Questo contributo intende presentare il lavoro svolto durante la Summer School Tran(s)missions che ha avuto luogo in forma sincrona e asincrona dal 10 al 19 settembre 2021 presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università degli Studi Roma Tre. Il corso, presentato in collaborazione con il Virtual Humanities Lab della Brown University, ha visto la partecipazione di 13 studenti, tra cui ricercatori, artisti, curatori, specialisti in scienze bibliotecarie, ingegneri, tecnici-archivisti che conducono studi interdisciplinari nell’ambito dell’Italianistica e della cultura visuale, aprendo le proprie prospettive d’indagine al rapporto tra parola e immagine, alla cultura visuale, ai media studies, ai material culture studies, ai film studies, al digital storytelling, al creative writing, alle digital and public humanities, alle arti visive, alla storia dell’arte, storia, e computer science.
This paper intends to present the work done during the Summer School Tran(s)missions that took place in synchronous and asynchronous form from 10 to 19 September 2021 at the Department of Humanities, University of Roma Tre. The course, presented in collaboration with the Virtual Humanities Lab of Brown University, was attended by 13 students, including researchers, artists, curators, library science specialists, engineers, and technical archivists conducting interdisciplinary studies in the field of Italian Studies and visual culture, opening up their own perspectives to investigation the relationship between word and image, visual culture, media studies, material culture studies, film studies, digital storytelling, creative writing, digital and public humanities, visual arts, art history, history, and computer science.
Luca Marcozzi e Manfredi Merluzzi hanno curato la sezione La Summer School Tran(s)missions e il DH Lab del DSU; Giuditta Cirnigliaro ha curato la sezione Svolgimento e storytelling; Angelica Federici ha curato la sezione Dal virtuale al materiale: mostra e risultati; Valeria Federici ha curato la sezione Realtà e didattica virtuale: la piattaforma New Art City; l’Introduzione e la sezione Tran(s)missions: Premesse e obiettivi sono a cura di tutti gli autori; l’Appendice. Progetti in mostra presso Spazio Taverna è a cura degli studenti della Summer School.
La rivoluzione digitale
ci costringe tanto a ripensare le corrispondenze tra arte
e scienza, quanto a riconsiderare il ruolo delle tecnologie in letteratura. La Summer
School Tran(s)missions: come la multimedialità forma e riforma la ricerca
interdisciplinare nell’ambito dell’Italianistica e della cultura visuale ha
esplorato il significato di interdisciplinarità e multimedialità utilizzando un
approccio sinergico per unire diverse metodologie provenienti dal campo delle Digital
Humanities, dagli studi sulle culture digitali e dai metodi di ricerca incentrati sulla
materialità dell’oggetto. Attraverso l’applicazione in forma laboratoriale dei
dispositivi utilizzati in ambito umanistico e digitale, la Summer School ha avvicinato i
partecipanti alla conoscenza degli strumenti adatti all’individuazione delle relazioni
tematiche che interessano il mondo computazionale dal punto di vista testuale, visivo e
spaziale, così come si presenta nei diversi mezzi, forme e fonti letterarie (cfr. e ). L’inclusione di studiosi
e artisti che operano in ambito internazionale e provenienti da diversi settori ha
permesso di allargare il dibattito intorno alle Digital Humanities e alle culture
digitali, al fine di favorire un confronto tra diverse tecniche e metodologie.
Attraverso una serie di incontri all’interno della cornice epistemologica della
multimedialità, Tran(s)missions ha offerto la possibilità di confrontarsi con
le trasformazioni che coinvolgono il campo dell’Italianistica e della cultura visuale
(cfr. ; ; ; ; ).
Questo contributo intende presentare il lavoro svolto durante la Summer School Tran(s)missions che ha avuto luogo in forma sincrona e asincrona dal 10 al 19 settembre 2021 presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università degli Studi Roma Tre. Il corso, presentato in collaborazione con il Virtual Humanities Lab della Brown University, ha visto la partecipazione di 13 studenti, tra cui ricercatori, artisti, curatori, specialisti in scienze archivistiche e biblioteconomiche, ingegneri che conducono studi interdisciplinari nell’ambito dell’Italianistica e della cultura visuale, aprendo le proprie prospettive d’indagine al rapporto tra parola e immagine, alla cultura visuale, ai media studies, ai material culture studies, ai film studies, al digital storytelling, al creative writing, alle digital and public humanities, alle arti visive, alla storia dell’arte, alla storia, e alla computer science.
Il Dipartimento di Studi Umanistici (DSU) dell’Università degli Studi Roma Tre ospita da
vent’anni diversi Laboratori, suddivisi per aree tematiche, deputati ad accogliere
docenti e studenti nelle loro attività di studio e a facilitare la loro ricerca con i
mezzi tecnologici (collezioni di testi digitali, risorse cartografiche, ecc.) che la
tecnologia e l’informatica, nel loro rapido progresso, hanno messo a disposizione.
L’obsolescenza di alcune risorse è stata contrastata dal costante aggiornamento curato
dai responsabili scientifici dei laboratori, che hanno promosso l’acquisizione continua
e mirata di alcuni strumenti, in collaborazione con il Sistema Bibliotecario di Ateneo
cui è stata demandata la cura delle risorse bibliografiche in rete. Ciascuno dei
laboratori presenta, come detto, la sua specificità disciplinare. Essi sono il
Laboratorio ‘Cultural heritage’; il Laboratorio Geocartografico Giuseppe Caraci
;
il Laboratorio Informatico di Italianistica; il L.I.S.A. – Laboratorio Informatico per
gli Studi Antichistici; il Laboratorio Multimediale di Storia. Nel 2019 i laboratori
sono stati collocati all’interno di una nuova struttura di raccordo, il Digital
Humanities Laboratory (DH Lab), che ne assicura il coordinamento. I laboratori hanno
seguito costantemente il progresso tecnologico che ha caratterizzato l’incremento e
l’evoluzione delle risorse digitali per gli studi umanistici. Nati all’alba del
millennio come luoghi fisici ove poter accedere, con postazioni dedicate, a pc, alla
rete internet e alle risorse digitali su supporto fisico possedute (tra queste, il vasto
catalogo della Videoteca, ora in larga misura digitalizzata), i Laboratori hanno negli
anni progressivamente mutato vocazione sino ad essere, oggi, luoghi di alta
specializzazione nella ricerca e di collaborazione alla didattica e alla terza missione.
