DOI: http://doi.org/10.6092/issn.2532-8816/14209

Introduzione

La decima edizione della conferenza nazionale dell’Associazione per l’Informatica Umanistica e la Cultura Digitale (AIUCD2021) è stata speciale per due ragioni.

Svoltasi in piena pandemia, è stata organizzata totalmente in forma virtuale, applicando formule di interazione tra relatori e pubblico all'epoca fortemente innovative, grazie soprattutto agli strumenti e al supporto tecnico offerti dal gruppo di lavoro CLARIN-IT e CLARIN-ERIC. L'interazione, ottenuta grazie agli sforzi di tutti i partner, è stata un successo unanimemente riconosciuto.

In secondo luogo, la conferenza è stata pensata per rappresentare un momento di approfondimento e di riflessione sulle Digital Humanities (DH) come luogo privilegiato di incontro tra diversi bisogni e saperi della società contemporanea nella ricerca, nella politica, nell’economia e nel quotidiano, per restituire all’umanista - necessariamente divenuto digitale - il ruolo di interprete e di traghettatore del cambiamento, non solo tecnologico, in atto. Le sei tematiche principali indicate nella call for paper della conferenza appartenevano solo in parte al core delle DH, così come questa disciplina si è venuta a definire e si sta attualmente sviluppando nel panorama scientifico nazionale.

La sezione Digital Public Humanities intendeva interrogarsi a livello metodologico e teorico sull'efficacia dell'interazione tra le DH e le problematiche della società contemporanea. Nel settore della Open culture abbiamo invece voluto guardare alle strutture e ai metodi che consentono uguali opportunità di accesso ai dati e a risorse digitali di natura linguistica. La tematica Reti sociali riguardava il funzionamento di questi strumenti e la conseguente modalità comunicativa ormai determinanti nella nostra vita quotidiana, mentre l'ambito della Tech-economy provava a guardare al mondo delle norme e dei valori necessari alla attuale classe dirigente per gestire efficacemente il cambiamento nonché alle modalità corrette per garantire una formazione efficace. Temi collegati erano poi quelli della e-Participation, dedicata agli strumenti e metodi sviluppati in seno alle DH utili a favorire la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali, e infine delle Tecnologie assistive per l’inclusione, in cui si illustravano esperienze e ricerche nella formazione, nell’assistenza e nell’integrazione delle categorie svantaggiate. I numerosi contributi presentati sono oggi tutti disponibili ad accesso aperto nel Book of Abstract della conferenza.

Da questa rapida carrellata risulta evidente che la raccolta degli articoli scientifici operata dopo lo svolgimento dell'incontro ha sollecitato autori provenienti da settori disciplinari e ambiti di ricerca diversi fra loro, uniti in alcuni casi solo dalla riflessione sul ruolo e l'importanza raggiunto dalle DH nel loro specifico dominio di studio o di lavoro. L'appello ha quindi fatalmente raccolto contributi eterogenei, alcuni inadatti a trovare ospitalità su Umanistica Digitale, data la linea editoriale che la rivista da tempo ha scelto e rafforzato negli ultimi anni, più vicini, per stile comunicativo, alle riviste scientifiche di altri settori disciplinari. Tale mancata commistione non ci ha stupito né deluso. Siamo stati invece contenti di aver dato un primo impulso a un dialogo che deve — dovrà — necessariamente continuare non certo nella direzione di una produzione omogenea e intercambiabile tra le discipline, ma nella moltiplicazione delle occasioni di incontro e di collaborazione, con la conseguente emersione di prodotti autenticamente inter- e trans- disciplinari.

Appartengono a quest’ultima categoria, lo crediamo, gli articoli selezionati che qui si presentano: un gruppo di interventi indicativi di come gli umanisti digitali si stanno ponendo la domanda del loro ruolo nella società contemporanea.

Interventi

Marco Berlinguer (Digital Commons as new Infrastructure) analizza un tema cruciale per la ricerca nelle DH e la loro futura evoluzione, ossia lo sviluppo del software libero e open source (FOSS), suggerendo un ripensamento delle logiche di produzione e del rapporto col settore pubblico. Di incredibile attualità e fortemente correlata con la dimensione pubblica del software e delle piattaforme è anche l'intervento di Paolo Monella (Settings Instruction and GAFAM) che denuncia l'uso di piattaforme proprietarie appartenenti alle grandi multinazionali informatiche per la didattica a distanza scolastica e universitaria nel corso della pandemia COVID-19 e invita la comunità scientifica ad elaborare e proporre alternative.

