Il contributo presenta i primi significativi risultati dell'applicazione ad alcuni importanti casi di studio – dal Bucolicum Carmen di Petrarca (Fazion, Ventura), ad alcune carte del Fondo di Giuseppe Raimondi (Obbiso, Rossi), al Quaderno a cancelli di Carlo Levi (Gasperina) – di diverse tipologie di analisi multispettrale con strumenti innovativi come il microscopio Forinst-MSM, acquisito dal Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica grazie al progetto del Dipartimento di Eccellenza 2018-2022. Il microscopio, che è stato utilizzato sia in loco, sia presso i luoghi di conservazione dei documenti manoscritti analizzati, oltre alla magnificazione del dettaglio, che permette di analizzare le stratigrafie scrittorie e di individuare le diverse campagne correttorie, ha la particolarità di potere selezionare, grazie a una ruota porta filtri, le diverse lunghezze d'onda rifratte dalla luce sul pigmento analizzato, e di utilizzare quindi la banda visiva più adatta per la decifrazione delle scritture. Uno strumento di grande utilità, che è stato presentato, suscitando grande interesse, alla Notte dei Ricercatori 2019 e 2020.
The contribution presents the first significant results of the application to some important case studies - from Petrarca's Bucolicum Carmen (Fazion, Ventura), to some papers of Giuseppe Raimondi's Fund (Obbiso, Rossi), to Carlo Levi's Quaderno a cancelli (Gasperina) - of different types of multispectral analysis with innovative tools such as the Forinst-MSM microscope, acquired by the Department of Classical Philology and Italianistics thanks to the Department of Excellence project 2017-2022. The microscope, which was used both on site and at the places where the analyzed manuscript documents were preserved, not only magnifies the detail, allowing the analysis of the stratigraphy of the writings and the identification of the various correction campaigns, but also, thanks to a filter wheel, can select the different wavelengths refracted by the light on the analyzed pigment, and thus use the most suitable visual band for deciphering the writings. This extremely useful tool was presented at the 2019 and 2020 Researchers' Night, to great interest.
Tra le tecniche di acquisizione per l’analisi dei testi manoscritti o a stampa un ruolo molto importante è ormai giocato dalla riflettografia multispettrale, le cui applicazioni, insieme a quelle della spettroscopia, hanno subito negli ultimi vent’anni una vera e propria esplosione in molti campi del settore umanistico e particolarmente in quello artistico e filologico.
Queste tecniche, solitamente e per la maggior parte non invasive, in base al loro diverso utilizzo consentono di indagare non solo le caratteristiche del testo in termini di riconoscimento delle stratigrafie correttorie e individuazione di scrizioni sotto cassatura, con inchiostri simili e diversi, ma anche gli elementi di paratesto nascosti nel supporto cartaceo o pergamenaceo, portatori di informazioni storiche, culturali e bibliografiche.
Molte di queste si sono rivelate particolarmente efficaci sia nella diagnostica per immagini dei dipinti, per studiarne i rifacimenti e i disegni preparatori o per analizzare i pigmenti degli strati pittorici, sia nel caso di codici, manoscritti e palinsesti, per venire incontro alle questioni filologiche ed esegetiche, come l’analisi delle varianti e dei fenomeni di sovrascritture da decifrare e interpretare diacronicamente, la lettura sotto cassatura, o i problemi di distinzione e illeggibilità degli inchiostri dovuti al tempo, all’usura del supporto o ad altri fattori che ne compromettono lo stato di conservazione e la comprensione del testo.
Numerosi sono i casi di studio già analizzati con sofisticate tecniche di imaging in tutto il mondo e divenuti ormai celebri: tra gli esempi di studi condotti in Italia nel campo della diagnostica pittorica possiamo ricordare le analisi su uno dei dipinti attribuiti a Simone Martini del XIV secolo ( ), quelle relative alla Pala di San Zeno di Andrea Mantegna del XV secolo ( : 24-29) o anche gli studi su una predella del XVI secolo di Luca Signorelli ( ); per quanto riguarda, invece, la diagnostica di manoscritti, papiri e palinsesti, tra i casi di studio più celebri vi sono sicuramente il Palinsesto di Archimede ( ) e le pergamene del Mar Morto ( ) o ancora le recenti analisi sui papiri provenienti da Ercolano, Petra e dal deserto della Giudea ( ).
Non tutte le radiazioni dello spettro elettromagnetico sono adatte a indagare la superficie e gli elementi di un oggetto manoscritto: i raggi gamma (λ ≤1 pm), ad esempio, sono radiazioni a frequenza molto alta che vengono solitamente utilizzati per penetrare spessori notevoli. Allo stesso modo, nell’estremo opposto dello spettro elettromagnetico, risultano inefficaci le onde radio (λ 10 km - 10 cm). Al contrario, sono state efficacemente impiegate tutte le altre radiazioni che spesso può risultare conveniente combinare tra loro per ottenere risultati complementari in base ai diversi effetti di ognuna.
I raggi X (λ 10 nm – 1 pm) riescono a penetrare considerevolmente la materia e possono quindi consentire di leggere sotto strati anche molto spessi che ricoprono la scrittura, rendendosi efficaci nei casi di danneggiamenti provocati dal fuoco, che causa il fenomeno dell’agglutinamento o dall’acqua, che incolla le pagine l’una all’altra. L’immagine radiografica si presenta come un negativo fotografico in bianco e nero, in cui le zone chiare sono quelle che hanno più assorbito la radiazione, poiché infatti ogni materiale ha una diversa radiopacità, capacità delle sostanze di essere più o meno attraversate dai raggi X. Tra le tecniche che sfruttano questa radiazione vi sono la fluorescenza (XRF) e la tomografia, quest’ultima approfondita nel secondo capitolo dalla Dott.ssa Fauzia Albertin, che da molti anni conduce ricerche sulla possibilità di utilizzare questa tecnica per realizzare modelli tridimensionali di codici e manoscritti antichi, che non possono essere aperti per motivi di conservazione e il cui testo può essere scoperto grazie a questa tecnica, sperimentando una lettura virtuale dell’oggetto chiuso.