Per il Dipartimento di Studi Umanistici di Roma Tre, le Digital Humanities costituiscono un settore da rafforzare, quale leva di sviluppo per ricerche innovative nelle discipline umanistiche. Il DH Lab è uno degli strumenti di questa visione e della strategia che le è sottesa, perché mette a disposizione risorse tecnologiche e competenze specifiche alle ricerche scientifiche degli studiosi del dipartimento e dei ricercatori nei vari progetti. Risorse non solo tecnologiche, ma anche umane, che collaborano con l’obiettivo di favorire l’interazione tra tutti i settori scientifici del Dipartimento, di sostenere la partecipazione a progetti di ricerca condivisi, di intercettare le risorse sempre più cospicue destinate a ricerche innovative, di favorire lo sviluppo reciproco di discipline umanistiche e tecnologie avanzate. Il DH Lab raccoglie e promuove i progetti di ricerca del Dipartimento che hanno una speciale attenzione per il settore delle Digital Humanities. Tra i più importanti progetti orientati alla dimensione digitale del Dipartimento di Studi Umanistici figurano il PRIN ITINERA (Italian Trecento Intellectual Network and Europe’s Renaissance Advent), di cui l’unità locale di Roma Tre coordinata da Luca Marcozzi, cura la digitalizzazione della rete epistolare di Petrarca. Il FIRB ALI – Autografi dei Letterati Italiani dalle origini al Cinquecento (coordinatore Maurizio Fiorilla); il progetto di Ateneo ARTIS (coordinatrice Franca Orletti); il progetto Cinquecento plurale (coordinatore locale Giuseppe Crimi); il progetto LiLeo Beta Digital Edition (a cura di Giuditta Cirnigliaro, tutor Luca Marcozzi); il progetto Vita monastica a Roma nel XIII secolo. Il complesso di S. Agnese fuori le mura in Virtual Reality (a cura di Angelica Federici, tutor Giulia Bordi); il progetto Linfa (coordinatrice Elisa De Roberto); il progetto Vulcanoes Visual History (coordinatore Antonio Clericuzio). Altre ricerche di rilievo condotte presso il Dipartimento in ambito digitale sono: In codice ratio (coordinatore locale Serena Ammirati); ed EHEM Enhancement of Heritage Experiences: The Middle Age. Digital Layered Models of Architecture and Mural Painting over Times (coordinatore locale Giulia Bordi).
Il DH Lab fornisce anche un importante supporto alle attività didattiche del Dipartimento, con le sue strutture e le competenze che vi operano, organizzando materiali didattici, attività di laboratorio, visite ed escursioni. Le strutture coordinate dal DH Lab ospitano classi all’interno dei Corsi di Laurea del DSU, ma collaborano anche ai corsi professionalizzanti e ai Master fortemente orientati all’uso di tecnologie e risorse digitali. Il DH Lab, con i laboratori coordinati dalla struttura, ha fornito e fornisce supporto didattico per i seguenti master: MECS, Master Esperto in comunicazione storica: multimedialità e linguaggi digitali; Master GIS. Digital Earth e Smart Governance. Strategie e strumenti GIS per la gestione dei beni territoriali e culturali (non attivo per l'a.a. 2021/2022); Master TPC - Esperti nelle attività di valutazione e di tutela del patrimonio culturale; Master TPC - Strumenti scientifici di supporto alla conoscenza e alla tutela del patrimonio culturale. Oltre ai master, il DH Lab promuove scuole di alta formazione a forte vocazione digitale e umanistica, come la Summer School Trasogno Roma: Leonardo da Vinci tra antico e moderno (2019), la Trans-Med Fall School. New narrations about diversity, e la Summer School Tran(s)missions che si presenta in questo contributo.
Il contenuto di ogni medium è sempre un altro medium
affermava nel 1964 Marshall
McLuhan nel suo innovativo Gli strumenti del comunicare, aprendo le porte alla
multimedialità. Le discipline umanistiche si sono sempre confrontate con un panorama
poliedrico e composito che oggi definiamo multimediale. Nella cultura umanistica
italiana sono documentate numerose prove di multimedialità, intesa anche come
interdisciplinarità, tra la scrittura e la creazione artistica legata all’esperienza del
visuale, come per esempio nell’opera di Toti Scialoja, Italo Calvino e Gianni Toti, nel
primo con i richiami tra poesia e pittura, nel secondo con l’esplorazione della
letteratura computerizzata, poi realizzata nella poetronica del terzo. Si
tratta di un ampio ambito di indagine: si può infatti guardare all’arte di collegare
immagini e testo tipica dei frontespizi dei manoscritti fino a considerare le
avanguardie storiche del primo Novecento (cfr. ; ; ; ; ). A partire da queste premesse,
Tran(s)missions ha inteso rispondere alle seguenti domande: cosa intendiamo
nello specifico quando parliamo di multimedialità? Quali sono le metodologie che ci
aiutano a studiare il cambiamento della creazione artistica e letteraria in funzione del
medium? Quali strumenti abbiamo per analizzare tale cambiamento ora che il
nostro vocabolario si è arricchito in relazione all’affermarsi dei nuovi media?
Unendo diverse tipologie di studio provenienti dal campo dell’Italianistica, degli Italian Studies, delle Digital Humanities, dagli studi sulle culture digitali e da metodi di ricerca incentrati sulla materialità dell’oggetto, la Summer School ha inteso stimolare nuove riflessioni interdisciplinari e fornire ai partecipanti gli strumenti per individuare le relazioni che attraversano la multimedialità dal punto di vista testuale, visivo e spaziale, come si presenta nei diversi mezzi, forme e fonti letterarie del periodo moderno e contemporaneo.
Le Digital Humanities costituiscono una sfida agli studi incentrati sulla materialità
dell’artefatto per diverse ragioni. La cultura umanistica digitale coinvolge infatti
l’intangibilità dei dati che si maschera all’interno delle tecnologie innovative;
inoltre, per la sua intrinseca natura interdisciplinare, connette gli studi umanistici a
quelli scientifici; infine, promuove lo sviluppo di metodi pedagogici avanzati e di un
insegnamento ubiquo. La cosiddetta rivoluzione digitale
ci costringe dunque a
ripensare le corrispondenze tra arte e scienza e a riconsiderare il ruolo delle
tecnologie legate all’informazione in arte e in letteratura. Lo studio di tali
trasformazioni e l’esplorazione del ruolo che esse rivestono nell’ambito
dell’Italianistica e della cultura visuale, è stato condotto attraverso una serie di
incontri afferenti alla cornice epistemologica delle culture digitali. Al contempo, gli
strumenti utilizzati dalle Digital Humanities sono stati approfonditi dal punto di vista
teorico e pratico, in modo da creare un ambiente intellettuale e un laboratorio
transmediale nel quale coniugare la conoscenza degli aspetti tecnici e concettuali che
riguardano la trasposizione di oggetti digitali in dati d’archivio e, allo stesso tempo,
l’analisi di materiali digitali di natura testuale e visuale. Per fare ciò, il gruppo di
lavoro di Tran(s)missions è stato composto da professori, ricercatori,
dottorandi e professionisti del settore tecnico-artistico quali creativi digitali,
registi, e leader di progetti tecnologici come lo storytelling. In aggiunta al
campo disciplinare dell’Italianistica tradizionale, la Summer School ha presentato
dunque un connubio di esperienze e strumenti provenienti da diversi ambiti della
ricerca, quali le scienze computazionali, l’analisi e l’elaborazione dell’immagine e del
testo digitale, il web semantico, le annotazioni virtuali sui manoscritti che includono
la modellazione 3D, la realtà virtuale e aumentata e l’International Image
Interoperability Framework (IIIF). Attraverso l’interazione di tali metodologie e
applicazioni si è inteso definire come le tecniche legate alle Digital Humanities
contribuiscono a formare nuove nozioni critiche che riguardano le fonti e i materiali
moderni e contemporanei (cfr. ; ; ; ).
