l’esperienza di PhiBor ha messo in evidenza un loro limite: essi restano separati dalle attività finalizzate alla produzione dell’edizione critica (o di altri risultati). La conseguenza è che i curatori in qualche modo si trovano a svolgere un’attività in più oltre a quelle necessarie alla produzione di risultati della propria ricerca. La separazione tra attività e misurazione della stessa si trascina una conseguenza negativa sia da un punto di vista pratico che teorico.

Da un punto di vista pratico, gestire il tracciamento fuori dagli strumenti volti all’attività vera e propria causa spesso dimenticanza o incostanza nella registrazione delle sessioni di lavoro. È evidente che in questo modo i dati raccolti possono perdere quel carico di informazioni per le quali risultano utili.

Da un punto di vista teorico, la separazione contribuisce a mantenere negli umanisti, nei confronti di queste tematiche, quella diffidenza di cui si è parlato all’inizio. Se è un’attività estranea a ciò che serve direttamente a raggiungere lo scopo della ricerca, allora è qualcosa di trascurabile e superfluo. Invece, come questo articolo tenta di sottolineare, è necessario superare questa diffidenza e cambiare approccio, affinché tecniche di project management possano diventare una pratica quotidiana.

Un contributo importante alla formazione di una nuova mentalità nei riguardi delle attività umanistiche lo può dare sicuramente una nuova generazione di strumenti per le discipline digitali umanistiche. Sarebbe auspicabile progettare piattaforme che non solo consentano la gestione di team di lavoro e documenti o la gestione dei contenuti per produrre nuovi contenuti ( 135; : 7), ma che forniscano anche strumenti di tracciamento delle attività. Inglobare la gestione delle attività negli strumenti di lavoro aiuterebbe a superare le difficoltà accennate e permetterebbe di adattare i modelli di tracciamento direttamente ai modelli delle attività di progetto.

Il compito non è facile, perché introdurre nella modellazione di strumenti un’ulteriore dimensione significa introdurre nuove complessità con cui gli umanisti dovrebbero fare i conti. L’unico modo per ridurre al limite la complessità e non rendere vano l’uso di strumenti simili ( : 33) è quello di concentrare un grosso sforzo sull’user experience, in modo che la registrazione delle attività non venga percepita come un ostacolo, ma come un passaggio naturale nel flusso complessivo del lavoro.

5. Conclusione

Questo articolo è nato dalla convinzione che le Digital Humanities debbano arricchirsi di un’ulteriore dimensione aggiuntiva rispetto alle due classiche della ricerca umanistica e della ricerca informatica: il project management. Una dimensione non estranea alla pratica quotidiana della ricerca umanistica digitale, ma che resta spesso sullo sfondo, implicita, come rileva Reed ( : par. 4).

Una simile convinzione è maturata sulla base dell’esperienza del progetto PhiBor, dove la gestione di attività eterogenee e distribuite tra più curatori ha fatto emergere l’esigenza di registrare dati che potessero condurre all’identificazione di variabili e criticità da affrontare durante il suo svolgimento. Come si è cercato di mostrare nei capitoli precedenti, il tracciamento delle attività può essere una via da seguire per raggiungere lo scopo di un miglioramento del flusso di lavoro.

Il monitoraggio e le metriche delle attività permettono di rilevare fattori a volte più intuibili a volte meno, ma analizzati sempre su dati che trascendono la percezione soggettiva dei fenomeni coinvolti. Le informazioni ricavabili dal materiale registrato, ovviamente, dipendono sempre dall’interpretazione dei singoli studiosi, ma i dati restano quell’elemento oggettivo su cui altri studiosi possono confrontarsi. In questo modo, un progetto di ricerca qualunque sia la sua dimensione e qualunque sia il numero di curatori coinvolti diventa riciclabile (secondo la metafora dell’ecosistema di : 7.00-8.00), riusabile (secondo i principi dell’Open Science) non solo per i contenuti prodotti, ma anche per il suo modello delle attività.

Il dibattito su questo fronte potrà maturare se all’approfondimento e allo sviluppo di modelli e metodologie si unirà lo sforzo di pensare e sviluppare nuovi strumenti, volti a facilitare il compito degli umanisti nel tracciare le attività che li vedono coinvolti. Nell’articolo si è cercato di fare emergere la condizione preliminare affinché tutto questo discorso abbia senso. È necessario che gli umanisti mostrino più interesse e apertura nei confronti del project management. È necessario che si liberino della diffidenza nei confronti della misurazione, percepita spesso come l’arma usata per sacrificare la qualità in nome della quantità. In realtà, non bisogna assolutizzare la quantità, ma deve rimanere funzionale alla qualità, perché, come dice Strathern, when a measure becomes a target, it ceases to be a good measure ( : 308).

Ringraziamenti

Ringrazio Amos Bertolacci, Stefano Di Pietrantonio, Silvia Di Vincenzo e Matteo Gallo che, con i loro suggerimenti e le loro osservazioni, hanno contribuito a delineare meglio alcuni aspetti trattati nell’articolo.