L’impiego dei raggi ultravioletti (λ 400 nm – 10 nm) permette, invece, di differenziare e localizzare inchiostri indistinguibili ad occhio nudo attraverso la tecnica della fluorescenza, che sfrutta la caratteristica di alcune sostanze di rendersi visibili con cromatismi diversi rispetto alla propria composizione chimica quando vengono colpite dalla radiazione ultravioletta, perché riemettono radiazioni di lunghezza d’onda superiore. In questo modo si potrà restituire leggibilità in testi cancellati per via meccanica o chimica, oppure differenziare gli inchiostri antichi da quelli moderni, individuando falsi o rifacimenti posteriori.
Con i raggi infrarossi (λ 700 nm – 1mm) si possono impiegare le tecniche della termografia, che si basa sull’emissione di radiazioni di corpo nero da parte di oggetti a temperatura ambiente in alcune bande del medio-lontano infrarosso, e la riflettografia infrarossa, che considera la banda spettrale tra 0,8 e 2,2 µm e sfrutta la capacità di questi raggi di attraversare gli strati ed esaltare, dunque, la leggibilità di scritte coperte da danni o muffe. Un’altra tecnica impiegata con le acquisizioni a raggi IR è l’infrarosso falso colore, ovvero un’elaborazione dell’immagine in post-produzione attraverso la manipolazione dei canali di colore RGB. Infine, una particolare radiazione che si trova tra i raggi infrarossi e le microonde (λ 10 cm – 1 mm) detta Terahertz (100 µm – 1 mm) è stata impiegata nel progetto THESMA ( ) per lo studio del Quaderno di Campagna II di Gadda e, in particolare, per la lettura attraverso fogli di carta adesa e cartigli.
Come già detto, per favorire una lettura particolarmente ricca dell’opera in esame, le tecniche di imaging si possono trattare in modo integrato e complementare, non solo per quanto riguarda le diverse radiazioni dello spettro elettromagnetico, ma anche prendendo in considerazione la diversa resa bidimensionale e tridimensionale dell’oggetto da esaminare. Alcune delle tecniche di imaging 3D più utilizzate nel campo dell’analisi filologica sono presentate nel terzo capitolo.
In questo primo capitolo, invece, sono stati raccolti alcuni degli esperimenti filologici più interessanti condotti nel 2019 nell’ambito delle ricerche del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica (da qui FICLIT) sulle carte del Fondo Raimondi (par. 3) e sul Quaderno a Cancelli di C. Levi (par. 4), analizzati grazie agli strumenti di imaging multispettrale presenti presso il Laboratorio di scansioni digitali AnalogicoDigitale (da qui ADLab), di cui si parlerà più approfonditamente nel primo paragrafo. Fa eccezione l’analisi sull’autografo del Bucolicum carmen di Petrarca (par. 2), svolta presso i laboratori della Biblioteca Apostolica Vaticana dalle Dott.sse Irma Schuler e Angela Nuñez, il cui metodo di lavoro relativo alla conservazione e riproduzione dei manoscritti è approfondito dalle stesse nel quarto capitolo.
In occasione dei fondi ottenuti nel 2018 come Dipartimento di Eccellenza, il Dipartimento FICLIT ha acquistato per il suo laboratorio ADLab alcuni strumenti di ultima generazione per la digitalizzazione del patrimonio archivistico e librario. Tra gli obiettivi del progetto, infatti, vi è l’analisi di corpora e manoscritti e l’implementazione dell’Alma Digital Library, la biblioteca digitale di ateneo.
La strumentazione è distribuita in due sale, organizzate con diverse postazioni per ognuna delle attività di digitalizzazione: scannerizzazione dei documenti, postproduzione, metadatazione. Tra una fase e l’altra le immagini acquisite vengono controllate per registrarne errori di digitalizzazione e di tipografia.
Il laboratorio è dotato, inoltre, di due strumenti per acquisizioni con luce visibile e multispettrale, impiegati solitamente in ambito forense per l’anticontraffazione documentale: il microscopio digitale tascabile multispettrale MiScope (MISC-MP2-WUVIR) e l’apparato di imaging multispettrale MS-IS (multi-spectral imaging system). I due strumenti hanno molte caratteristiche in comune: sono entrambi corredati di svariati accessori per operare con diverse tipologie di irraggiamento luminoso e di radiazioni dello spettro elettromagnetico, nel visibile e non: dalla luce bianca ai raggi UV (ultraviolect), IR (infrared) e NIR (near - infrared). Inoltre, possono essere collegati ad un computer, che permette di visualizzare l’immagine su cui si sta lavorando, di ottimizzarla in diretta e di salvare i risultati del lavoro in formato .jpg.
Ognuna delle radiazioni elettromagnetiche di differente lunghezza d’onda provoca reazioni diverse nei pigmenti che compongono gli inchiostri e nei supporti cartacei quando essi ne vengono investiti, dando la possibilità di studiarne il comportamento e, di conseguenza, osservarli più facilmente oppure discriminarli gli uni dagli altri ( ).
In particolare, i raggi ultravioletti (390nm – 10 nm circa) permettono di sfruttare il fenomeno della fluorescenza ultravioletta, capacità di questi raggi di provocare luminescenza negli inchiostri, ovvero di renderli più luminosi e con diverse tonalità di colore in funzione della loro composizione chimica e del loro invecchiamento. Si utilizza solitamente questa radiazione per distinguere inchiostri antichi e moderni, per individuare falsi e rifacimenti posteriori, per restituire leggibilità ad inchiostri sbiaditi per via meccanica o chimica ( ). Tra i fenomeni sfruttabili con l’utilizzo dei raggi infrarossi (λ 760nm – 1mm circa) c’è, invece, la cosiddetta riflettografia infrarossa ( ), maggiormente efficace nel vicino infrarosso (tra circa 0,8 e 2,2 µm), ovvero la proprietà di questi raggi di rendere trasparenti alcuni composti chimici, con il conseguente effetto di penetrare gli strati pittorici o di inchiostro soprastanti e rendere visibile quanto risulta coperto e invisibile ad occhio nudo. Scompaiono se irradiati con radiazione infrarossa i composti a base di ossido di ferro, come gli inchiostri ferro-gallici, i gessetti rossi e la sanguigna, il cinabro e i pigmenti organici; mentre sono sempre individuabili i composti carboniosi, a meno che non siano molto chiari o fortemente diluiti. La tecnica risulta particolarmente efficace per esaltare la leggibilità di scritte coperte (scritte acide, coperte da muffe o da sporco, scritte annerite), per leggere sotto cassatura nel caso di inchiostro ferro-gallico sovrascritto a uno carbonioso come la grafite, per distinguere inchiostri diversi.