Le lezioni e i workshop sono stati ideati con il fine di realizzare un progetto di ricerca di gruppo o project work accolto all’interno di una mostra virtuale e un’esposizione on-site. Tra le attività proposte sono state incluse roundtables, tutorial one-to-one e laboratori di gruppo, visite presso istituzioni e spazi espositivi quali la Domus Aurea e le gallerie Valentina Bonomo e Gladstone Gallery, e discussioni sui temi affrontati dalla Summer School. La mostra si è svolta in forma virtuale sul portale New Art City: Virtual Art Space e on-site presso lo Spazio Taverna a Palazzo Taverna a Roma. La Summer School ha dunque presentato un connubio di esperienze e strumenti provenienti da diversi ambiti di ricerca.
Dopo l’apertura dei lavori nella prima parte della Summer School in modalità online
(10-14 settembre) a cura del direttore del Dipartimento di Studi Umanistici di Roma Tre,
prof. Manfredi Merluzzi, e del direttore della Summer School, prof. Luca Marcozzi (Roma
Tre), le organizzatrici e tutor Giuditta Cirnigliaro (Roma Tre), Angelica Federici (Roma
Tre) e Valeria Federici (University of Maryland) hanno presentato le attività. In tale
occasione, gli studenti hanno avuto modo di conoscersi attraverso brevi presentazioni
(giornata 1). La lezione introduttiva della prof.ssa Bolgia (Università di Udine)
“Linking Evidence: A Digital Approach to Medieval and Early Renaissance
Rome” all’interno della sessione Discipline umanistiche | Linguaggi digitali ha
illustrato il progetto Linking Evidence offrendo agli studenti un modello di
best practice per condurre una ricerca interdisciplinare in ambito digitale
attraverso dei case studies applicativi ( ). Nell’intervento
successivo per la sessione Metodologie | ricerca umanistica, Virtual
Transmissions: Analog to Digital (and vice versa)
, il prof. Massimo Riva (Brown
University) si è concentrato sulle diverse modalità di rappresentazione virtuale
mostrando i problemi metodologici a essa connessi. Il confronto tra docenti e studenti
ha avuto luogo in forma di roundtables nelle cui sono stati discussi concetti, teorie e
metodologie delle Digital Humanities e delle culture digitali, con il fine di esplorare
le evoluzioni della ricerca accademica introdotte dal digitale e le corrispondenze tra
le complesse relazioni che determinano gli oggetti di studio in campo umanistico e la
loro riduzione in dati. L’esame dei casi di studio presentati ha fatto emergere
l’importanza dell’interazione tra molteplici competenze nello sviluppo di un prodotto
digitale, offrendo agli studenti un esempio di come relazionare le proprie capacità
all’interno di un team composto da esperti provenienti da ambiti disciplinari differenti
per lo sviluppo di un progetto comune.
Il fine settimana è stato dedicato interamente alla preparazione dei partecipanti al lavoro di gruppo per l’ideazione e la realizzazione del project work finale (giornate 2 e 3). A sostegno delle attività, delle lezioni e dei workshop è stato messa a disposizione una cartella Drive a cui docenti, tutor e studenti hanno contribuito in maniera collaborativa, oltre al sito della Summer School. Alle presentazioni dei progetti dei singoli studenti sono seguite Q&A e tutorial one-to-one finalizzati alla creazione dei team per la realizzazione dell’output e della mostra a conclusione del corso. Queste sono state intervallate da brevi tutorial e workshop sull’utilizzo di strumenti applicativi open source quali Blender, programma per la creazione e la manipolazione di oggetti 3D, e New Art City Virtual Art Space, la piattaforma digitale che gli studenti hanno poi utilizzato per la creazione della mostra virtuale.
Dopo aver formato i gruppi di lavoro, sono stati proposti nuovi tutorial e workshop
indirizzati nello specifico allo sviluppo dei progetti, su richiesta degli studenti
(giornate 4 e 5). In particolare, sono stati introdotti gli strumenti Omeka, un software per la creazione di collezioni e
mostre digitali nell’ambito librario, museale, archivistico e accademico, e il consorzio
IIIF che offre molteplici risorse per annotare,
sovrapporre e modificare immagini e oggetti digitali online, garantendo
l’interoperabilità del proprio patrimonio con altri database e risorse appartenenti a
musei, biblioteche e archivi su scala internazionale. Il laboratorio applicativo Data
Art Practice Workshop
guidato dall’artista Greg Niemeyer (University of
California, Berkeley) nell’ambito della sessione Culture digitali | linguaggi artistici
ha inoltre permesso agli studenti di sperimentare l’utilizzo degli strumenti introdotti
nel corso della Summer School in relazione a dati elaborati da loro e di inserire i
progetti di gruppo all’interno della piattaforma New Art City, sfruttando al massimo le
potenzialità di questo spazio virtuale hands-on.
Grazie alla sessione frontale Intermedialità | letteratura e visualità gli
studenti hanno potuto confrontarsi al contempo con il tema dell’intermedialità e della
visualizzazione in campo letterario secondo modalità differenti. Nell’ambito della
lezione Notes on Crisis and Oceanic Worldmaking
la prof.ssa Rhiannon Noel Welch
(University of California, Berkeley) ha illustrato dei case studies inerenti alle
tematiche di crisi, estetica e biopolitica negli studi di Italianistica che assumono
iconografie, poetiche e strategie narrative ricorrenti ( ).
A seguire la prof.ssa Francesca Serra (Université de Genève) nella presentazione Un
esperimento letterario: come visualizzare tutta l’opera di Italo Calvino
ha
guidato gli studenti nel processo creativo del progetto digitale Atlante Calvino:
letteratura e visualizzazione, una piattaforma web con cui è possibile esplorare
l’opera narrativa dello scrittore attraverso elaborazioni visuali che rispecchiano le
interrogazioni letterarie rivolte al corpus dei testi calviniani, nata dalla
collaborazione tra un gruppo di ricerca di ambito letterario (Département des langues et
des littératures romanes, Université de Genève) e un team tecnico di designer e
sviluppatori web (DensityDesign Research Lab, Politecnico di Milano) ( ). La prof.ssa Emanuela Patti (University of Edinburgh) con
la lezione “Opere aperte: the poetics and politics of Italian electronic
literature” ha poi offerto una dettagliata analisi di forme creative contemporanee che
uniscono più arti e media, come sound art, poesia visuale, cinema e performance,
avvicinando la letteratura a esperienze multisensoriali e interattive ( ).
