DOI: http://doi.org/10.6092/issn.2532-8816/12626

Abstract

Il presente contributo esplora il mondo delle edizioni critiche digitali proponendo riflessioni sulla metodologia utilizzabile per la loro produzione. Nella prima parte sono analizzate le posizioni di vari studiosi sull'edizione critica digitale e sulla sua definizione. In particolare, si approfondisce il rapporto tra edizione critica digitale ed edizione scientifica digitale. I criteri utilizzati per costruire i cataloghi di Sahle e di Franzini aiutano a comprendere sia il concetto di edizione scientifica digitale, sia lo stato dell’arte delle edizioni critiche digitali in ambito classico. Successivamente si prendono in considerazione gli elementi costitutivi dell’edizione digitale e come essi possano integrarsi al metodo dell’edizione critica. Elementi come la scelta del linguaggio di codifica e degli strumenti per la creazione di un’interfaccia in relazione al testo sono parte integrante del processo di edizione critica digitale. Per questo motivo, essi necessitano di una riflessione approfondita sulle loro caratteristiche e sul loro utilizzo. Infine, ci si sofferma sulle potenzialità dell’edizione critica digitale e come essa si diversifichi dall’edizione critica a stampa, proponendo nuove vie di trasmissione e comunicazione scientifica del lavoro filologico, a partire dall’apparato critico per arrivare all’utilizzo delle immagini come componenti delle edizioni e alla possibilità di edizioni collaborative.

This contribution explores the world of digital critical editions by proposing reflections on the methodology that can be used for their production. The first part analyses the positions of various scholars on the digital critical edition and its definition. In particular, the relationship between digital critical edition and digital scholarly edition is explored. The criteria used to build Sahle's and Franzini's catalogues help to understand both the concept of digital scholarly edition and the state of the art of digital critical editions in the classical context. Subsequently, the constituent elements of the digital edition are taken into consideration and how they can be integrated with the critical edition method. Elements such as the choice of mark-up language and tools for creating an interface in relation to the text are an integral part of the digital critical edition process. For this reason, they need a thorough reflection on their characteristics and their use. Finally, we focus on the potential of the digital critical edition and how it differs from the printed critical edition, proposing new ways of transmission and scientific communication of philological work, starting from the critical apparatus to the use of images as components of the editions and the possibility of collaborative editions.

Introduzione

L’edizione critica digitale è un prodotto scientifico molto discusso, a partire dalla sua definizione fino ad arrivare alla metodologia e alle sue singole componenti. Nelle pagine successive, dopo aver ripercorso la strada dell’edizione critica digitale, ci si sofferma da una parte su come metodi e tecnologie digitali possano arricchire l’edizione critica mettendo in evidenza una continuità e insieme un'evoluzione dall'edizione critica a stampa all'edizione critica digitale, dall’altra su quali siano gli specifici elementi di novità dell'edizione critica digitale così concepita e le sue implicazioni e conseguenze per la pratica filologica.

1. Edizione scientifica digitale ed edizione critica digitale a confronto

Nell’ambito delle edizioni digitali esiste una certa ambiguità lessicale: nei diversi progetti vengono utilizzati in modo non sempre univoco i termini edizione scientifica digitale, dall’inglese digital scholarly edition (DSE), ed edizione critica digitale. Nel presente contributo si fa riferimento, in particolare, alla difficoltà di parlare di edizioni critiche che possano essere definite tali sia nell’ambito della filologia classica, dove l’espressione edizione critica ha un significato estremamente specifico, sia nell’ambito più generale delle edizioni digitali. Semplificando, si può affermare che l’edizione critica digitale è una tipologia dell’edizione scientifica digitale. Per capire la differenza tra le due tipologie è necessario analizzare da dove deriva questa ambiguità: in primis, come scrive Sahle riguardo alle DSE:

an adequate and productive definition should integrate all editorial schools, address all humanities disciplines, cover all textual genres and every kind of object. And, no less important, a good definition should be short and simple ( ).

Sembra evidente che trovare una definizione condivisa di edizione scientifica digitale con queste premesse non sia affatto semplice perché nel passaggio dal particolare di una disciplina specifica al generale molte sfumature sono inevitabilmente perse. Inoltre, la comunicazione è complicata da una parte dalla dinamicità della materia - le edizioni digitali sono un oggetto in divenire -, dall’altra, dall’evoluzione rapida dello strumento informatico nel tempo ( : 26). In merito alla mancanza di chiarezza quando si parla di edizioni critiche digitali Malaspina scrive:

Sarebbe quindi un contributo alla chiarezza […] se la trascrizione diplomatica di un singolo testimone o l’archiviazione sinottica (delle lezioni) di più testimoni – degnissimi prodotti di ricerca e talvolta unica soluzione per dare conto di un testo – non venissero più definite ‘edizioni critiche’ ( : 38).

Un'edizione scientifica digitale può avere come oggetto testi di natura diversissima, senza tra l’altro adottare obbligatoriamente un orientamento filologico piuttosto che un altro, ma non sempre si identifica con l’edizione critica, la può però supportare validamente proponendo nuove soluzioni per la creazione dell’apparato critico. Se, inoltre, si considera l'edizione scientifica nella definizione di Mancinelli e Pierazzo ( : 9) «l'edizione di un testo del passato preparato e pubblicato seguendo principi e metodi rigorosi e documentati, tali per cui il lavoro dell'editore sia verificabile dal lettore», allora la soluzione digitale sembra una proposta auspicabile per portare a compimento in modo ottimale tale definizione. Ciò accade perché in questo ambiente di lavoro è possibile offrire uno spettro di varianti significativamente più ampio rispetto a quello proposto dal tradizionale apparato a stampa e diventa anche possibile dare una trascrizione integrale dei testimoni ( : 71). Proprio in questa prospettiva Monella ( : 61) ritiene che l'edizione critica digitale possa conciliare i due elementi costitutivi della filologia individuati da Pasquali già nel titolo della sua opera: Storia della tradizione e critica del testo ( ).

Rimane aperto il divario tra chi tende a sovrapporre edizione critica digitale ed edizione scientifica digitale e chi, come Malaspina, ritiene che solo l'edizione di retaggio lachmanniano possa essere definita critica. In ogni caso, si può affermare che l'edizione digitale è uno strumento neutro non legato ad un orientamento filologico in particolare, ma disponibile per progetti diversi con intenzioni differenti inclusa una posizione neolachmanniana ( : 154). Lo stesso Malaspina più avanti nel testo già citato scrive:

essere un editore digitale non modifica né deve modificare il tradizionale percorso di recensio e constitutio textus, mentre incide fortemente sulle possibilità di rendere disponibili, a tutti i livelli, i risultati di questo lavoro ( : 47).