L’apparato di imaging multispettrale MS-IS della ditta Forinst è composto da: stativo, gruppo ottico e telecamera digitale, consolle di comando, lampada IR per operare a forte radenza, ruota porta filtri e sorgente elettroluminescente per operare in trasparenza.
La consolle di comando è dotata di alcuni pulsanti che permettono di attivare le
diversi sorgenti di illuminazione: nello spettro visibile, dei raggi
ultravioletti, dei raggi infrarossi e in RGB (red, green, blue). Lavorando in
modalità manuale (manual sul display) è possibile, inoltre, regolare
singolarmente l’intensità luminosa delle tre sorgenti di illuminazione RGB da 0 a
100% tramite l’utilizzo di tre potenziometri, mentre un interruttore L/H permette
di scegliere se operare a bassa intensità (Low) o alla massima intensità luminosa
(High). Infine, una seconda modalità di utilizzo della sorgente RGB è quella
attivabile tramite un pulsante rosso posto sul lato sinistro della
consolle, che attiva il cosiddetto effetto carosello
, ovvero
una combinazione in sequenza della durata di 30 secondi di diversi valori
d’intensità dei tre canali R, G, B (random mode sul display).
Il sistema ottico è dotato di una telecamera e di una ruota porta-filtri.
L’obiettivo della telecamera dispone di due controlli manuali: la messa a fuoco e
il diaframma meccanico per la regolazione della quantità di luce. La ruota
porta-filtri, utile nell’analisi della composizione chimica degli inchiostri
tramite fluorescenza, contiene sette filtri cosiddetti passa banda
, di cui
uno neutro.
Il microscopio digitale tascabile MiScope della Forinst (MISC-MP2-WUVIR), fabbricato dalla ditta americana Zarbeco, è un piccolo ma potente strumento di lavoro che permette di compiere acquisizioni con diverse radiazioni dello spettro elettromagnetico: luce bianca, infrarossi e ultravioletti. A differenza del sistema dello strumento MS – IS, il microscopio si rivela adatto per l’acquisizione e l’analisi dei dettagli della scrittura manoscritta o a stampa, dal momento che esso permette di lavorare all’interno di un campo-oggetto variabile da qualche centimetro a qualche millimetro quadrato.
Questo oggetto, delle dimensioni di un mouse, è dotato di due commutatori, ovvero
piccoli interruttori, che permettono di illuminare la porzione di documento
prescelta con tre tipi di frequenze: una sorgente di luce bianca, una di raggi UV
e una di raggi NIR (vicino infrarosso). Queste trasmissioni di luce permettono,
nel caso dei raggi UV, di evidenziare i pigmenti nel tessuto cartaceo invisibili
ad occhio nudo grazie al fenomeno della fluorescenza; nel caso dei raggi IR,
invece, la sorgente luminosa assorbe
certi tipi di inchiostri (generalmente
i più moderni, anche se in diverse misure) per cui è possibile leggere sotto
cassatura o identificare casi in cui sono state apposte aggiunte successive con
inchiostro diverso. La presenza di un mini-stativo e di appositi distanziatori,
inoltre, permette al microscopio di non stare a stretto contatto con il tessuto
cartaceo e permette di orientare una o più sorgenti di luce esterne in radenza, in
modo da evidenziare la presenza del solco e molto utili per analizzare lo stato di
conservazione del documento o escludere che il documento sia un falso.
La ruota porta-filtri
Alcuni inchiostri a seconda della composizione chimica dei propri pigmenti
emettono luminescenza quando vengono irradiati da diverse fonti luminose. La ruota
porta-filtri è in grado di differenziare diversi livelli di luminescenza in base
alla differente composizione chimica degli inchiostri stessi. Dal momento che la
radiazione di fluorescenza emessa dagli inchiostri è notevolmente più debole della
radiazione di eccitazione UV, si pone un filtro tra il foglio su cui sono presenti
gli inchiostri e il sensore. I filtri presenti nelle ruote di questi strumenti
sono del tipo passa banda
: hanno la funzione di sopprimere le lunghezze
d’onda e le relative radiazioni contenute della sorgente di eccitazione e servono
a rilevare a quale spettro osservato nel visibile avviene la massima emissione di
radiazione in fluorescenza, che si traduce in un effetto di luminescenza dei
pigmenti contenuti negli inchiostri.
Le torce
Il kit di torce fornito in dotazione dalla Forinst consiste in tre diverse tipologie di torce con illuminazione visibile, infrarossa e ultravioletta, utili da utilizzare in aggiunta all’illuminazione già fornita dagli strumenti e, soprattutto, per compiere acquisizioni con luce radente. Quest’ultima permette, infatti, di far emergere molti dettagli come pressioni sulla carta, segni nascosti nella scrittura, solchi ciechi, inchiostri scomparsi, segni di cancellatura: enfatizzando la rugosità del tessuto superficiale cartaceo diventano, infatti, più evidenti i solchi lasciati sulla carta, le abrasioni a causa di cancellature o rasure, le stropicciature del supporto. La tecnica consiste nel puntare una fonte luminosa sull’oggetto che incida con una certa inclinazione, solitamente con fascio parallelo o al massimo inclinato di 10 gradi sopra l’oggetto.
Il microscopio è stato messo in funzione fin dal suo arrivo in laboratorio, con una missione svolta nel giugno 2019 dalla Prof.sa Paola Italia nell'ambito delle ricerche del Laboratorio Bassani, dedicata all'analisi del manoscritto del Giardino dei Finzi Contini, donato dagli eredi Foscari al Comune di Ferrara e attualmente depositato presso la Biblioteca Ariostea. L'analisi è stata effettuata grazie alla disponibilità della Dott.ssa Mirna Bonazza della Biblioteca, e in collaborazione con la Fondazione Bassani e del prof. Sergio Parussa (Wellesley College), che sta svolgendo uno studio sulla genesi del Giardino dei Finzi Contini, attraverso lo studio del dattiloscritto e del manoscritto (per cui cfr. : 161-84). L'analisi effettuata con il microscopio MSM, che permette una magnificazione e la ripresa a luce radente utile già in sé per la corretta lettura della grafia dell'autore (si vedano qui in , le due diverse riprese, a luce naturale e luce radente), ha permesso di studiare il manoscritto sia nelle diverse stratigrafie compositive, sia nelle scrizioni sotto cassatura.