Nella seconda parte in presenza della Summer School (15-19 settembre) studenti e docenti
hanno finalmente potuto incontrarsi di persona e continuare l’esplorazione della
sessione Discipline Umanistiche | Linguaggi digitali (giornata 6). La
presentazione del prof. Luca Marcozzi, Il Trecento europeo: progetto multimediale
sulle corrispondenze letterarie alle origini del Rinascimento
attraverso
l’iniziativa digitale
Petrarch’s ITINERA: Italian Trecento Intellectual Network and European
Renaissance Advent
ha fatto emergere l’importanza dell’utilizzo di strumenti relativi al Web semantico
e Linked Open Data per catalogare e tracciare le corrispondenze letterarie in campo
umanistico, a partire da quelle di Petrarca, in modo da trasformare le relazioni tra gli
individui ed, eventualmente, i manoscritti, in diagrammi semantici fruibili e
interrogabili a più livelli. Il laboratorio applicativo Data Visualization
Workshop
a cura di Arturo Gallia (Roma Tre) ha introdotto i partecipanti ai
programmi GIS Umap e Google My Maps per la creazione
e la sovrapposizione di mappe interattive che sono diventate la base del project work
sviluppato dagli studenti geo_grafie.
Successivamente, nella sezione Digital Storytelling, gli studenti hanno potuto assistere alla lezione teorica del prof. Gino Roncaglia (Roma Tre) che ha offerto una riflessione storico-critica sull’editoria digitale e le Digital Humanities, e al laboratorio progettuale del regista Francesco Clerici che a partire dalla nozione di patrimonio immateriale ha presentato il proprio lavoro e guidato gli studenti alla realizzazione dei trailer per i project work finali (giornate 7 e 8). Nel laboratorio le metodologie apprese nella lezione frontale sono state applicate al linguaggio audiovisivo come contenitore interdisciplinare, tra realtà aumentata, storia orale e video-ritratti, pratiche e tecniche di interazione tra materie scientifiche, umanistiche e antropologiche. Gli studenti hanno potuto in tal modo ideare un racconto visivo con il fine di creare uno storytelling da inserire all’interno del proprio progetto ( ).
La sezione Dati | Visualizzazioni è proseguita con la presentazione di Raffaele
Carlani, architetto fondatore del progetto Katatexilux, che ha mostrato alcune installazioni multimediali e l’utilizzo di
video mapping, realtà virtuale (VR) e realtà aumentata (AR) applicate ai beni culturali
(come Aqua Virgo, Santa Maria Antiqua e la Domus Aurea), realizzate attraverso la
collaborazione di storici dell’arte, architetti, designer e programmatori per facilitare
la ricostruzione architettonica e la fruizione congiunta di specialisti e grande
pubblico. Carlani ha poi condotto gli studenti all’esplorazione della Domus Aurea e
delle installazioni in essa presenti attraverso una visita sul campo. La sezione
Discipline umanistiche | linguaggi digitali che aveva inaugurato la Summer
School si è chiusa con la lezione Questa fragile eternità. La conservazione del
digitale: criticità, buone pratiche, questioni aperte
, in cui il supporto
digitale è stato indagato nella sua continua evoluzione e in rapporto alla conservazione
dell’oggetto analogico, sollevando questioni di cruciale interesse per lo sviluppo e il
futuro dei progetti degli studenti in merito a questioni relative alla sostenibilità dei
prodotti digitali e alla mancanza di una disciplina che ne favorisca la conservazione.
Conclusasi in tal modo la parte teorica e pratica delle lezioni e dei laboratori, i partecipanti alla Summer School hanno potuto effettuare il sopralluogo allo Spazio Taverna, dove sarebbe avvenuto l’allestimento della mostra. Il curatore e artista Marco Bassan ha presentato lo spazio espositivo soffermandosi sull’interazione tra arte e scienza che caratterizza le iniziative a esso connesse e sull’importanza di comunicare un’esperienza al visitatore, rendendo il proprio progetto fruibile e interattivo. A seguito di un’ulteriore tappa che ha permesso agli studenti di addentrarsi nel mondo artistico e curatoriale attraverso l’artist talk di David Quayola e le gallery walk presso le gallerie Bonomo e Gladstone, i project work sono stati ultimati tramite tutorial e lavoro di gruppo, e mostrati al pubblico durante l’inaugurazione della mostra fruibile, al contempo, in presenza presso lo Spazio Taverna e online sulla piattaforma New Art City (giornate 9 e 10). Attraverso una serie di esperienze e strumenti provenienti da diversi ambiti che ruotano attorno al settore dell’Italianistica e delle Digital Humanities gli studenti hanno realizzato un prodotto collaborativo interdisciplinare, acquisendo nozioni critiche e tecniche che riguardano le fonti e i materiali moderni e contemporanei e una nuova consapevolezza sull’importanza dell’interazione tra mondo accademico, istituzioni artistiche e patrimonio culturale.
La prima fase della settimana di studio, svoltasi in modalità remota, è stata in parte
dedicata al concetto ampio di virtualità, intesa come tutto ciò che si svolge e nasce
all’interno di uno spazio non fisico e quindi condiviso, o mediato, solo attraverso lo
schermo. Un contributo specifico nell’ambito della realtà virtuale e delle sue
molteplici sfaccettature e interazioni è stato offerto sia durante l’intervento del
prof. Massimo Riva, docente di Italian Studies presso la Brown University, intitolato
Virtual Transmissions: Analog to Digital (and vice versa)
, sia durante i
laboratori didattici che hanno riguardato la piattaforma New Art City e lo strumento per
la manipolazione di immagini digitali chiamato in breve IIIF, acronimo di International Image Interoperability Framework. La piattaforma
New Art City è stata creata dall’artista
Don Hanson (n. 1990) durante gli anni di studio presso l’università statale di San Jose
in California ed è attualmente mantenuta da lui stesso, insieme a un team di
collaboratori: Martin Mudenda Bbela, Christina Lelon, Benny Lichtner and Sammie Veeler.