Quello che si può concludere è che nelle edizioni digitali coesistono elementi di continuità con la tradizione e una forte spinta innovativa. Se queste novità portano delle rivoluzioni metodologiche è altrettanto vero che l'obiettivo più generale di presentare un testo del passato coerentemente con una metodologia rigorosa, condivisa e documentata rimane identico ( : 222–23). L’edizione critica digitale può quindi essere considerata una tipologia di edizione scientifica digitale che comprenda un apparato che descriva e analizzi ciò che è contenuto nei diversi testimoni ( : 141).

Stabilito questo sembra fondamentale sviluppare una metodologia che integri il metodo dell’edizione critica con il paradigma digitale, con tutte le conseguenze che l’unione dei due metodi può comportare.

Prima di procedere però è importante capire cosa effettivamente è stato prodotto nell’ambito delle edizioni scientifiche e critiche digitali. Delinearne una storia non è semplice dato l'isolamento dei singoli progetti, talvolta frammentari. È però importante diffondere la conoscenza di ciò che è stato prodotto per condividere i dati e i risultati; e per poter operare in questo ambito ciò che viene in aiuto allo studioso che si approcci alle edizioni digitali sono i cataloghi. In particolare, si fa riferimento al lavoro svolto da Franzini a partire dal 2012 in collaborazione con l'Austrian Academy of Science. Prima del catalogo online prodotto da Franzini ne esistevano altri, ma «these do not record project features or provide an easy means of browsing, viewing and downloading the data, and often maintain links to projects which are no longer available» ( : 165). In questo ambito è rilevante il catalogo di Sahle che si differenzia da quello di Franzini perché registra soltanto le scholarly digital edition. Per considerare tale un'edizione Sahle definisce tre elementi:

  1. un'edizione deve riportare un documento del passato sia esso storico, filosofico, letterario o quant'altro. Di conseguenza pubblicare un testo nuovo che non fa riferimento ad un historical document non è pertinente a questo tipo di lavori:

  2. un'edizione deve essere una rappresentazione astratta o una riproduzione del documento storico, quindi cataloghi, database e cronologie (calendar) per quanto validi non sono inclusi nel catalogo;

  3. un'edizione si deve basare sull'erschließen, un termine che comprende qualsiasi attività volta ad arricchire il complesso delle conoscenze possedute su un oggetto di studio per migliorare la sua accessibilità e fruizione ( : 23). Dove manca questa componente, come ad esempio in un facsimile, non si può parlare di scholarly digital edition.

Capire come un’edizione entri nel catalogo di Sahle contribuisce ad approfondire il concetto di scholarly digital edition, e in quest’ottica è d’aiuto riportare le quattro domande che Sahle afferma di porsi prima di inserire un'edizione nel suo catalogo ( : 38):

  1. la rappresentazione del soggetto in questione è completa?

  2. è critical/scholarly, si basa sull' erschließen?

  3. è stata realizzata in modo accademico seguendo un metodo rigoroso e trasparente? le responsabilità sono facilmente attribuibili?

  4. segue il paradigma digitale e di conseguenza se stampata perde di significato?

È inoltre utile precisare che Sahle nel suo catalogo riporta solo edizioni concluse perché non ritiene che il progetto di un'edizione digitale configuri l’esistenza dell’edizione stessa se non è ancora stato portato a termine ( : 35). I criteri utilizzati da Sahle portano - per scelta - a far emergere una tipologia di edizioni assai ristretta ed escludono tutti quei lavori che pur non essendo ritenuti scholarly sono progettati per obiettivi diversi e che hanno una loro validità.

Il catalogo curato da Franzini, invece, registra edizioni scholarly e non, e le distingue. Oltre a queste sono inseriti nel catalogo progetti online che non sono ancora conclusi e alle edizioni native digitali sono affiancate riproduzioni digitali di volumi a stampa. Il motore di ricerca offre opzioni base e avanzate che riflettono le caratteristiche degli oggetti presenti. Le opzioni di base permettono la ricerca del nome del progetto, dell'istituzione che lo supporta, del curatore, del periodo, della lingua, del deposito di provenienza dei materiali e dell'URL. Tramite la ricerca avanzata invece si possono stabilire le caratteristiche di ciò che si sta cercando: è scholarly? è digitale o digitalizzato secondo la definizione di Sahle? è un'edizione o si tratta di altro? contiene immagini? è annotata in XML-TEI? quando è stato fatto il progetto? è ancora aperto? le immagini nel progetto sono interattive? Questi e altri criteri possono essere utilizzati per fare ricerche nel catalogo in modo mirato e consapevole. Si tratta di una catalogazione basata su un'analisi estremamente approfondita che descrive nel dettaglio le caratteristiche dell'oggetto catalogato.

Infine, si segnalano alcuni esempi di edizioni critiche digitali nel mondo classico e tardoantico:

2. Come si realizza un’edizione critica digitale?

2.1 Il linguaggio XML-TEI

L’edizione digitale necessita per sua natura di dialogare con strumenti informatici che hanno bisogno di essere conosciuti e approfonditi per essere utilizzati in modo consapevole. Le edizioni digitali pronte per essere condivise sono normalmente pubblicate online, e questo potrebbe portare a pensare che il linguaggio di annotazione del testo migliore sia quello delle pagine Web, cioè l'HTML. La prassi comunemente condivisa prevede però l’utilizzo del linguaggio XML, scelta che dipende da alcune caratteristiche che favoriscono gli studiosi nel lavoro, assecondandone le esigenze. In primis, il linguaggio XML consiste in una marcatura di tipo dichiarativo che descrive la struttura logica del testo e permette quindi di darne un’interpretazione, diversamente dalla marcatura procedurale che definisce solo come il testo debba essere elaborato. Altri aspetti rilevanti nell’adozione del linguaggio XML sono efficacemente esposti da Buzzoni e Rosselli Del Turco ( : 58), che si riprendono brevemente di seguito:

  1. Il linguaggio XML garantisce una maggiore flessibilità rispetto all'HTML. Mentre quest'ultimo conta un numero piuttosto limitato di elementi ed è sostanzialmente un formato di visualizzazione dei dati, l'XML può essere ampliato rispondendo così a esigenze specifiche e complesse. Inoltre, un documento XML può essere convertito in HTML per la pubblicazione sul Web, ma anche in altri formati (PDF, ePUB, MOBI, etc);

  2. XML permette una marcatura descrittiva, strutturale e semantica, del testo. HTML, come anticipato, consente la distinzione di elementi grafici, mentre in un linguaggio come l'XML, il testo «viene descritto per quello che è, non per quello che sembra»;

  3. XML consente di formalizzare la conoscenza dell'editore sul testo da annotare: «Ragionando a livello di edizione digitale diremo che l’annotazione di un testo attraverso linguaggi formali di descrizione è un processo che porta alla identificazione degli elementi utili per la creazione di un modello del testo che traduca le ipotesi interpretative dell’editore in modo formale» ( : 266).