Per il primo caso, è stato possibile riconoscere l'intervento successivo, effettuato con altra penna, che corregge l'originario nome della giovane "testimone" alla gita a Cerveteri con cui si inaugura il romanzo: Paoletta, successivamente corretto in Giovannina. La coincidenza della prima redazione con il nome della figlia dello scrittore, ha una valenza biografica di grande importanza, perché riconduce la visita al cimitero etrusco a un episodio reale della vita di Bassani, nonostante l'autore stesso, in alcune tarde interviste, avesse negato che la visita richiamasse un episodio realmente avvenuto.
L'analisi delle scrizioni sotto cassatura, effettuata con il medesimo microscopio, ha condotto invece a risultati distinti. Da una parte è stato possibile individuare, grazie alla luce radente e alla visione dei solchi, la priorità delle originarie scrizioni, dall'altra, però, a causa di inchiostri molto simili utilizzati per le correzioni tardive, non è stato possibile applicare alle immagini quel trattamento post-produzione che avrebbe permesso di distinguere cromaticamente le diverse scritture, eliminare (con il restauro virtuale) quella superiore, e ricostruire quella inferiore. I casi qui presentati (cfr. figg. 3, 4, 5) mostrano come, per l'individuazione della scrittura inferiore, soprattutto in casi di correzioni particolarmente tormentate, sia necessario applicare non solo il microscopio elettronico, ma l'interferometro Laser, che permette di scansionare i grafismi dell'asse "Z" con precisione inferiore al micrometro, per stabilire la priorità dei solchi, sia in assonometria, che sulla carta, nel punto di corrispondenza dell'incrocio dei solchi.
Il laboratorio collabora frequentemente con diverse biblioteche e archivi, non solo di Bologna: anche nel corso del 2021 gli strumenti di imaging multispettrale sono stati più volte richiesti in missioni fuori dal laboratorio e utilizzati per compiere alcuni importanti tentativi di recupero su materiali documentari con inchiostri illeggibili.
La prima missione si è svolta presso l’Archivio Arcivescovile di Ravenna, dove insieme al team del laboratorio FrameLAB di Ravenna e con la guida del Prof. Antonino Mastruzzo e della Prof.ssa Roberta Cella si è cercato di recuperare parte del testo scomparso della preziosa pergamena 11518ter datata 28 febbraio 1127 ( ; ). Essa contiene nella parte superiore due testi poetici in volgare, anonimi e di mano diversa e varie righe di notazione musicale aggiunte più tardi su tutta la superficie. La scrittura è minuta e compromessa dal distaccamento dell’inchiostro, da sporcizie e macchie, per cui l’obiettivo era quello di acquisire in particolar modo il verso della pergamena con diverse tecniche: in alta definizione con luce visibile, utilizzando la tecnica RTI e attraverso alcuni strumenti per imaging multispettrale, in particolare il microscopio, per riuscire a restituire leggibilità all’inchiostro molto tenue e sbiadito ( ).
Nel secondo caso, invece, è stato impiegato il sistema di imaging sul manoscritto 2083 della Biblioteca Universitaria di Bologna ( : 429-430), studiato dalla Prof.ssa Maddalena Modesti. Il palinsesto contiene una scriptio superior che riguarda il Laelius. De amicitia di Cicerone degli inizi del XII secolo e una scriptio inferior con tracce di un testo liturgico non identificato, con notazione musicale interlineare. Sono presenti almeno due strati di annotazioni, uno coevo al testo e un secondo della prima metà del XV secolo. Il ms. con il testo di Cicerone, membranaceo, è stato probabilmente smembrato e ricomposto nel XV secolo, inserendo tra i fogli pergamenacei nuovi inserti cartacei per ospitare le annotazioni marginali. Il testo di Cicerone è leggibile e così pure la maggior parte delle annotazioni. La parte che presenta più problemi è quella in corrispondenza dell'incipit a c. 1r, perché il margine superiore, oltre ad essere parzialmente lacero, è più deteriorato e l'inchiostro delle annotazioni è pressoché evanito.
Inoltre, dal 2019 il laboratorio partecipa attivamente alle attività di disseminazione all’interno del gruppo di ricerca Manus Creative nell’ambito dell’evento della Notte Europea dei Ricercatori: i progetti di lavoro e le ricerche più innovative nell’ambito dello studio dei manoscritti vengono presentati da tirocinanti, tutor, ricercatori e ricercatrici che collaborano con il laboratorio alle attività di imaging, restauro digitale, magnificazione con microscopio elettronico, RTI, viaggio immersivo nel manoscritto.
Un’opera che, forse più di altre, ha destato immediata fascinazione nei lettori del Petrarca è di certo il Bucolicum carmen. Tràdita dal manoscritto autografo Vat. lat. 3358, oltre che da numerosi altri codici, questa raccolta di egloghe ha stimolato fin da subito l’attenzione del pubblico petrarchesco, ammaliato dalla dolcezza dei versi latini del poeta e dai diversi significati nascosti sotto ai velamina della sua allegoria pastorale. Assieme ai dilemmi connessi alle molteplici strade dell’interpretazione poetica – già scandagliate dai primissimi esegeti, ossia Benvenuto da Imola, Pietro da Moglio e gli allievi Francesco da Fiano e Francesco Piendibeni da Montepulciano –, il Bucolicum carmen ha altresì posto, agli studiosi di ogni tempo, profondi interrogativi circa la sua vicenda compositiva, che si svolse tra il 1346 e il 1357, con un lavorio emendatorio proseguito almeno fino al 1366. Un percorso redazionale, dunque, decisamente complesso, di cui devono ancora essere chiariti alcuni snodi fondamentali. In tale prospettiva, importanti acquisizioni sono state raggiunte grazie agli studi di Nicholas Mann ( : 127-82; : 1-296; : 231-238; : 76-84, 423-435; : 513-535; : 278-290), all’edizione diplomatica del ms. Vat. lat. 3358 di Domenico De Venuto ( ) e, in anni recenti, alle preziose indagini di Enrico Fenzi, che confluiranno presto in un’edizione complessiva.