New Art City è una galleria virtuale nata con l’intento di ospitare specificatamente
opere digitali che non hanno mai avuto una loro presenza nello spazio fisico al di fuori
dello schermo o del computer, opere che si definiscono, intendono e sono per natura
born-digital
. All’interno dell’ottica virtuale, sia le presentazioni sia i
laboratori offerti durante la scuola, hanno illustrato e messo in discussione uno
scenario tecnologico legato tanto al desiderio visivo, quanto alla possibilità di
apertura degli oggetti studiati, o forse, riapertura, sul piano della rappresentazione e
dell’interpretazione. Per apertura si intende qui il suggerimento avanzato da Umberto
Eco (1962) recuperato e reinserito in un panorama multimediale post-digitale articolato
nell’intervento della dott.ssa Emanuela Patti, Lecturer di Italiano presso l’Università
di Edimburgo, dal titolo Opere aperte: the poetics and politics of Italian electronic
literature
. Come ribadito nell’arco dell’intero progetto della scuola, l’intento
di questa analisi dei mondi virtuali possibili è stata mirata tanto al superamento delle
barriere disciplinari, quanto al raggiungimento di un’area non delineata e,
deliberatamente, non si è voluto restringere la ricerca ad ambiti esclusivamente visivi
o letterari, ma si è cercato di abbracciare una visione ampia oltre i confini
settoriali. Questo è stato portato a compimento grazie alla collaborazione con
professionisti provenienti da diverse aree che hanno contaminato le proprie competenze e
metodologie unendo la tradizione umanistica e la sfera digitale nella sua espressione
più creativa. Come affermato dalla stessa dott.ssa Patti, la convergenza digitale tra
vecchi e nuovi mezzi ha preso le pratiche di ibridazione culturale e sociale del
postmoderno mescolando cultura alta e cultura popolare e portandole ad un livello
nuovo che oltrepassa le distinzioni verso nuovi, imbattuti percorsi
( ).
Per quanto riguarda l’aspetto puramente pratico, come accennato, la didattica dei
laboratori è servita a introdurre la piattaforma New Art City e lo strumento per la
visualizzazione e manipolazione delle immagini chiamato IIIF. Vista la natura delle
piattaforme stesse e le implicazioni dovute all’adozione di un ventaglio
intercontinentale di interventi, la didattica a distanza è risultata un buon mezzo per
esplorare quegli strumenti pensati e realizzati appositamente per prodotti virtuali. New
Art City è infatti, come menzionato, un ambiente virtuale che utilizza la simulazione 3D
per ospitare oggetti nativi dell’ambiente digitale, supportando un’ampia gamma di
estensioni per i file multimediali, inclusi video e audio. Lo spazio virtuale assume le
sembianze di un videogioco all’interno del quale l’utente può muoversi a 360 gradi,
facendo ruotare il proprio cursore su sé stesso, avanzando, indietreggiando o
spostandosi lateralmente. New Art City gira interamente in rete e prevede l’uso dello
spazio positivo
, facendo percorrere al cursore i piani al di sopra del pavimento,
oppure dello spazio negativo
, facendo percorrere al cursore i piani al di sotto
del pavimento ( , , ). Nonostante sia possibile inserire la distinzione tra un
sopra e un sotto, la piattaforma non la rende esplicita. Il modo forse più esaustivo per
descrivere l’ambiente virtuale è quello di immaginarsi immersi nel mare, con l’abilità
di potersi muovere in ogni direzione. La differenza è che ci si può muovere liberamente
e posizionare i propri oggetti in qualsiasi punto, al di sopra o al di sotto del pelo
dell’acqua. Durante il laboratorio gli studenti e le studentesse che hanno lavorato in
gruppo con il prof. Greg Niemeyer, artista digitale e docente di Media Innovation presso
l’Università di Berkeley, hanno analizzato dunque come intervenire su uno spazio che va
oltre la logica cartesiana del piano orizzontale o verticale, e oltre la logica
espositiva della parete, sfruttando a pieno le caratteristiche della simulazione
tridimensionale resa possibile su uno schermo digitale. L’alta risoluzione ormai
raggiungibile dai software che permettono tali simulazioni, la cui mancanza ne aveva
precluso l’uso e deluso le aspettative durante i primi anni della cosiddetta GUI
(Graphical User Interface), agli albori della grafica computerizzata (cfr. ; ; ), offre ora risultati sorprendenti anche per una piattaforma completamente
accessibile via browser senza bisogno di installare o far girare alcun software in
locale sul proprio dispositivo. La mostra virtuale realizzata su New Art City per Tran(s)missions che ha
accompagnato quella nelle sale dello Spazio Taverna a Roma, di cui si scrive nella
sezione Dal virtuale al materiale
in questo stesso resoconto, ha dato modo ai
gruppi di lavoro di scegliere come gestire i propri contenuti. Tra le opzioni, alcuni
hanno scelto di guidare l’utente, visitatori o visitatrici, simulando pedane e tunnel
dai varchi ottagonali, lungo i quali sono state posizionate le indicazioni sufficienti a
seguire una certa direzione, per poter così scoprire i materiali che, proprio come in un
videogioco, emergevano via, via che ci si avvicinava agli stessi. Ecco che una volta
avviato un video o visualizzata un’immagine formato GIF, il prodotto digitale inserito
all’interno del suo ambiente naturale
ha svolto la doppia funzione di ancorare lo
spazio dello spettatore, ma anche di offrire lo spunto per abbandonare qualsiasi logica
di tragitto predefinito. Un altro aspetto sul quale è dunque possibile riflettere nel
caso di New Art City è quello legato al concetto di proporzione che sfuma all’interno di
uno spazio di simulazione come questo. Tale riflessione ci porta a discernere sull’altro
strumento analizzato durante uno dei laboratori, ovvero IIIF. IIIF offre l’opportunità
di manipolare, annotare, confrontare e usufruire di immagini disponibili in rete
attraverso un URL dedicato. Al contrario della piattaforma New Art City, IIIF replica
nell’ambiente virtuale una metodologia consolidata nello studiare l’oggetto materiale,
soprattutto in ambito storico-artistico, ovvero la comparazione tra immagini simili o
che hanno un denominatore comune. Tuttavia, come accade per New Art City, anche
all’interno del cosiddetto manifest
di IIIF, ovvero la schermata o cornice dove
prende vita questa visualizzazione, le proporzioni tendono a svanire, a finire in
secondo piano. Per il gruppo di lavoro che ha partecipato alla settimana di studio, IIIF
si è rivelato uno strumento molto importante per accrescere le potenzialità di
un’analisi che lega lo studio delle immagini allo studio del testo. IIIF, infatti, è in
grado di generare o meglio di rendere manifesta una visualizzazione di un file immagine
senza distinzioni ovviamente di cosa viene rappresentato dall’immagine stessa. È
pertanto possibile studiare tramite IIIF dipinti, statue, manoscritti, documenti e tutto
ciò che può essere reso fruibile attraverso un file immagine.