Come osserva Buzzetti ( : 52), XML esplicita la struttura dei dati non dando però un modello per processare il loro contenuto in modo formalizzato. L’esigenza di uno standard si concretizza nelle Guidelines TEI largamente impiegate nella codifica delle edizioni digitali. L’adozione dello standard TEI, che a sua volta è basato su XML, è fonte di riflessione già negli anni ’90 ( : 30–34) con particolare riferimento alla natura semiotica della rappresentazione digitale del testo ( : 49). Diverse posizioni critiche sono emerse nei confronti della TEI e si possono trovare documentate nel contributo A world of difference: Myths and misconceptions about the TEI ( ). In questa sede si fa riferimento principalmente alla dispersività delle linee guida e al problema dell’annidamento. Le Guidelines stesse dichiarano che l’intento di poter supportare tutti i materiali di interesse per la ricerca ha determinato lo sviluppo della TEI in un sistema estremamente ampio che è espressione della sua flessibilità (TEI Consortium 2020, XIX). La scelta del modo in cui utilizzare gli elementi forniti dallo standard TEI è compito di chi ne usufruisce. Da un punto di vista empirico ciò si concretizza nella possibilità di annotare un medesimo testo in modi differenti, spesso parimenti validi, perché nel momento in cui se ne annota la struttura si proietta all’interno del testo la propria visione di esso che può dipendere da diverse varianti: la tipologia di testo, la motivazione dell’annotazione, il soggetto stesso che compie la codifica. Per fornire un linguaggio comune in ambiti affini nascono iniziative che rispondono al disagio che si può sperimentare di fronte a una larga scelta di alternative. Un caso esemplare è EpiDoc: «il risultato di un lavoro internazionale e collaborativo che fornisce linee guida e strumenti per la codifica di edizioni […] di testi antichi». L’adozione di un sotto-schema comune permette di lavorare concretamente seguendo lo stesso metodo di codifica facilitando così il collegamento tra progetti affini.

Su questo punto in particolare si sofferma Schimdt ( : 6), il quale sostiene che per ottenere una vera interoperabilità sarebbe necessario il testo pulito e libero da markup. Con questo scopo Schmidt ( ) propone una separazione tra il testo e la sua codifica attraverso uno standoff markup che registri diversi livelli di codifica separati. Attraverso questa metodologia l’autore sostiene che si incrementino le possibilità di sopravvivenza del testo sull’asse diacronico: «The representation of versions and layers generated by the model requires only Unicode text, than which […] there is nothing more stable in the digital world» ( ). La critica generale di Schmidt alla prassi della marcatura all’interno del testo viene sostenuta anche da Thaller e Buzzetti ( : 142–43) che segnalano la necessità di risolvere il problema della confusione tra testo e contenuto nella codifica inline e dell’annidamento.

[…] the basic distinction between data and information is often overlooked, just as the clear severing of the two basic components of a text, its expression and content. This lack of distinction often leads to technical and conceptual shortcomings, sometimes intrinsic to the use of embedded markup. In this respect, standoff solutions can usefully complete and supplement embedded markup techniques with additional contrivances to distinguish between rendition and content features and to treat them appropriately (Thaller e Buzzetti 2012, 143).

La questione dell’annidamento (nesting) dei marcatori così come sono concepiti nella TEI, viene spesso associata all'immagine delle scatole cinesi ( ): un elemento può contenerne un altro, ma esso deve essere completamente contenuto all'interno di quello precedente. I testi annotati sono dunque considerati ordered hierarchies of content objects, in primo luogo per i vantaggi pratici che ne derivano. Ci sono però diverse contestazioni che possono essere mosse alla visione presentata, in particolare bisogna considerare che le gerarchie dipendono dalla prospettiva adottata. Questo discorso aiuta a comprendere la presenza di un ampio ventaglio di possibilità di codifica di uno stesso oggetto fornite dalle linee guida TEI. Annotazioni di livelli diversi, come ad esempio la marcatura delle pagine e quella dei capitoli, tendono a sovrapporsi senza coincidere: se, infatti, ogni elemento deve essere costituito da un tag di apertura e da uno di chiusura la pagina non rientra necessariamente nel capitolo e viceversa. Per questo motivo sono utilizzati degli elementi (i milestones) costituiti da un solo tag definito empty, che escono da questa logica perché sono fuori dalla sovrapposizione delle gerarchie. Da una parte, l’utilizzo della marcatura stand-off evita questo problema, perché creando livelli diversi non c’è sovrapposizione, dall’altra però sembrano esserci dei limiti che penalizzano la scelta di una marcatura stand-off per un’edizione critica digitale: la dipendenza da un’interfaccia grafica, la maggior complessità nell’utilizzo, l’assenza di uno standard (invece presente per l’annotazione inline), il minor supporto informatico rispetto al linguaggio XML-TEI.

Si possono riconoscere diverse difficoltà nell’utilizzo dell’XML-TEI, e alla domanda chiave di McGann e Buzzetti ( : 12) «Since text is dynamic and mobile and textual structures are essentially indeterminate, how can markup properly deal with the phenomena of structural instability?» è possibile rispondere riconoscendo che come in un’edizione a stampa, anche in un’edizione digitale il testo è in qualche modo fissato, perché attraverso l’annotazione gli vengono attribuiti dei significati contestuali in un preciso momento del tempo – e a maggior ragione se l’annotazione viene arricchita da attributi che ne indichino autore e data. A tal proposito si citano le parole di Cummings riguardo all’interoperabilità, che rappresentano anche una soluzione per rendere comprensibili le annotazioni a lungo termine: «The more documentation (human and machine-readable) is provided, the more likely any barriers to interchange and interoperability can be overcome» ( : 16). Quindi, il testo, che è mobile viene fissato in un momento preciso e nel tempo si possono anche perdere le conoscenze atte a capirlo e a interpretarlo, ma attraverso una marcatura dichiarativa vengono esplicitate le informazioni su di esso, favorendone dunque la comprensione a livello diacronico e sincronico. Il processo che porta da un testo non annotato (T1) a un testo codificato (T2) non può per sua natura essere fissato. Nel passaggio da T1 a T2 il filologo (che coincide con il codificatore) prende delle decisioni che saranno esplicite in T2, ma proprio nel processo che porta T1 a diventare T2 si mette in gioco la soggettività dell’annotatore e si manifesta la necessità della sua presenza nel processo di codifica che non può per questo motivo essere completamente automatizzato o delegato a qualcuno che ha una formazione esclusivamente informatica.