Auspicando nuove ricerche sull’iter redazionale del Bucolicum carmen, pare al momento vantaggioso riservare un supplemento d’indagine alle carte dell’autografo, che potrebbero celare aspetti significativi ancora non del tutto sondati. Come anticipato, l’esemplare in questione è il ms. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 3358, pergamenaceo, formato da 53 ff. numerati modernamente a timbro, consistenti in un duerno con una carta tagliata (ff. 1-3), sei quaderni (ff. 4-51) e due fogli di guardia (ff. 52-53), legati in assicelle ricoperte di velluto rosso scuro. Il testo delle egloghe, interamente autografo, riempie uno specchio di scrittura di mm. 95 x 73, distribuendosi su venti righe per facciata, tracciate a piombo. L’incipit, l’explicit, le iniziali e i nomi abbreviati dei collocutores sono in rosso e blu, ma non mancano sobrie decorazioni floreali e tracce di minio giallo nelle lettere capitali. Il manoscritto presenta inoltre alcune caratteristiche materiali che permettono di compiere alcune riflessioni su come Petrarca doveva intendere il suo Bucolicum Carmen. In particolare, non si deve trascurare il formato: il volume è infatti di piccole dimensioni – mm. 158 x 111 –, non diverse da quelle di un breviario o di un libro di preghiera. È dunque ragionevole ipotizzare che le egloghe del Petrarca fossero intese come testi intimi, da leggere nel raccoglimento. Una forma di libro, questa, che potrebbe avere in qualche modo influenzato anche l’elaborazione del volume tascabile di argomento non liturgico: è opportuno infatti ricordare che Boccaccio, per l’autografo del suo Buccolicum Carmen, il Riccardiano 1232, manterrà la “parva forma” adottata dal suo maestro. Ma è bene anche considerare che i possessori quattro-cinquecenteschi del Vat. lat. 3358, ossia Bernardo Bembo (autore della nota «MORS» a f. 33r) e suo figlio Pietro (autore invece delle postille «Sorga» e «Laura» al f. 35r), furono in rapporti con Aldo Manuzio.
A livello testuale, il manoscritto è latore di un vasto numero di rasure e correzioni autografe che, in parte già studiate in passato, sarebbero ora da riesaminare in toto, attraverso l’impiego delle nuove tecnologie di imaging nel campo dell’analisi dei manoscritti. Nel dettaglio, sarebbe importante portare nuova luce sulle numerose correzioni registrate da De Venuto (1990, 71-72) in apertura della sua edizione diplomatica, allo scopo di aggiornare gli studi sul testo del Bucolicum carmen e verificare se, dopo trent’anni, le soluzioni proposte nel 1990 possano essere ritenute ancora del tutto valide.
Ecloga | Rasure |
---|---|
Titolo |
1 |
I |
1 |
II |
1 |
III |
11 |
IV |
4 |
V |
9 |
VI |
13 |
VII |
11 |
VIII |
8 |
IX |
9 |
X |
39 |
XI |
5 |
XII |
6 |
Totale |
124 |
In particolare, De Venuto trascrive 124 correzioni, di varia consistenza ed entità, tutte effettuate da Petrarca mediante rasure, che, sebbene facilmente individuabili sulle carte del manoscritto anche a occhio nudo, non permettono, salvo che in rari casi, di decifrare il testo cancellato. Come si evince anche solo da una rapida consultazione dell’apparato e delle Note sull’apparato dell’edizione diplomatica ( : 157-173), di fronte a queste rasure De Venuto provò, in certi casi, a congetturare il testo cancellato, mentre, in altri, non fu in grado di proporre soluzioni.
Sembra dunque quanto mai opportuno esaminare nuovamente queste rasure mediante le recenti strumentazioni, in vista dell’edizione critica del testo. Nel dettaglio, sarà bene concentrarsi in primis sulle correzioni di maggiore rilievo ed entità, apprezzabili soprattutto in corrispondenza dell’egloga X, Laurea occidens. Particolare attenzione merita poi l’unica parola sistematicamente soggetta a correzioni da parte di Petrarca lungo tutto l’autografo, ossia «Dane/Dampne», emendata nell’unica correzione all’egloga II e, in otto casi su undici, nell’egloga III, dove occorre anche nelle abbreviazioni dei nomi degli interlocutori vergate a margine in blu e rosso. Per il momento, abbiamo concentrato la nostra attenzione proprio sull’egloga III, Amor pastorius.
In tale componimento, la vicenda amorosa del poeta si intreccia strettamente alla sua consacrazione poetica e alla celebrazione della propria poesia: il raccontro si costruisce attraverso i dialoghi tra il pastore Stupeus, alter ego di Petrarca, e la ninfa Dafne, di cui è innamorato, non essendone però corrisposto. Per vincere le ritrosie dell’amata, il pastore rievoca il momento del suo innamoramento; poi, dopo averla esortata a non perseguire ambizioni troppo elevate, le confida di aver incominciato a celebrarla con il canto, riuscendo apprezzato da Argo (ossia Roberto d’Angiò, con riferimento alla II egloga). Sollecitato da Dafne, Stupeus dà prova della sua capacità poetica e si esibisce in una dichiarazione amorosa tramite la quale egli racconta come, a metà della sua vita, si fosse ritrovato in un locus amoenus, alla presenza delle Muse, che gli avevano rivelato il futuro. Tra queste, Calliope prevede il cedimento di Dafne e gli fa dono di un ramo di alloro, comandandogli di annunciare al mondo il suo incontro con le Muse e di riferire ogni cosa a Dafne, di mostrarle l’alloro ed esortarla all’ascolto. Dafne, colpita dal racconto di Stupeus, lo esorta così a seguirla sul Campidoglio, teatro di grandi eventi e personaggi dell’antichità romana, e a donargli il suo ramo di alloro, con cui lo incoronerà.
Fondamentale per comprendere i sensi dell’egloga è dunque il personaggio di Dafne, figura che racchiude in sé Laura e laurus, amore e gloria poetica; ma anche una parola cui Petrarca riservò un particolarissimo lavorio ortografico-semantico. Proprio allo scopo di sondare i significati dell’egloga III anche attraverso lo studio delle variae lectiones d’autore succedutesi nel corso processo scrittorio, è stata condotta un’analisi di imaging della rasura con la quale Petrarca ha cancellato la variante sottoscritta «Dampne», risolvendosi poi per la forma «Dane»; operazione, questa, che indusse il poeta a lasciare nell’autografo spazi bianchi, cosa che stranamente non accade nel ms. Napoli, Biblioteca Nazionale, VIII G 7 (siglato N), che dovrebbe riportare lezioni precedenti alle correzioni del ms. Vat. lat. 3358, latore, invece, sempre della forma «Dane».