A supporto di un sistema educativo veramente pubblico, gestito con software open source, deve sussistere anche un accesso facilitato ed efficace al patrimonio culturale, oggi frammentato in migliaia di banche dati, siti, esposizioni digitali differenti. Provano a rispondere a questo problema Francesco Coradeschi, Emiliano Degl’Innocenti, Carmen Di Meo, Maurizio Sanesi, Alessia Spadi e Federica Spinelli (Mappatura e modellazione CIDOC-CRM per l’integrazione delle risorse del progetto RESTORE) con il progetto smaRt accESs TO digital heRitage and mEmory (RESTORE), ancora nelle sue fasi iniziali, che ha appunto lo scopo di recuperare, integrare e rendere accessibili dati e oggetti digitali prodotti negli ultimi vent’anni nella zona di Prato, al fine di costruire una base di conoscenza riguardante la storia, il tessuto economico e imprenditoriale e la società di questa cittadina. Sarà estremamente interessante seguire l'avanzamento di RESTORE, sia per la mappatura, che promette, dei modelli e degli standard usati, sia per l'appoggio chiesto alle più rilevanti infrastrutture di ricerca a livello europeo.

Nel medesimo ambito si muovono Barbara Balbi ed Alessandra Marasco (Co-designing Cultural Heritage Experiences for All with Virtual Reality: a Scenario-Based Design approach) ragionando sull’uso delle tecnologie digitali per migliorare l’accessibilità dei luoghi della cultura, in particolare ai visitatori con disabilità. Il loro lavoro tratta in particolare del design delle soluzioni di realtà virtuale entro una ricerca condotta col metodo dello Scenario-Based Design (SBD) nell’ambito di un approccio al DesignUser-Centered.

Riguardano un particolare settore dei beni culturali - le fonti scritte e i corpora testuali - gli altri quattro contributi pubblicati, caratterizzati tutti - seppur con gradazioni diverse - a rendere più accessibili, leggibili e riusabili le risorse già esistenti o in via di costituzione.

Dario Del Fante e Giorgio Maria Di Nunzio (OCR Correction for Corpus-assisted Discourse Studies: A Case Study of Old Newspapers) intervengono sulla possibilità di aumentare l’accuratezza dei software OCR nel convertire i caratteri stampati in testo digitale, proponendo un approccio qualitativo-quantitativo al rilevamento e alla correzione degli errori post riconoscimento OCR al fine di sviluppare una metodologia per migliorare la qualità dei corpora all’interno degli studi storici.

Annamaria De Santis, Matteo Gallo, Irene Rossi e Jérémie Schiettecatte (The digital Gazetteer of Ancient Arabia. An example of reuse and exploitation of annotated textual corpora) presentano un caso interessante di buona pratica nel riuso di corpora annotati per fini differenti da quelli che hanno portato alla loro annotazione. Si tratta di un esempio certamente di nicchia nel panorama italiano delle DH, ma indicativo di quanto sia possibile, quando i corpora adottino standard internazionali ed espongano i dati in formato aperto, aderendo ai principi FAIR e ai principi della Open Science.

Marilena Crucitti, Michela Benedetti, Greta Maneschi, Roberta Mirandola, Antonella Soldani, Ludovica Amato, Filippo Lepori, Andrea Taddei e Federico Boschetti (La collaborazione inclusiva: un’esperienza didattica di annotazione tramite Euporia) illustrano un interessante esempio di uso della piattaforma di annotazione collaborativa Euporia (CNR-ILC) in ambito didattico, a dimostrazione che la direzione del crowdsourcing su piattaforme dedicate può costituire allo stesso tempo uno strumento ottimale per l'annotazione di testi letterari e un approccio didattico di successo.

Infine, Achille Felicetti e Francesca Murano (La modellazione semantica delle entità testuali. Il modello CRMtex e la descrizione ontologica dei testi antichi) presenta un modello ontologico basato su CIDOC CRM sviluppato dal 2015 per supportare lo studio di documenti antichi al fine di favorire l'integrazione con altri campi di ricerca relativi al patrimonio culturale, garantendo l'interoperabilità dei dati con altre informazioni semantiche prodotte nell’ambito dei Beni Culturali e delle Digital Humanities.

Il dossier dei lavori che si richiamano ad AIUCD2021 termina con la presentazione di un modello formativo che, complici sia lo sviluppo delle DH, sia la recente pandemia, vedremo moltiplicarsi, affinarsi e specializzarsi nei prossimi anni: scuole, centri formativi e corsi in forma mista, in cui le DH si sono rese di fatto traghettatrici di una visione olistica del sapere, che coniuga cultura e pratica riconsiderando e rifunzionalizzando il ruolo delle tecnologie nelle scienze umane. Si tratta della presentazione, ad opera di Luca Marcozzi, Manfredi Merluzzi, Giuditta Cirnigliaro, Angelica Federici e Valeria Federici della Summer School Tran(s)missions tenutasi presso il Digital Humanities Lab di Roma Tre, che ha inserito nella pratica didattica in forma laboratoriale metodologie provenienti dal campo delle DH, dagli studi sulle culture digitali e dai metodi di ricerca incentrati sulla materialità dell’oggetto.

Ulteriori contributi sui temi del convegno sono in preparazione e saranno pubblicati nei prossimi numeri di Umanistica Digitale.

CLARIN-IT, il Laboratorio di Cultura Digitale dell’Università di Pisa, l’Istituto di Linguistica Computazionale A. Zampolli (ILC) e l’Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione A. Faedo (ISTI) del CNR. Tutte le informazioni e i materiali nel sito del congresso https://aiucd2021.labcd.unipi.it/.