In conclusione, ritornando alla relazione tra gli interventi nella parte iniziale della settimana di studio che hanno riguardato la realtà virtuale in molte delle sue forme, si nota che mentre Riva ha posto l’attenzione sulla specificità del mezzo utilizzato in concomitanza con le ricerche scientifiche nel campo dell’ottica in un periodo che precede l’Illuminismo e l’emergere di intrattenimenti di massa, soffermandosi sul fenomeno allora emergente di una meta-rappresentazione resa possibile dal progresso scientifico, Patti ha chiuso in qualche modo il cerchio di questa esplorazione affacciandosi sul significato della rappresentazione stessa, ora che le masse partecipano attivamente alla creazione costante di contenuti e dell'autorappresentazione che gli stessi necessitano. I laboratori offerti hanno altresì esplorato questi procedimenti attraverso il meccanismo di hands-on e quindi offrendo l’opportunità ai partecipanti della scuola di creare il proprio spazio espositivo e le proprie esplorazioni in un ambiente virtuale e dando quindi loro l’opportunità di fondere la propria metodologia e il proprio approccio al materiale di studio entrando in contatto con mezzi nuovi, frutto della creatività e della contaminazione interdisciplinare. In altre occasioni e in altri anni si sarebbe parlato di dar vita a un processo di analisi ibrido (cfr. ; ). Per questa particolare settimana di studio si è voluta mantenere la linea della multimedialità e dell’interdisciplinarità, ma il discorso rimane aperto.
Come sopra esplicitato, la Summer School Tran(s)missions si è svolta nell’arco di 10 giorni, e ha previsto i primi 5 a distanza utilizzando la piattaforma Microsoft Teams, sia per le lectures che per i workshop, e i restanti 5 in presenza presso il DSU di Roma Tre e gli spazi espositivi di Spazio Taverna, dedicati allo svolgimento del progetto finale di mostra. La suddetta modalità ha permesso di costruire un'offerta formativa che non fosse vincolata da limiti economici/geografici, e che potesse includere docenti, soprattutto dagli Stati Uniti, che non avrebbero potuto viaggiare sia per l'inizio dell’anno accademico (in USA fine agosto) che per motivi logistici dettati dalla pandemia. Questo inoltre ha dato la possibilità al comitato organizzativo di ampliare il pacchetto docenti senza dover far fronte a eccessive spese di logistica. Gli studenti hanno invece avuto l'opportunità di pernottare meno notti fuori casa, riducendo il costo di partecipazione ma senza venir meno ad un supporto, sia sul fronte organizzativo che quello didattico, che il comitato si è incaricato di garantire durante la prima parte dello svolgimento online. Inoltre, i primi giorni sono stati propedeutici per finalizzare l'organizzazione dei gruppi progettuali e di tutte le attività che non prevedevano l'obbligatorietà della presenza. Per la seconda parte del corso è stata richiesta imprescindibilmente la partecipazione degli studenti in sede a Roma. Questa si è resa necessaria dato che la Summer School ha previsto visite on site presso spazi espositivi multimediali ma soprattutto il sopralluogo nei locali di Palazzo Taverna adibiti ad uso mostra per i partecipanti. Gli studenti hanno avuto così la possibilità di utilizzare l’infrastruttura laboratoriale messa a disposizione dall'Università e le risorse umane del Dipartimento (Segreteria, Personale Tecnico, Amministrazione). Sono state apprezzate notevolmente le visite presso le esperienze multimediali della Domus Aurea sul Colle Oppio, in particolar modo l’installazione Domus Aurea in Realtà Virtuale, aperta in occasione della visita degli studenti. Attraverso un confronto con la mostra multimediale temporanea inaugurata per il cinquecentenario della morte di Raffaello: Raffaello e la Domus Aurea. L’invenzione delle Grottesche si è inoltre avuto modo di riflettere sull’utilizzo della tecnologia nella divulgazione del sapere umanistico. Le visite presso gallerie di arte contemporanea di Roma (Alessandra Bonomo e Gladstone Gallery presso Sant'Andrea de Scaphis) hanno invece permesso una riflessione sia sul progetto curatoriale sia sull’infrastruttura espositiva in sede di mostra ( ).
Se da un lato l’aspetto blended ha favorito determinate sinergie, dall’altro ha sfavorito l’adesione da parte di alcuni studenti, per cui non è stato possibile partecipare per via dello svolgimento della seconda metà del corso in presenza a Roma. Il comitato organizzativo ha infatti ricevuto diverse richieste per frequentare l’intera Summer School da remoto da parte di studenti extra-europei, a cui purtroppo è stata negata la possibilità di adesione. L’altra questione che ha rappresentato un punto di riflessione è stata proporre la Summer School in doppia lingua, specialmente per gli assigned readings in lingua italiana. Questo ha rappresentato un aspetto critico per gli studenti stranieri che non avendo dimestichezza con la lingua si sono scoraggiati dall'impossibilità di poter fruire del corso nel suo pieno potenziale. Per le docenze invece non abbiamo riscontrato grosse criticità dato che è stata offerta la possibilità di traduzione simultanea sia durante le lezioni in inglese che durante le lezioni in italiano. Nonostante una buona conoscenza della lingua inglese fosse richiesta dal bando, la disponibilità di questo servizio ha consentito di mettere in campo una mediazione linguistica durante i laboratori, specialmente in virtù dell'utilizzo di un linguaggio altamente specialistico. Inoltre, la registrazione delle lezioni ha consentito agli studenti di revisionare il materiale presentato in classe e di chiarire con i tutor questioni o problematiche emerse durante lo svolgimento dei workshop.