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  24. Zenzaro, S., Marotta, D., and Bertolacci, A. 2018. CEED: a Cooperative Web-Based Editor for Critical Editions. In AIUCD2018—Book of Abstracts, Bari, 31st January to 2nd February, 2018, edited by D. Spampinato. http://amsacta.unibo.it/5997/.

In ogni caso è ottimistico pensare che sia già stata superata la distinzione tra umanisti tradizionali e umanisti digitali, un tema posto nella conferenza AIUCD 2020 https://aiucd2020.unicatt.it/aiucd-call-for-papers-1683. Infatti, ancora in molti casi si riscontra un approccio passivo e acritico nei confronti di strumenti, modelli e metodologie messi a disposizione degli umanisti ( : 35).

When considering the ways in which the principles, methods, and concerns of Digital Humanities (DH) can usefully inform and adapt established Project Management (PM) methods and techniques, it is helpful to observe at the outset that “management is not a particularly valorized term in the (digital) humanities.” ( : 116). Basti pensare a Svensson il quale, in un suo libro che presenta come a model for the digital humanities (‘big digital humanities’) ( : viii), usa il termine management solo in relazione a data e materials, trascurando il suo rapporto con il concetto di progetto e di attività di un progetto.

PhiBor (Philosophy on the Border of Civilizations) è un progetto diretto da Amos Bertolacci e finanziato tra il 2014 e il 2019 dall’European Research Council (https://www.avicennaproject.eu/).

Tabak riflette su come le Digital Humanities possono influenzare il Project Management e cerca di presentare un modello adatto alle sfide che emergono da questo rapporto (A Hybrid Model for Managing DH Projects, Digital Humanities Quarterly 11, no. 1, http://digitalhumanities.org:8081/dhq/vol/11/1/000284/000284.html).

Each participant’s role should be spelled out in documentation: project conception, research plan, technical analysis, web development (infrastructure), web design (interface), content development, database design, and so on. ( : 130).

Per una panoramica sul tema della modellazione e su esempi di modelli usati nell’ambito delle Digital Humanities si possono consultare ; ; ; ; ; e .

Ibn Sīnā, Al-Šifāʾ, al-Ilāhiyyāt (1), edited by Ǧ. Š. Qanawatī, S. Zāyid (Cairo: al-Hayʾa al-ʿāmma li-šuʾūn al-maṭābiʿ al-amīriyya, 1960); Ibn Sīnā, Al-Šifāʾ, al-Ilāhiyyāt (2), edited by M. Y. Mūsā, S. Dunyā, S. Zāyid (Cairo: al-Hayʾa al-ʿāmma li-šuʾūn al-maṭābiʿ al-amīriyya, 1960).

Per la consultazione dell’intero stemma e della lista dei manoscritti si rimanda a https://www.avicennaproject.eu/#/stemma.

L’attività di trascrizione del testo del testimone di riferimento è avvenuta prima che venissero adottate tecniche di tracciamento.

In questo contesto viene definito token l’unità minima di testo separato da spazi.

Il caso del curatore 4 solo apparentemente contraddice la tendenza di aumento, infatti, a differenza degli altri curatori, ha annotato le immagini di un testimone in meno.

Il risultato di quest’attività è consultabile all’indirizzo https://www.avicennaproject.eu/#/edition/samples.

Alcuni capitoli dei trattati IX e X del manoscritto Iran, Tehran, Kitābḫānah-i Maǧlis-i Šūrā-yi Islāmī, 1901 e un capitolo del trattato V del manoscritto Iran, Mashhad, Kitābḫānah-i Āstān-i Quds-i Raḍavī, 10069 sono stati copiati due volte.

I testimoni P e Pa non sono stati riportati. Nel caso di P le varianti erano state identificate prima che iniziasse la collazione nel corso del progetto e, quindi, i tempi di registrazione non influiscono sull’attività normalmente svolta. Pa presenta una lacuna che comprende l’intero trattato 1.

Cambiare spesso le immagini nell’ambito di uno strumento web-based come è CEED, può causare tempi di attesa che inevitabilmente pesano sui tempi dell’attività nel suo complesso.

Rimane, in ogni caso, il problema che le note, ad esempio, possono avere un’estensione molto varia e possono prevedere la gestione di un numero variabile di fenomeni al loro interno.

Una selezione piuttosto ampia, con confronto delle loro funzionalità, è consultabile sui blog associati a due di questi strumenti: ProofHub (https://www.proofhub.com/articles/top-project-management-tools-list) e Scoro (https://www.scoro.com/blog/best-project-management-software-list/).

La gratuità degli strumenti di project management ha un peso importante nel favorire il loro uso in progetti di umanistica digitale, come sottolineano anche : 20.

https://www.redmine.org/.

https://trello.com/.

In una prima fase era previsto all’interno dello stesso foglio, un tab dedicato all’attività di revisione connessa alla codifica e alla collazione, ma ora le revisioni vengono gestite separatamente. Il tentativo è quello di formulare un modello autonomo secondo le esigenze espresse nel paragrafo 3.5.

L’indicazione delle mani riscontrate dai curatori durante il lavoro di collazione è stata utile per fornire un punto di riferimento e di confronto ogni volta che veniva riscontrata la presenza di un nuovo autore di interventi scribali sul testo principale del testimone.