In linea con il tema del seminario Carte, penne e inchiostri, sarà importante ripercorrere le procedure tecniche che hanno permesso di intelligere, con scientificità e precisione, quanto a occhio nudo non era captabile con certezza, e di riportare così alla luce il nome inizialmente scelto da Petrarca per la protagonista dell’egloga III. Come per altri studi di questo tipo, l’indagine ha tenuto conto dell’epoca cui risale il documento: grazie al dato cronologico, è infatti possibile avanzare ipotesi sulla composizione chimica degli inchiostri utilizzati. In questo caso, il manoscritto fu composto durante il XIV secolo, età che fa supporre che l’inchiostro nero impiegato da Petrarca sia ferro-gallico, dunque tendenzialmente trasparente alle riprese nelle bande infrarosse. Pur considerando questo aspetto, sono stati effettuati diversi test di acquisizione, sia con riflettografia infrarossa a tre diverse lunghezze d’onda, sia con radiazione ultravioletta in fluorescenza (a 365 nm) e con l’ausilio di filtri. Com’era immaginabile, le riprese nelle bande infrarosse non hanno restituito buoni risultati, mentre le acquisizioni in fluorescenza ultravioletta hanno consentito di rilevare, a livello chimico, l’inchiostro residuo sotto le rasure.
È quanto si può apprezzare, ad esempio, per le rasure rilevabili a f. 10r nella
rubrica e nella seconda riga di testo. Per quanto riguarda la rubrica, il nome
sottoscritto a quello attuale è «Dapne»: De Venuto (1990, 83) propone «Dampne» forse
ipotizzando la presenza di un segno di compendio per -m-
, dato che lo spazio
rimasto a disposizione a seguito dell’intervento correttorio è sufficiente a
contenere una sola lettera. Il «Dampne» proposto da De Venuto ( : 83) è poi chiaramente distinguibile, grazie all’esame
con raggi ultravioletti, nel testo: sull’ultimo tratto della m
originaria è
stata infatti soprascritta la e
di «Dane», mentre la sillaba -pne
risulta ancor più visibile, poiché erasa e poi non coperta da altri tratti di
scrittura.
Analoga situazione si ripresenta a f. 10v, dove l’oscillazione «Dampne/Dane» è ben visibile, sempre a seguito dell’impiego dei raggi ultravioletti, accanto al segno di paragrafo blu che indica, in correlazione con la postilla locutoria, l’incipit della battuta di dialogo di Stupeus. La correzione è poi riproposta in modo del tutto identico a f. 12r.
La carta che ha restituito i risultati migliori al test con radiazione ultravioletta è però f. 13r, dove sotto a «Dane», emerge con incontrovertibile chiarezza il nome «Dampne». La presenza di questi consistenti residui d’inchiostro ha suggerito la possibilità di ottenere un’immagine ingrandita e ancora più dettagliata della porzione di testo in questione. Per ottenere una fotografia più nitida, proficuo è stato l’impiego di uno scanner ad alta risoluzione per palinsesti: documenti che, com’è noto, tramandano testi la cui ragion d’esistere è proprio connessa a estese operazioni di cancellatura e riscrittura.
Lo studio, che ha confermato quasi tutte le congetture di De Venuto ( : 85-88), consente in primo luogo di trarre alcune conclusioni sul piano filologico. Difatti, come osservato da Loredana Chines (; ), se si tiene conto della variante «Dampne/Dane» presente nel ms. Vat. lat 3358 e, in parallelo, della lezione del Napoletano VIII G 7, si dovrà pensare o che Petrarca, tramite l’oscillazione dell’autografo, torni alla lezione scelta in origine, ovvero «Dane», oppure che il ms. N sia contaminato, come del resto adombrato dallo stesso De Venuto ( : 21-22, 62) e da altri.
Importate è poi riflettere, sempre sulle orme di Loredana Chines ( ; : 43-63), sui
possibili significati nascosti dietro l’alternanza tra «Dampne», poco attestato nel
latino medievale e nel volgare, e «Dane», forma invece affermata e impiegata anche da
Boccaccio in Geneal. VII 19. Anzitutto, il binomio Damnes/Dampnes,
riconducibile ai verbi damner/dampner (condannare, dannare
sia in
ancien français che in provenzale), potrebbe riflettere la
volontà di Petrarca di caratterizzare Laura come colei che causa danno e quindi
dolore, in analogia al ritratto di Rvf 78, 7-8 («pero che 'n vista ella si
mostra humile / promettendomi pace ne l'aspetto») ( :
268). D’altra parte, poiché in franco-italiano damne ha anche il significato
di dama
, la prima scelta petrarchesca sembrerebbe celare pure un’allusione alla
domina provenzale del lessico cortese, poi abbandonata a vantaggio di
«Dane», ossia della Dafne del mito ovidiano (Ov., Met., I 452-567), connessa
al topos del lauro e della gloria poetica, secondo un percorso emendatorio
presente anche nel Canzoniere. Ancora, Dané è il nome di
Eco nella versione medievale del racconto di Ovidio, una figura rievocata
anche in Rvf 23, 38 e Tr. Cup. II 162 per alludere al
flatus
vocis, la parola della poesia. D’altra parte, nel congedo della canzone 23
campeggia un’altra figura femminile del mito cara a Petrarca, ossia Danae, la madre
di Perseo, che fu sedotta da Giove sotto le sembianze di una pioggia d’oro, avendo in
lui incendiato la passione, come Dane/Laura infiamma, nell’egloga III,
Stupeus, pronto a divampare d’amore.
In conclusione, il caso «Dampne/Dane» ha permesso di evidenziare che, nello stesso modo in cui il lettore, grazie agli occhi del critico, può scorgere, nell’oscillazione del nome, «il volto della dama cortese – forse quella dipinta nel ritratto da Simone Martini –, dell’impalpabile Eco, voce stessa della poesia, della Danae mai posseduta, e della ninfa del mito ovidiano che offre al poeta la gloria imperitura dell’alloro poetico» ( : 62), così anche la materialità delle carte, sondate attraverso le lenti dei moderni strumenti di imaging, può rivelare nuove possibilità di sensi del testo, lasciando trasparire tracce di un intenso lavorio autoriale che attende ancora di essere analizzato nella sua complessità.