Annotare un testo in XML-TEI porta dunque a formulare delle riflessioni sul linguaggio e sul metalinguaggio che passano dall’edizione a stampa a quella digitale ( : 58). È però importante osservare anche altri aspetti nella trasposizione dell’edizione dal supporto cartaceo a quello digitale, perché essa non è neutrale ( : 151) e comporta delle scelte, in merito Sperberg-McQueen scrive:

L’applicazione di strumenti informatici alla ricerca umanistica (come d’altra parte a ogni altro dominio), infatti, non è mai metodologicamente innocente. Al contrario essa impone uno sforzo di esplicitazione rigorosa e formale sia degli oggetti di studio, sia dei metodi di analisi, sia degli obiettivi della ricerca stessa. ( : 9)

Anche utilizzare lo standard TEI non è quindi una scelta neutrale e necessità di consapevolezza e riflessioni sia sullo strumento, sia sui principi che ne sono alla base. Il TEI Consortium si definisce come un ente democratico, ma soprattutto indipendente, senza scopo di lucro:

The TEI Consortium was established in order to maintain a permanent home for the TEI as a democratically constituted, academically and economically independent, self-sustaining, non-profit organization ( : XXIII).

Tali rilevanti affermazioni collocano questa iniziativa in una posizione ben precisa rispetto al lavoro accademico e alle pubblicazioni scientifiche. Servirsi dello standard TEI per i propri progetti porta a inserirsi nella scia dei principi su cui si fondano l’Open Source e l’Open Access.

I limiti dati dall’utilizzo dell’annotazione XML-TEI vanno conosciuti e tenuti in considerazione ma non spostano l’ago della bilancia nel momento in cui si guarda ai vantaggi: a quelli sopra elencati si aggiunge l’interoperabilità permessa dal formato, fondamentale per lo scambio dei dati e quindi la comunicazione tra più progetti e per la loro preservazione e trasmissione. Il filologo digitale potrebbe essere tentato di delegare all'informatico esperto, ma ciò non è opportuno perché potrebbe produrre strumenti poco utili o svianti ( : 7). Inoltre, codificare il testo in prima persona non solo permette un maggiore controllo su ciò che si sta producendo, ma consente di scegliere personalmente come si vuole che il testo appaia al lettore: «Markup and encoding not only determine what some specific features of texts are and what they do, but they also imply (or make explicit) the way the text should be displayed» ( : 139). Non si tratta però di una sola questione di controllo sul proprio testo: scegliere di annotare in XML la propria edizione significa riversare la propria conoscenza del testo al suo interno, pur senza modificarlo. L'attività di codifica in un certo senso può essere paragonabile alle glosse che troviamo scritte a margine del testo nei manoscritti medievali, ma chi annota scrive in un linguaggio standardizzato che permette di includere l’identificazione della fonte di autorità (@resp) su cui si basa l’annotatore. La codifica XML, quindi, permette di avvicinarsi in un modo nuovo e attuale al mondo del copista o dello studioso che interagiva attivamente con il testo.

2.2 Come si presenta l’edizione critica digitale

Un elemento che deve subito essere preso in considerazione quando si inizia a lavorare a un’edizione critica digitale è l’interfaccia, ossia l’insieme degli elementi con cui l’edizione si presenta all'utente. Il filologo digitale deve dunque scegliere, sulla base di un'analisi di carattere teorico, non solo il linguaggio di codifica ma anche l'interfaccia che vuole usare e le sue caratteristiche. In un'edizione digitale essi sono a pieno titolo parte del lavoro filologico unitamente alla riflessione sulla loro interdipendenza dall'interfaccia, contenuto e forma ( : VIII). L'interfaccia è ciò che si presenta all'utente, l'elemento che veicola il significato del testo in cui si è inserita in modo formalizzato la propria conoscenza a riguardo tramite il linguaggio XML-TEI. Il testo annotato quindi ha bisogno di essere combinato con altri strumenti che ne leggano il contenuto e lo rendano fruibile; questi possono essere diversi e diversamente combinati tra loro. In generale, si possono adottare due approcci per mettere in comunicazione il testo codificato e il sistema di visualizzazione ( : 96):

  1. utilizzare un framework o un programma già esistente;

  2. sviluppare un programma specifico costruito ad hoc.

Partendo dal presupposto che possono entrambe essere soluzioni valide in base agli obiettivi, il secondo tipo permette di sviluppare in stretto rapporto con tecnici informatici un'edizione teoricamente perfettamente coerente con le idee iniziali, ma può comportare costi elevati e problemi di interoperabilità. Lavorare con un framework già esistente, d'altra parte, permette di avere delle buone possibilità di personalizzazione, anche se non infinite. D’altra parte, di solito si tratta di programmi relativamente semplici da usare e spesso open source, quindi non comportano uno sforzo economico eccessivo e uno sviluppo ad hoc ( : 97).

Tra gli strumenti già esistenti (non a pagamento) che possono essere utilizzati a questo scopo si possono citare:

Sono strumenti profondamente diversi tra loro nati in contesti differenti e con obiettivi differenti. The Versioning Machine, nelle parole della sua ideatrice, nasce come strumento per rappresentare simultaneamente più versioni dello stesso testo. Due punti in particolare sembrano rilevanti: The Versioning Machine ha l’idea di proporre un modello di social-text editing in cui sono affiancate più varianti e nessuna risulta essere gerarchicamente più importante di un’altra, ma diventa testimone del testo in un momento determinato ( : 93). Utilizzare questo strumento significa dunque confrontarsi con una precisa idea di critica del testo, condivisibile o meno, e dunque cercare un approccio diverso all’interno di questo strumento che ha un orientamento specifico potrebbe portare a non ottenere il risultato auspicato attraverso il suo utilizzo. In secondo luogo, bisogna tenere in considerazione l’affermazione: «one goal of The Versioning Machine is to create an illusion of text in print» ( : 97). Le prime interfacce utente pensate per l'edizione critica tendevano a riprodurre la grafica della pagina a stampa con le sue caratteristiche, attualmente invece c'è la tendenza ad approfondire le possibilità del mondo digitale con la conseguente evoluzione nella presentazione. Questo non significa che nella fase di progettazione dell'interfaccia non debba esserci il pensiero di rendere l'edizione digitale user friendly, anche riproponendo graficamente soluzioni che mirino ad una maggiore chiarezza. Mancando una base comune, non ci sono consenso né buone pratiche che dicano come le edizioni digitali si debbano presentare. Esse possono infatti spiazzare l'utente che deve imparare ad usarle ( : 133–38).

TEI Boilerplate ad un primo approccio sembra adatto all'edizione lineare di testi semplici, ma il supporto del collegamento testo-immagine, sembra subottimale per la gestione di edizioni più complesse. TEI Publisher, invece, è uno strumento un po' più complicato da gestire, in grado di supportare corpora complessi con un buon sistema di ricerca. Come scrive Falluomini: «un software come eXist-DB non solo mette a disposizione un ottimo motore di ricerca XML, ma consente anche di creare veri e propri siti Web, sfortunatamente richiede risorse non trascurabili per la sua configurazione e gestione» ( : 77).