Oltre alla possibilità di sviluppare le potenzialità legate ai lavori individuali, presentati dagli studenti per partecipare al bando della Summer School, attraverso un’accurata analisi delle caratteristiche dei progetti, ma anche dei curricula, è stato richiesto un lavoro di gruppo da presentare come prova di fine corso. Il programma progettuale collettivo ha visto la creazione di tre gruppi, differenziati per strumenti di indagine e inclinazioni professionali. Ciò ha consentito ai partecipanti di lavorare su due canali progettuali distinti, da un lato la singola linea di indagine individuale, dall'altra quella collettiva, che ha previsto la realizzazione di un'opera fisica da presentare in mostra presso lo Spazio Taverna. Questa sfida è stata particolarmente utile per dare agli studenti la possibilità di mettere in pratica quanto appreso durante la prima parte del corso e avere un applicativo efficace che mostrasse le competenze apprese durante i seminari. La creazione di gruppi di lavoro ha inoltre permesso di creare workshop mirati alle esigenze dei progetti e approfondimenti su misura per l’elaborazione dei dati. Attraverso un approccio sinergico con i curatori Marco Bassan e Ludovico Pratesi di Spazio Taverna si è cercato di privilegiare un approccio sinestetico alla mostra che permettesse a un target di pubblici diversificati di fruire dell’esperienza. Si sono quindi messi in pratica i concetti appresi durante i seminari dedicati alla visualizzazione 3D nello spazio museale finalizzati alla creazione di un percorso di mostra. Attraverso gli insegnamenti di Raffaele Carlani ideatore del Progetto Katatexilux, azienda che da oltre dieci anni opera nel settore del Digital Cultural Heritage, gli studenti hanno potuto comprendere in modo olistico come le Digital Humanities offrano l'opportunità di trasformare e divulgare saperi umanistici e ricerche filologiche attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici. Questo dato si è palesato in modo altrettanto chiaro nella lezione dell’artista Davide Quayola che ha ribadito l’importanza di una coerenza estetica per una fruizione efficace di lavori che presentano un apparato digitale significativo. La prima sala della mostra è stata quindi dedicata alla visualizzazione del trailer dei progetti, mini-video pillole che potessero in modo efficace racchiudere i principali concept dei lavori. Inoltre, questa ha ospitato il lavoro del gruppo Otto/ottavi che ha esplorato il tema della casualità tramite l’utilizzo dell’algoritmo Voyant per la selezione di otto parole nell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto e nelle Poesie elettroniche di Fabrizio Venerandi poi trasposte nel gioco dei tarocchi. L’elemento del gioco e della casualità sono stati ulteriormente evidenziati anche nell’esperienza virtuale del percorso espositivo su New Art City. La seconda sala della mostra ha invece ospitato i gruppi geo_grafie dedicato all’utilizzo di programmi di mapping e geolocalizzazione per far convergere le quattro proposte dei partecipanti in un unico progetto e Parallel Disruptions incentrato sull’utilizzo della fotogrammetria e delle riproduzioni ipercolorimetriche delle opere di una delle studentesse, riportate poi virtualmente sulla piattaforma New Art City. Durante l'inaugurazione gli studenti hanno avuto la possibilità di spiegare dettagliatamente il loro lavoro e mostrare gli aspetti caratterizzanti delle opere digitali.
Alla fine del corso è stato distribuito un questionario per verificare l’opinione di chi ha frequentato, utile a intraprendere eventuali azioni correttive in edizioni successive. Sono rimaste questioni aperte che vogliamo presentare brevemente in questa sede e ci auspichiamo possano offrire spunti di riflessione per le prossime edizioni. Uno degli aspetti più interessanti è stato quello di riflettere sui diversi canali di pubblicazione, elemento che ha spinto a documentare l’evento in vari formati. Se da un lato il supporto audiovideo ha contribuito a un'efficace raccolta del materiale, dall'altro uno strumento come New Art City ha reso possibile il mantenimento dello spazio espositivo e delle opere anche dopo il disallestimento della mostra a Palazzo Taverna. L’idea di presentare un catalogo ragionato delle opere ha inoltre indotto il comitato organizzativo a cercare un editore che potesse supportare i vari formati di ricerca e non penalizzasse l’aspetto reale/virtuale/estetico della prova finale. Se da un lato la modalità blended è stata efficace dall’altra ha avuto elementi penalizzanti specialmente per la durata prolungata del corso. Pensiamo possa essere utile concentrare e ridurre il numero di docenze garantendo la presenza per almeno tre quarti del corso ma mantenendo la possibilità di svolgere le docenze in doppia lingua offrendo una bibliografia ragionata solo in lingua inglese. Ci auguriamo che attraverso questa esposizione si possano trovare motivi di spunto e di riflessione per l’esecuzione di progetti e cantieri didattici sperimentali nell’ambito delle Digital Humanities in Italia.
L’uomo, la macchina e il caso dialogano e aprono a relazioni semantiche inaspettate. Frammenti di visioni, sciolti da contesti, si rincorrono disvelando interi volubilmente interpretabili.
L’algoritmo di Voyant ha selezionato otto parole con il maggior numero di occorrenze nell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto e nelle Poesie elettroniche di Fabrizio Venerandi: tempo, ancora, mai, luce, amore, vedo, altezza e tutto. Attraverso le otto parole chiave sono stati indicizzati manualmente quattro gruppi composti da otto fonti precedentemente decontestualizzate: otto frame di pellicole amatoriali, otto ottave dell’Orlando furioso, otto versioni di una stessa Poesia occlusa di Venerandi e otto immagini cercate su Google mediante le stesse parole chiave.
L’algoritmo e la mente umana hanno così generato trentadue relazioni semantiche che nell’ambiente virtuale di New Art City si sono concretizzate in una matrioska in cui l’immagine disvela la parola, la quale disvela a sua volta l’immagine, percorrendo un gioco combinatorio potenzialmente infinito che apre a percorsi sempre nuovi e imprevedibili.
Sono invece trentadue tarocchi a creare, nel mondo fisico, un’esperienza di relazioni del tutto personale. Le parole chiave associate alle singole fonti sono state riportate sul dorso delle carte, stampate con un’illustrazione del Dorè che ritrae Astolfo in groppa all’Ippogrifo in cerca del senno di Orlando sulla luna. Girando un tarocco, è possibile svelare l’immagine precedentemente indicizzata con le parole chiave che può essere a sua volta associata ad altri tarocchi che custodiscono una nuova fonte, dando così origine a un gioco di rimandi e suggestioni che forse solo il giocatore può intuire. Le parole chiave, brevi haiku generati da algoritmi e mente umana, inaugurano, in forma ludica e per certi versi casuale, nuovi possibili percorsi in un gioco alchemico infinito ( ).
Il progetto geo_grafie è nato dalla combinazione di quattro proposte accomunate dall’obiettivo di dare rappresentazione geolocalizzata di questioni storiche, artistico-letterarie e sociologiche. A questo fine si è deciso di rivolgersi ai programmi di mapping e geolocalizzazione per far convergere le quattro proposte in unico progetto. La mappa, infatti, offre una rappresentazione soggettiva dei rapporti tra l’uomo, le sue pratiche, i suoi prodotti culturali e lo spazio. Rende visibili le relazioni, ma consente anche di sviluppare narrazioni e contronarrazioni; a questa rappresentazione, le tecnologie digitali di georeferenziazione danno una complessità che l’utente è sollecitato a esplorare e sperimentare attivamente. Pertanto, grazie alle indicazioni ricevute durante il workshop del Dott. Gallia dedicato agli strumenti di Data visualization, si è scelto di utilizzare, per la realizzazione e la visualizzazione del progetto, la piattaforma Umap, che permette di creare mappe e geolocalizzare dataset sfruttando i layers di OpenStreetMap. È così stato possibile creare un’unica mappa che riproduce, su diversi layer, i singoli progetti dei quattro membri del gruppo. Tale mappa è disponibile e fruibile online.
Caterina Miracle ha ricostruito l’itinerario messicano di Emilio Cecchi nel 1931, creando sulla mappa dei pop-up che permettano di visualizzare, per ciascuna località visitata, le fotografie scattatevi e i brani (raccolti nel volume Messico) che vi fanno riferimento. In tal modo all’utente è permessa la fruizione congiunta di immagini e testi, così da ripercorrere virtualmente l’esperienza di viaggio dell’autore attraverso le sue parole e il suo sguardo.