Il Fondo che ospita le carte di Giuseppe Raimondi (1898-1985), acquistato nel 1988
dall’Istituto per i Beni culturali della Regione Emilia-Romagna e conservato presso
la Biblioteca Ezio Raimondi
del Dipartimento di Filologia Classica e
Italianistica dell’Università di Bologna (da qui BFICLIT) che ne garantisce la
consultazione e la valorizzazione, consta di diverse migliaia di volumi di
letteratura italiana e straniera (con una prevalenza di opere di e su scrittori del
Novecento), circa 250 riviste artistiche e letterarie, manoscritti e dattiloscritti
d’autore, disegni, fotografie e ritagli di articoli, centinaia di quaderni di
appunti, oltre a un ricco e vivace carteggio comprensivo di migliaia di lettere di
scrittori, artisti e critici letterari a lui contemporanei.
La ricchezza di questo Fondo – un vero e proprio archivio culturale di persona, la cui unità fra manoscritti, fotografie, disegni e libri posseduti dall’autore rappresenta certo un valore aggiunto alla rilevanza dei materiali che vi sono conservati – permette di considerare la pluralità dei fenomeni letterari con cui Raimondi venne a contatto nella sua esperienza personale e professionale. Scrittore forse nel tempo poco inteso e apprezzato, Raimondi partecipò, nei primi decenni del secolo scorso, a un momento di grande rinnovamento delle forme letterarie collaborando a numerose riviste e fondandone di nuove, allacciando rapporti con colleghi letterati italiani e stranieri, con i quali instaurò spesso profondi e duraturi rapporti di amicizia e di stima.
Una selezione di questa preziosa documentazione archivistica fu esposta a Bologna nel 1977 grazie all’allestimento di una mostra a cui partecipò lo stesso Raimondi; da allora, diversi contributi sono stati dedicati alle carte e ai libri dello scrittore (Mazzotta 1977; Politi 1998; Rossi and Wenzlawski 2020). In questa occasione si è scelto di prendere in esame una serie di campioni testuali circoscritti e precedentemente selezionati provenienti dal Fondo Raimondi le cui condizioni materiali potessero essere indagate attraverso i moderni strumenti di analisi e di elaborazione grafica messi a disposizione dal Dipartimento FICLIT nell’ambito delle attività del Centro di ricerca in Digital Humanities per la digitalizzazione di testi e documenti. L’indagine, condotta con il fondamentale supporto del personale bibliotecario e del personale tecnico amministrativo dell’Università di Bologna, è stata realizzata con l’intento di valorizzare, oltre alle potenzialità di strumenti e tecniche utili allo studio e alla conservazione dei manoscritti moderni, la consistenza del Fondo e stimolare quindi future indagini su questo tema.
Nella messa a punto del corpus in occasione di questo intervento la scelta è ricaduta su quelle carte il cui stato di conservazione o la cui stratigrafia degli interventi d’autore – quando non di vere e proprie campagne correttorie – permettesse di valutare le funzioni, le potenzialità, i diversi approcci e occasioni di impiego delle nuove tecnologie di elaborazione grafica digitale e imaging, come l’indagine multispettrale e la post-produzione digitale, nello studio e nella conservazione dei manoscritti moderni. Per i materiali facenti parte della mostra documentaria allestita nel 1977 il problema dello stato di conservazione è particolarmente diffuso a causa dell’applicazione, direttamente sulle carte, di scotch adesivo i cui aloni, nel tempo, hanno corroso l’inchiostro, rendendo alcune porzioni di testo completamente illeggibili. Il nostro scopo è stato allora quello di migliorare le condizioni di leggibilità del documento ma anche, là dove è stato possibile, di oggettivare la sequenza temporale dei tratti grafici, ovvero la loro stratigrafia, attraverso l’analisi di alcuni campioni testuali che presentassero casi combinati di intersezione di due o più inchiostri.
Lo studio della stratificazione dei tratti, così come il confronto tra gli inchiostri utilizzati, ci è stato reso possibile dall’utilizzo del Microscopio Multispettrale MSM Forinst S.r.l.s. messoci a disposizione dal Laboratorio del Dipartimento FICLIT dell’Università di Bologna ( ). L’indagine multispettrale, solitamente utilizzata in ambito forense a scopi di anticontraffazione documentale, permette infatti di esaminare la porzione di testo prescelta con un elevato grado di magnificazione e attraverso tre tipi di frequenze: una sorgente a luce bianca, una sorgente infrarossa e una ultravioletta. In molti casi per ottenere un buon livello di discriminazione tra diversi inchiostri apparentemente appartenenti alla stessa tonalità se osservati al naturale basta operare con la sorgente di luce bianca (sorgente di illuminazione nel visibile). Nel primo caso di applicazione, riferito a una pagina di un quaderno di Giuseppe Raimondi risalente al 1957, abbiamo lavorato con tutte e tre le sorgenti luminose prendendo in esame una porzione di testo in cui si realizza una duplice intersezione: inchiostro blu-grafite e inchiostro blu-inchiostro nero.
La successione cronologica dei diversi tratti grafici, tutti riconducibili alla stessa mano, non si presenta, in questo caso, immediatamente verificabile; per ricostruire questa particolare stratigrafia, abbiamo agito irradiando la porzione di testo di nostro interesse dapprima con una sorgente di luce ultravioletta che, grazie alla fluorescenza, oltre che all’elevato fattore di magnificazione, è in grado di rendere graficamente i diversi pigmenti del tessuto cartaceo altrimenti invisibili a occhio nudo. Si è quindi scelto di operare con una sorgente di illuminazione infrarossa, che permette di acquisire immagini sfruttando la capacità dei raggi di attraversare la materia e quindi di osservare strati inferiori altrimenti invisibili. Il microscopio permette di differenziare i pigmenti che compongono la miscela chimica utilizzata per la fabbricazione degli inchiostri e di renderli visibili all’occhio umano. In questo caso, l’indagine multispettrale così condotta ci ha permesso di sfatare un effetto ottico altrimenti fuorviante: a prima vista pare infatti che il tratto d’inchiostro blu sovrasti e sia dunque successivo al tratto a matita, ma questo dipende solo dal fatto che l’inchiostro è, per sua natura, più carico della grafite. L’esame a infrarossi, grazie all’assorbimento da parte della sorgente luminosa dell’inchiostro, mostra come, in realtà, nella vera sequenza temporale di apposizione il tratto di matita sia sovrascritto a quello di inchiostro blu (v. ) il quale, a sua volta, è sovrascritto a quello di inchiostro nero (ne possiamo riconoscere il ductus continuo nella , là dove i due tratti si sovrappongono).