Quanto ad EVT, tutte le versioni sono costruite secondo due principi cardine che espongono considerazioni di metodo nella creazione di un software di visualizzazione ( : 98–99):

  1. Ci sono due utenti del software: l'editore e il lettore. Il primo deve poter predisporre l'edizione secondo il suo indirizzo filologico o metodo ecdotico in libertà, con la possibilità di trasparenza delle scelte. Lo strumento deve essere semplice da utilizzare sia per il lettore sia per l'editore. Da queste necessità deriva l'esigenza di una buona flessibilità del programma;

  2. I dati dell'edizione devono esistere separatamente dallo strumento di visualizzazione.

    1. «chi studia il documento come testimonianza unica di un testo: epigrafisti, papirologi, editori di fonti storico documentarie»;

    2. chi non è interessato ad aspetti prettamente linguistici come paleografi e codicologi;

    3. gli storici della lingua;

    4. chi è interessato allo studio del singolo testimone come oggetto storicamente determinato.

EVT nasce da un'idea di Rosselli del Turco nel 2003 contestualmente all'obiettivo di creare un'edizione digitale del Vercelli Book. Lo sviluppo del software inizia intorno al 2010 con lo scopo di creare un programma open source in modo da renderlo utilizzabile anche in altri progetti accademici. Oltre all'originario Vercelli Book Digitale, altri progetti hanno utilizzato EVT contribuendo volta per volta al suo sviluppo che ha portato, per il momento, a due versioni del programma, mentre una terza è in fase di sviluppo.

Tutti i software menzionati, benché presentino un quadro complesso che comprende aspetti diversissimi: metodologici, teorici, economici, non esauriscono gli ambiti di discussione sull’edizione digitale. La necessità di conoscere questi argomenti porta a lavorare in modo consapevole in un ambito che ancora si sta sviluppando e che sicuramente ha molto da dare se approcciato in modo critico e propositivo. Come scrive Borgna, attraverso un'analisi così orientata si può mostrare come «l’arricchimento scientifico di un prodotto digitale non si limiti alle sue possibilità di utilizzo, ma si sviluppi anche a partire dalle riflessioni necessarie alla sua realizzazione» ( : 1).

Dunque, per costruire un’edizione critica digitale bisogna prendere in considerazione il testo e la sua tradizione, la letteratura e la saggistica sull’argomento, ma sorgono anche domande che portano a impostare un metodo di lavoro: quale tipo di edizione critica digitale si vuole produrre? Quali caratteristiche deve avere? A chi è rivolta? Come si vuole che appaia il progetto portato a termine?

3. Possibilità e sviluppi dell’edizione critica

L’edizione critica digitale comporta possibilità e conseguenze annesse alla loro realizzazione che l’edizione critica cartacea non implica. Esempi classici di funzionalità utili al filologo che possono anche parzialmente essere automatizzate sono: la collazione, la ricerca delle concordanze, la creazione di indici, ricerche lessicali e simili. Queste e altre funzioni possono essere automatizzate con un margine di errore anche migliore di quello umano e permettono al filologo di dedicare una parte maggiore del suo tempo alle operazioni di studio più interpretative, ma non rendono l’edizione digitale. Per essere tale, essa deve dare qualcosa di diverso che non sia traducibile in una sua versione a stampa.

3.1 L’apparato critico

Se operazioni come la collazione, lo studio delle concordanze, la creazione di indici etc. sono sempre state compiute dai filologi manualmente prima dell’avvento del digitale, ci sono alcuni punti strettamente connessi al supporto informatico che possono far avanzare la ricerca filologica in direzioni diverse, in modalità che possono essere più o meno controverse. L’apparato critico precedentemente citato è un nodo gordiano della questione: l’apparato critico utilizza forme e linguaggi estremamente formalizzati, collaudati negli anni e portatori di autorevolezza. Queste forme e linguaggi sono però intrinsecamente legati alla pagina, che nel mondo digitale viene a mancare portandosi appresso la sensazione di sicurezza e stabilità che (giustamente) fornisce ai filologi. Sorge quindi spontanea la domanda: perché? E la risposta non giace esclusivamente nel teorico bisogno di progresso e di trovare nuovi metodi e strumenti per far progredire la materia di studio, ma anche e soprattutto nei vantaggi che si trovano negli strumenti digitali. Un primo punto di forza delle edizioni digitali messo in luce da Francesco Stella ( : 8) è la quantità intesa sia come abbondanza di materiali a disposizione per lavorare a un'edizione, sia come possibilità di inserire nel proprio progetto molti più elementi di confronto, commento o altro rispetto a quelli che erano permessi dalla pagina stampata. Mancinelli e Pierazzo mettono in luce come nella forma-libro l'apparato critico sia subordinato rispetto al testo spazialmente perché è in fondo alla pagina, gerarchicamente per la dimensione ridotta dei caratteri e concettualmente perché può essere scritto in modo molto criptico ( : 77–78). In un ambiente digitale dove l'economia dello spazio non è un problema diventa reale la possibilità di fornire al lettore le risorse che si sono effettivamente usate per l'edizione. L'apparato critico, in questo modo, non è più relegato al fondo della pagina con un formato più piccolo, ma può essere scritto tra le righe del testo e il lavoro del filologo può così essere messo in risalto. Inoltre, Monella osserva che un'edizione che registri una più ampia selezione di testimoni favorisce ( : 69):

Inoltre, per Stella «la disponibilità di spazio resa disponibile dall’edizione digitale introduce dunque una premessa di verificabilità delle scelte come condizione di attendibilità scientifica» ( : 157). Con questa potenzialmente infinita apertura sul materiale che si può inserire è però importante anche riflettere su quali e quanti materiali è opportuno rendere disponibili e bisogna saper capire quando il lavoro inizialmente stabilito possa dirsi concluso. La realizzazione di un tale apparato critico non è né semplice, né immediata. La formalizzazione potrebbe essere sostenuta da ontologie:

The resulting (structural) representation of knowledge allows to resolve conceptual or terminological inconsistencies, providing a dictionary of terms formulated in a canonical syntax and with commonly accepted definitions ( : 142).

Nonostante le possibilità prospettate dagli strumenti informatici per l’apparato critico, esistono pochissime edizioni critiche digitali di opere dell'antichità greca e romana come denuncia Fischer (Fischer 2019, 206–7). Riprendendo Monella ( : 141–59) e Driscoll ( : 104), lo studioso cerca di identificare i motivi di questa carenza:

Classical philologists do not focus on documents and they do not focus on variance – both of which are areas where digital philology is particularly strong. Instead, classical philologists are interested in canonical regularised text versions: in one text, in one language. Besides, they are not willing or able to see, and embrace, the real potential of digital media, for the fear of losing control over the way in which ‘their’ texts are presented.