Fartun Mohamed ha affrontato la questione della memoria per la diaspora somala attraverso la testimonianza della scrittrice Adar Abdi Pedersen e la narrazione ufficiale della vita e delle opere di Luigi Amedeo di Savoia (Duca degli Abruzzi) in Somalia, segnalando sulla mappa i luoghi che attestano i profondi legami tra l'Italia colonialista e la Somalia coloniale, indagando su come questi abbiano influenzato i percorsi di vita delle persone che hanno avuto rapporti diretti o indiretti con il colonialismo italiano.
Giacomo Raccis ha avviato un progetto di mappatura di opere d’arte moderne e
contemporanee conservate in territorio italiano e che sono state oggetto di racconto
o ekphrasis nella produzione narrativa più recente. Dalla Giuditta che
scanna Oloferne di Artemisia Gentileschi raccontata da Anna Banti al
Ritratto di ignoto marinaio di Antonello da Messina che dà il titolo a un
importante romanzo di Vincenzo Consolo, la mappa – attraverso un percorso di
visualizzazione e lettura tramite marcatori e finestre pop-up – ricostruisce la fitta
geografia delle relazioni tra arte e letteratura, rendendo visibile una storia
dell’arte che passa per le pagine della letteratura; creando quella che potremmo
chiamare una storia letteraria dell’arte
.
Antonia Stelitano ha rappresentato visivamente il viaggio messicano di Sergej M. Ejzenstejn mettendo in correlazione gli incontri e gli spunti visivi che il regista sovietico ha incontrato durante i suoi spostamenti. Diego Rivera, Alfaro Siquieros, James Joyce, Charlie Chaplin e Luigi Pirandello sono solo alcuni degli intellettuali con cui Ejzenstejn si è interfacciato durante la sua permanenza in diversi stati d’Europa, negli Stati Uniti e infine in Messico. Un viaggio attraverso tre continenti e due avanguardie, quella messicana e quella sovietica, che ha come suo frutto mal germogliato il capolavoro incompiuto Que viva México! ( )
L’opera d’arte è frutto di un processo creativo che si cristallizza in un oggetto materiale. La materia viene tradotta dal processo di visione in un’esperienza sensoriale, che si arricchisce di significati man mano che la percezione dell’osservatore la esplora in tutte le sue molteplici sfaccettature. Questo dialogo tra opera d’arte e spettatore, che normalmente avviene solo nello spazio fisico, viene trasposto nello spazio digitale dal progetto Parallel Disruptions. Lo scopo della ricerca artistica del gruppo PC GEV è di sondare gli spazi liminali del confronto con l’opera d’arte, esplorando le interazioni tra visibile e invisibile, tra creatività e tecnologia, tra reale e virtuale.
Punto di partenza di questa esplorazione sono due opere originali dell’artista
iraniana Pegah Pasyar, La vita delle forme
e Età del ferro
,
appartenenti, insieme ad altre 16 opere, alla serie Catalizzatore
. Le due
riproduzioni sono state analizzate attraverso sistemi di Hypercolorimetric
Multispectral Imaging ( ), una tecnica
diagnostica che permette di ottenere immagini rielaborate mediante l’analisi di bande
dello spettro elettromagnetico - normalmente invisibili all’occhio umano - abbattendo
così i confini della nostra percezione per accedere a forme visuali prima
inaccessibili. Le immagini multispettrali sono state accostate all’opera originale
nello spazio virtuale, creato utilizzando la piattaforma New Art City, permettendo
così di attraversare due mondi paralleli in cui la luce si fa catalizzatore di
un’esperienza visiva innovativa e stimolante.
L’analisi delle singole bande spettrali di ogni pixel in un’immagine permette di caratterizzare lo spettro di riflessione di ogni pigmento e dell’intera superficie dell’opera stessa, indicando su una base spettrale la matericità dell’opera d’arte. Questo collegamento tra materia e visione, tra chimica e percezione, altrimenti labile e di complessa definizione, diventa in questo spazio di facile fruizione e favorisce una nuova visione dell’arte, facendo dialogare i mondi paralleli della creatività e della scienza attraverso una configurazione inesplorata. In Parallel Disruptions l’elemento didattico si accosta all’esplorazione esperienziale, offrendo spunti di approfondimento e di riflessione per chi voglia accostarsi ai processi delle tecniche diagnostiche applicate alla ricerca storico-artistica.
All’esperienza virtuale costruita su New Art City si accompagna un’installazione fisica che si è tenuta negli ambienti dello Spazio Taverna, a Roma, il 19 settembre 2021. Qui, le due opere di Pegah Pasyar sono state esposte accanto alle riproduzioni ipercolorimetriche delle stesse, creando un cortocircuito percettivo volto a stimolare la curiosità dei visitatori. Utilizzando uno smartphone è stato possibile scansionare un QR code di accesso ad un sito internet contenente le descrizioni tecnico- scientifiche della metodologia applicata alle opere nell’ambiente virtuale e della matrice trasformativa indirizzata non solo ai prodotti artistici, ma all’intero processo di fruizione dell’arte. Le opere e le loro riproduzioni sono state collocate nei pressi di una postazione dove i visitatori hanno potuto esplorare liberamente lo spazio virtuale di Parallel Disruptions, utilizzando un laptop. L’ambiente virtuale ha assunto la forma di una white box, con le immagini ipercolorimetriche disposte in una configurazione sequenziale ed ordinata, non casuale: si segue in senso inverso la frequenza di emissione dello spettro, dalle lunghezze d’onda più corte e invisibili dell’ultravioletto, passando per lo spettro visibile, fino ad arrivare nella sfera delle radiazioni infrarosse nuovamente invisibili. Tale disposizione vuole riprodurre quella di un deposito museale, dove ciascuna immagine può essere ispezionata singolarmente, utilizzando le funzionalità di manipolazione degli oggetti di New Art City. Lo spazio virtuale, popolato di oggetti, informazioni, musiche e piccoli easter eggs, costituisce anche l’archivio virtuale di Parallel Disruptions, sfuggendo ai limiti della dimensione fisica e temporale della mostra, e sopravvivendo ad essa nello spazio e nel tempo. L’obiettivo della presentazione digitale è stato quello di dare vita una nuova narrazione delle e sulle opere d’arte che rafforza e infittisce lo spazio nel quale le opere stesse sono immerse. Tramite il supporto digitale, l’esperienza condivisa e partecipata dell’arte visiva estende i luoghi e dilata l’idea di fruizione. Infine, da un lato l’interdisciplinarietà del progetto valorizza il materiale di partenza, dall’altro la frammentazione dell’opera in un multiplo apre a nuove forme di conoscenza e di rappresentazione della materia artistica ( ; ).
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