Per Fischer la chiave del problema è che la fiducia nella lettura e nell'uso nell'apparato dell'edizione a stampa è data dalla sua staticità che nell'edizione digitale viene a mancare ( : 208). Per questo motivo in molti scelgono di procedere su due livelli pubblicando sia un'edizione critica a stampa sia digitale. Un caso ancora diverso è quello di O'Donnell che, parlando dell'edizione del Cædmon’s Hymn, propone una soluzione integrata tra digitale e cartaceo che possa valorizzare i benefici di entrambi i supporti ( : 110).

Ulteriore elemento rilevato da più studiosi che provoca la diffidenza nei confronti di queste edizioni è la citabilità. La criticità è determinata dal fatto che mancando il numero di pagina e non essendo sempre disponibile un permalink non è possibile conservare l'immediatezza e la precisione a cui si è abituati. In generale, si può affermare che spesso non c'è un paratesto in grado di dare fiducia al lettore e questo è dovuto alla difficoltà nel verificare l'attendibilità dell'edizione ( : 81). In un libro a stampa è semplice individuare autore, editore e le caratteristiche principali del lavoro: le forme e i contenuti delle edizioni si sono tramandate nei secoli in un modo che rende possibile valutarne a grandi linee l’autorevolezza già ad un primo esame superficiale. Quando si consulta un'edizione digitale questi elementi di riferimento per stabilire l'affidabilità del prodotto non sono immediati per chi è stato abituato da sempre a ragionare sul cartaceo. Questo non significa che indicatori di autorevolezza non siano presenti nel supporto digitale, anzi. Di solito questi progetti sono patrocinati da università o istituzioni autorevoli che possono essere quindi i nuovi garanti della qualità del lavoro dal momento che viene a mancare il processo editoriale della stampa. Inoltre, anche in un’edizione digitale è possibile indicare la paternità e responsabilità degli interventi come esposto nel paragrafo successivo. Infine, nelle edizioni digitali è possibile ottenere un livello di trasparenza superiore al cartaceo che consente di verificare le scelte dell’editore. Quest’ultimo metodo richiede più confidenza con la materia e maggiore sforzo, ma non tutti sono obbligati a compiere questo passaggio. Rendere evidenti i passaggi rilevanti che portano alla costruzione dell’apparato non significa né evitare la responsabilità della scelta, né lasciare il lettore a se stesso di fronte al testo come argomentato da Olson: « as we move into the digital world, we as scholars need to ask ourselves whether editing texts is a properly democratic activity, which is to say both whether everyone wants to do the job themselves—as I suspect that they do not—and whether this would be a helpful and efficient way of proceeding in any case» ( : 39). Questa possibilità permette un maggiore livello di controllo e verifica a chi ne possiede le competenze, per chi invece non fosse interessato a farlo è fornito un testo adatto a una lettura lineare.

3.2 Edizioni critiche collaborative

Un altro punto di forza delle edizioni digitali messo in luce da Stella è l’interoperabilità ( : 157), concetto particolarmente interessante per le prospettive di lavoro che ne derivano. La dinamicità intrinseca del prodotto digitale e l'utilizzo di uno standard condiviso come le linee guida TEI permettono agli studiosi di scambiarsi agevolmente materiali in un'ottica di collaborazione. Nuove funzioni che possono essere implementate da questo punto di vista sono elencate da Siemens et al. quando parlano di social edition:

«(1) collaborative annotation, (2) user-derived content, (3) folksonomy tagging, (4) community bibliography, and (5) shared text analysis» ( : 451–52).

L'osservazione che emerge dal loro contributo è che questo tipo di collaborazioni porta a vedere lo scholarly editing non tanto come un prodotto, ma come un processo in cui l'editore è più un facilitator che un progenitor ( : 452). Le possibilità da essi elencate presentano sicuramente aspetti positivi, ma ad esempio Robinson osserva come ci siano anche dei punti critici da discutere e delineare in modo razionale così che il prodotto del lavoro sia scientificamente valido ( : 122). Per quanto riguarda l’edizione critica digitale è particolarmente interessante la possibilità di creare edizioni collaborative tramite l’annotazione XML-TEI. Si può citare come caso rilevante il progetto DEFrAG-tragedy, che mira «alla costituzione di un paradigma e di un protocollo per l’edizione critica digitale dei frammenti tragici» in un’edizione dinamica e collaborativa ( : 153–55). Per concepire l’edizione critica collaborativa di un’opera singola si procede alla creazione di un file opera / file master che tramite xi:include permette di collegare più file XML gestiti singolarmente. Una soluzione di questo tipo consentirebbe a più filologi di lavorare contemporaneamente su più parti o livelli dell’opera mantenendo la responsabilità di ogni singolo intervento editoriale tramite l’attributo @resp.

3.3 Edizioni integrate

Ulteriore elemento rilevante riguardo all’edizione digitale è la relazionabilità ( : 157), proprietà che riguarda la capacità di mettere in comunicazione tra loro sistemi multipli di dati, quindi di associare tradizioni complesse. Grazie a permalink è anche possibile tramite un collegamento ipertestuale collegare ad un dizionario online o simili le parole di un'edizione debitamente annotate; e anche progetti diversi possono essere così tra loro collegati. In questo modo sono messi in evidenza i rapporti tra elementi testuali ed extra-testuali e ne sono facilitati il collegamento e la fruizione ( : 448). La possibilità di integrare elementi esterni al testo, alla sua introduzione o apparato critico è impiegata anche dal precedentemente citato DEFrAG-tragedy che utilizza l’elemento <ref> seguito dagli attributi @target e @xml:id ( : 175). Ad esempio, per fare riferimento nel commento al testo al sito Perseus le autrici si servono di <ref target=URL>, in cui per l’attributo @target è specificata l’URL della pagina che deve essere collegata. Inoltre, fornire un URL attraverso un elemento ref permette di indicare la presenza di una citazione formale; non semplicemente il rimando ad un altro contenuto simile, come in genere avviene con gli URL.

3.4 Utilizzo delle immagini nell’edizione critica digitale

L’ultimo elemento analizzato è la presenza delle immagini nelle edizioni critiche digitali e la loro funzione. Grazie alla multimedialità si possono offrire non solo contenuti testuali ma anche contenuti visivi ad essi collegati. Molte sono le biblioteche che hanno iniziato un'opera di digitalizzazione delle immagini dei loro manoscritti come la Biblioteca Apostolica Vaticana, Gallica o e-codices per citare degli esempi. Grazie a tali iniziative, quando le immagini di manoscritti sono disponibili in formato IIIF, all’interno delle edizioni digitali si possono collegare le immagini dei manoscritti complete di un ambiente di manipolazione (ingrandimento, rotazione, elaborazione dei livelli di colore, …) e annotazione. Se consideriamo la divisione di Robinson degli elementi di una scholarly edition in lavoro, documento e testo possiamo osservare come rispetto ad un'edizione a stampa, incentrata sul testo e sul lavoro, l'edizione digitale possa far emergere anche il documento stabilendo un nuovo equilibrio ( : 107). Non si tratta però solo di immagini di manoscritti, grazie alle tecnologie digitali è anche possibile effettuare analisi tridimensionali di epigrafi, o di statue, o di altro ancora.

Inserire le immagini in un'edizione digitale permette di rendere disponibile l'immagine del manoscritto completo di tutte le sue caratteristiche visibili: il materiale, l'inchiostro, la presenza di miniature, l'impaginazione, le tracce di rasura o di usura, la presenza o meno di glosse marginali e in caso il loro contenuto. Tutti questi elementi, pur non facendo direttamente parte del testo, offrono informazioni preziose: da queste caratteristiche possiamo capire, ad esempio, se il manoscritto era destinato all'uso scolastico o se si trattava di un'edizione di lusso, simbolo di uno stato sociale ( : 106); se un testo è contenuto in un codice miniato sappiamo che aveva un valore particolare all'interno della comunità che ha creato quel codice e così via.

L'edizione digitale mira a includere e integrare le immagini del manoscritto che conservano i testi oggetto dell’edizione critica o diplomatica ( : 347). Le immagini possono quindi essere ben più di un elemento ornamentale o una semplice illustrazione dell'edizione digitale, esse possono mostrare una parte del lavoro del filologo che di solito non emerge:

we may be brought to no longer thinking of document visualizations as somehow mere illustrative add-ons to editions. They may instead be properly recognized as constituting a core element of our editorial objects themselves. ( : 50)

Le edizioni digitali possono servirsi delle immagini per rendere visibili, e quindi verificabili, le scelte che il filologo ha compiuto. Grazie alla maggiore disponibilità di spazio rispetto all'edizione a stampa - dove poteva esistere il facsimile del testimone di un'opera, anche se difficilmente era raggiungibile nel colore e nella risoluzione la qualità delle attuali immagini a schermo - nell'edizione digitale si possono inserire più testimoni e il filologo può così rendere conto del suo lavoro fornendone le fonti.

Diventa in questa prospettiva estremamente interessante anche la possibilità di collegare l'immagine al testo dell'edizione: è utile poter indicare sull'immagine, ad esempio, un punto poco leggibile del testo e poterlo collegare alla trascrizione, come si vede in :

collegamento immagine-testo

collegamento immagine-testo

La mostra il collegamento tra l'immagine di un punto poco leggibile e la trascrizione corrispondente visualizzato tramite EVT. La codifica utilizzata permette non solo di collegare testo e immagine, ma anche di indicare il tipo di danno e la bassa leggibilità:

               
<zone ulx="257" uly="121" lrx="915" lry="148" rendition="Line" xml:id="TV_line_01v_01" />
<damage type="gora" quantity="5" unit="chars">
<unclear reason="faded"> conparatiuo </unclear>
</damage>
            

Questa funzionalità è particolarmente utile per avere un riscontro immediato dei loci più oscuri. È importante notare anche che le grandi campagne di digitalizzazione hanno aperto nuove prospettive di ricerca e che le grandi banche date di codici si rivelano estremamente utili anche per la formazione di filologi, paleografi e codicologi ( : 54). La maggior diffusione delle immagini implica una riflessione sulla loro gestione all'interno di opere digitali e non. Molte biblioteche rendono disponibile il loro patrimonio online per la consultazione e alcune permettono il download; ne deriva la necessità di parlare del riutilizzo delle immagini. Esse vengono rilasciate se si accettano condizioni d'uso che di solito permettono di usufruirne per utilizzo personale o per motivi di studio, ma non per la pubblicazione a stampa o digitale per la quale è necessario prendere accordi singolarmente con ogni biblioteca. Come esempio si riportano di seguito le condizioni standard che si trovano sul sito della Biblioteca Apostolica Vaticana:

«Non-Commercial Use. The user of digital images from the Biblioteca Apostolica Vaticana is obliged to follow the current national, and international, regulations for copyright. The digital images from the Biblioteca Apostolica Vaticana may:

La soluzione migliore per includere le immagini in un'edizione è l'uso - dove possibile - dell'International Image Interoperability Framework- IIIF, già menzionato, che permette l'interoperabilità delle immagini nel web: le immagini digitali che si trovano in un server remoto vengono presentate localmente in modo semplice e trasparente (Mancinelli e Pierazzo 2020, 54). Nello specifico:

IIIF achieves interoperability and responsive loading by having users not directly querying the image file as it is on the server, but instead, users send a request to an API with some parameters, among them the id of the image. In turn, the API does not use that id to go directly to the image file, but it first looks at an abstraction of the image, called a manifest, which is a JSON file ( : 172).

Alcuni software di visualizzazione come EVT già consentono la possibilità di integrare immagini in IIIF nelle edizioni digitali annotate con standard TEI:

portions of a TEI-encoded text based on a primary source such as a manuscript or a printed book are linked to the images of that source, stored and described via the IIIF framework. For instance, the transcription of a page of a manuscript can be linked to its facsimile, and the transcription of a line can be linked to the region of that facsimile corresponding to the line. ( : 151).

Qualora le immagini fossero inserite in questo modo nell’edizione critica digitale si creerebbe un collegamento diretto alla biblioteca di appartenenza e questo comporterebbe che tutte le modifiche e gli aggiornamenti fatti all'immagine dalla biblioteca sarebbero disponibili in tempo reale per l'edizione. D'altra parte, questa fluidità comporta il rischio di presentare un'immagine che, modificata, può diventare non conforme al testo che la riguarda: la fluidità di una parte può rompere il senso complessivo dissociando gli elementi. Per questo motivo è importante che i cambiamenti nell'edizione siano riportati e storicizzati. È però rilevante sottolineare come utilizzare questo sistema permetta di collegarsi direttamente alla fonte del manoscritto.

Conclusioni

L’elemento cruciale per comprendere le edizioni critiche digitali è pensare che l’obiettivo non è produrre una fedele copia delle edizioni a stampa, ma è necessario capire quali nuove possibilità vengono aperte dal digitale e come utilizzarle per far progredire la conoscenza. La strada per arrivare all’edizione critica digitale non è né semplice, né breve: deve tenere conto di una serie piuttosto lunga di bivi, scelte che l’editore deve prendere; salite attraverso l’apprendimento di nuove tecniche e l’uso di tecnologie che possono sembrare estranee; e discese che fanno riprendere il fiato quando si prova l’automatizzazione di alcuni passaggi e si vedono i primi risultati che arricchiscono il lavoro. Ogni edizione critica è un prodotto unico, pensato in modo particolare per un testo preciso, sia essa a stampa o digitale. Ogni testo ha una vita e una sua storia e richiede considerazioni proprie che possono portare a scelte diverse. Un testo con un solo testimone sarà trattato in modo diverso rispetto a uno con una tradizione ampia e aperta. La lunghezza del testo, la sua natura, l’autore o gli autori, la lingua, la presenza di testimoni diretti e/o indiretti, la natura di questi testimoni etc. sono solo una piccola parte delle variabili che si incontrano quando si lavora a un’edizione critica e l’edizione digitale riflette bene questa variabilità. Quello che si può e si deve fare è arrivare a delle prassi condivise e comuni alle quali il filologo possa attingere per preparare la sua edizione per comunicare nel modo più efficiente possibile i risultati della ricerca sul testo e per portare avanti la sua tradizione.

Portare alla luce i materiali di lavoro del filologo esplicita l’iter svolto e fornisce dati verificabili. Inoltre, accostare alla fine dell’edizione il proprio testo a quelli precedenti, come scrive Monella, presenta in un certo senso il filologo come ‘scriba’ che colloca il suo testo al termine di una tradizione che non si conclude: «ipotesi di lavoro in un’opera che non è iniziata con lui, e con lui non finisce» ( ).

Al termine del contributo, pare opportuno rilevare che tutte le parti dell'edizione digitale sono profondamente interconnesse e contribuiscono a formare il prodotto finale nella sua unità: le immagini, le scelte di codifica, la versione interpretativa, la trascrizione diplomatica, l’apparato critico e il programma di visualizzazione. Non si tratta di molti elementi separati e poi messi insieme, ma di tanti strumenti che insieme concorrono a rendere il miglior servizio possibile al testo e a chi ne usufruisce. Nonostante i limiti che possono essere incontrati nel momento in cui si passa da una riflessione teorica a un approccio sperimentale il valore del prodotto finale è maggiore di quello delle singole parti perché acquistano senso nel loro insieme.

Si potrebbe forse guardare all’odierno panorama digitale come ad un tessuto, costituito da molteplici fili che se presi singolarmente mantengono la propria specificità, ma solo se intrecciati tra loro ne formano la trama ( : 14).

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Disponibile nel sito: http://www.catullusonline.org/ Nel recente contributo Catullus Online: A Digital Critical Edition of the Poems of Catullus with a Repertory of Conjectures Kiss introduce l'edizione digitale ( : 99–114). Nello stesso volume è presente anche la recensione di Mastronarde: Curated Data for Textual History: Review of Catullus Online ( : 115–18).

Un prototipo navigabile dell'edizione è disponibile al link: https://marvelapp.com/63adb3j/screen/21255005

Disponibile nel sito: http://vindolanda.csad.ox.ac.uk/index.shtml

Disponibile nel sito: https://www.unicaen.fr/puc/sources/ciceron/accueil

«While it is true that XML as a data structure limits embedded expressions to a single hierarchy, it has a variety of solutions for this built in, such as the use of empty elements as boundary markers for other hierarchies and URI-based pointing for stand-off or out-of-line markup» ( : 14).

«Markup can provide a formal representation of textual dynamics precisely on account of its diacritical ambivalence and its capacity to induce structural indeterminacy and compensation. The OHCO thesis about the nature of the text is radically insufficient, because it does not recognize of structural mobility as an essential property of the textual condition» ( : 64).

«A questo proposito mi preme un’osservazione circa il tema della codifica dei testi: il latinista può essere tentato da una ‘delega’ all’esperto di informatica, delega a cui lo stesso esperto può essere propenso basandosi sull’esperienza fatta con altri tipi di testi o di dati – per es. testi contemporanei, con carattere di ripetitività, analizzati su meri problemi di contenuto o di ricorsività verbale –, ma tale delega non è opportuna perché può produrre uno strumento poco utile o peggio sviante per la comunità scientifica e per suo tramite per la stessa collettività destinataria di forme di disseminazione del sapere mediante prodotti editoriali e divulgativi di vario genere» ( : 7).

Disponibile alla pagina: http://evt.labcd.unipi.it. È citato nel Catalogo di Edizioni digitali curato da Franzini quattro volte (febbraio 2021).

Una descrizione del progetto è disponibile sul sito: http://v-machine.org. Il software è presente otto volte nel Catalogo di Edizioni Digitali curato da Franzini (febbraio 2021). Attualmente è in uso la versione 5.0 del 2016.

Si trova sul sito: http://dcl.ils.indiana.edu/teibp/index.html. Sui fogli di stile di TEI Boilerplate si basa il TEI Critical Apparatus Toolbox, disponibile al link: http://teicat.huma-num.fr/index.php, un utile strumento per la preparazione di edizioni native digitali.

Il download è possibile nel sito: https://teipublisher.com/index.html. Nel catalogo di Franzini, eXist-DB, su cui si basa TEI Publisher, compare otto volte (febbraio 2021).

«The first objective was that the software serves as an interface for readers to study a text […] The second objective was that the software be developed as a scholarly tool to aid editors in temporally and spatially reconstructing a work» ( : 93).

«Theory of editing, also known as historical-critical, has as its goal to provide a complete textual history rather than to establish a definitive or reading text» ( : 93).

«When building an edition by means of ad hoc software very often a level of interconnection is established between the text of the edition and its navigation program in such a depth that it makes it very difficult to separate one from the other at a later date, with negative consequences not only as regards possible changes to be made to the published edition, but also for a possible reuse of textual data. EVT, on the contrary, clearly separates the two domains while remaining an easily customizable tool thanks to the rich configuration options: because of this approach it offers full support to the concept of interchange» ( : 99).

Si possono citare a tal proposito: Codice Pelavicino Digitale project (Salvatori et al.); Tarsian digital edition (Schulthess and Sankar); Clavius on the Web project; Gherardi’s Théâtre italien; Marciana Gr. Z 11 (379).11; Edizione digitale dell'Editto Di Rotari descritta da Falluomini nel 2015; Liber di Catullo a cura di Bertone et. al.

O meglio, esiste ma in un’accezione profondamente diversa rispetto al mondo della stampa al quale è collegata come reminiscenza lessicale.

While Siemens deliberately eschews theoretical discussion (asserting rather that the social edition is something that we will articulate and define, through theory and functional prototyping, together) the core elements of the social edition — its fluidity, its ever-continuing reshaping as new materials are added, new perceptions generated — sits perfectly with the view of document, text and work here set out, without extending it. However, in one area the social edition appears to require an extension of the theory here expressed the subject which seeks to know is, we presume, an individual. But what if it is not an individual, but a group, a community? Siemens specifically invokes the developing concept of communities of practice as agents and creators of knowledge: meaning may be made not just by an individual, but by a group. Of course, even when I read as an individual, I am aware of the readings of others.

Quarto vantaggio presentato dalle edizioni digitali da Francesco Stella ( : 157).

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