L’esame a raggi infrarossi permette dunque, quando il documento presenti tratti grafici apposti con inchiostro diverso, di ricostruirne la successione temporale e di distinguere le correzioni tardive (nel nostro caso, il tratto a matita) dalla stesura originaria (qui il tratto a inchiostro nero). Occorre far presente, tuttavia, che la sorgente luminosa infrarossa assorbe certi tipi di inchiostri, ma non tutti: per questo è molto difficile prevedere, senza conoscere esattamente la composizione dell’inchiostro (se a base oleosa, alcolica, ecc.), se questi risulteranno invisibili a seguito dell’indagine ( ). Inoltre, inchiostri diversi reagiscono in maniera diversa all’incidenza dei raggi per cui, ad esempio, nel caso di un testo stampato grazie ad una macchina da scrivere manuale che rechi interventi e correzioni manoscritte è molto probabile che l’inchiostro sintetico con cui sono state apposte le correzioni venga assorbito dalla sorgente luminosa a infrarossi e quindi sbiadisca o svanisca del tutto a seguito della sua esposizione ai raggi, permettendo di leggere lo strato inferiore, anche quando questo dovesse risultare, a prima vista, completamente illeggibile perché cassato o contraffatto.
L’utilizzo di una sorgente infrarossa è stato utile, nel nostro caso, non solo per ricostruire la sequenza e le stratificazioni dei tratti grafici testimoniati dalle porzioni di testo prese in esame come campioni rappresentativi, ma anche per restaurare digitalmente, là dove materialmente sarebbe stato impossibile, gli aloni provocati sulle carte dallo scotch adesivo utilizzato per fissarle su cartoncini rigidi e per esporle in occasione della mostra documentaria del 1977. Questo tipo di analisi multispettrale, una volta esportata l’immagine ottenuta, può essere combinata, tanto nel caso degli aloni quanto nel caso della sovrapposizione tra inchiostri, ad altre tipologie di intervento come, ad esempio, alla post-produzione in digitale.
Nel caso che segue abbiamo scelto di isolare un particolare di parola cassata e di sottoporlo a una sorgente luminosa ultravioletta che mettesse in evidenza il pigmento della parola sottostante la cassatura (più scuro probabilmente perché più calcato, come tratto, rispetto a quello veloce e continuo della cassatura).
A partire da questa acquisizione, rispetto alla quale la sola indagine multispettrale non si era dimostrata risolutiva, abbiamo deciso di applicare gli strumenti di elaborazione digitale offerti dal Software Photoshop: una modalità di restauro virtuale non invasiva che offre il vantaggio di poter essere utilizzata facilmente e a basso costo da qualsiasi piattaforma computerizzata, le cui potenzialità vengono troppo spesso limitate all’ambito del fotoritocco e che solo recentemente ha trovato una valida applicazione anche nel restauro virtuale, ovvero nell’insieme di strumenti informatici e multimediali che permettono l’analisi, il ripristino, la visualizzazione e la condivisione on-line di beni culturali ( ). Attraverso l’utilizzo di specifici comandi e funzioni (come la riquadratura e lo scontornamento dell’immagine, la regolazione degli indici di contrasto/luminosità/bianchi, ecc.), è stato possibile non solo rimuovere macchie e aloni dalle carte del Fondo Raimondi, ma anche migliorare la visibilità di porzioni di testo compromesse o addirittura completamente illeggibili ( ).
L’ottimizzazione dell’immagine è stata condotta, in questo caso, grazie all’utilizzo di due particolari strumenti che hanno permesso la leggibilità della parola cassata presa a campione (come da ): 1) Lo strumento spugna che ha la funzione di saturare/desaturare l’immagine e che si può applicare, tramite una sorta di pennello molto sottile, su un punto preciso dell’immagine, consentendo di modificare, nel corso dell’operazione, diversi paramenti come la forma, la dimensione dell’area su cui agire ma anche il tipo di setole del pennello e quindi il tipo di risultato che si desidera ottenere; 2) Lo strumento scherma che si applica secondo le stesse modalità ed ha invece la funzione di schiarire l’immagine. Terminata la fase di elaborazione grafica, si procede pulendo la zona adiacente al tratto della parola grazie allo strumento pennello correttivo. Questo strumento, che fonde gradualmente la zona compromessa che presenta il difetto con la texture dello sfondo, è funzionale ad ottenere un grado soddisfacente di pulizia e di visibilità dell’immagine. Potenzialmente la parola in questione potrebbe anche essere separata dallo sfondo attraverso una tecnica chiamata scontornamento dell’immagine, attraverso la quale è possibile mettere in risalto il risultato ottenuto se lo sfondo risultasse essere troppo sporco, scuro o eccessivamente colorato. Grazie a questo strumento è infatti possibile selezionare (automaticamente, attraverso lo strumento bacchetta magica o, nei casi più complessi, manualmente, attraverso lo strumento selezione rapida) il contorno dell’oggetto e sovrapporre la porzione scontornata a un fondo monocromatico, così da migliorarne ulteriormente il grado di leggibilità.
Per quanto riguarda la rimozione degli aloni provocati dallo scotch, Photoshop offre almeno tre strumenti funzionali alla pulizia dell’immagine e alla rimozione delle macchie: 1) Il timbro clone che agisce a partire dal campionamento della sezione difettosa interessata e sostituisce il difetto con la porzione di immagine individuata dallo strumento grazie a un mirino posizionabile, ad esempio, sullo sfondo a cui si vuole omologare la sezione; 2) Il pennello correttivo e pennello correttivo al volo che permettono di fondere la campionatura del difetto con lo sfondo dell’immagine procedendo, più che con una sostituzione meccanica come può essere quella del timbro clone, con una graduale sfumatura che, nel caso si scelga di utilizzare lo strumento pennello correttivo al volo, può essere effettuata automaticamente; 3) La toppa che consente di isolare manualmente una parte dell’immagine e di spostarla su uno sfondo non difettoso con il quale si andrà a far fondere la porzione selezionata. Nel caso di questa lettera di Riccardo Bacchelli a Raimondi abbiamo applicato, in sequenza, gli strumenti pennello correttivo e toppa, ottenendo come risultato la totale rimozione dell’alone e la completa leggibilità del testo.
L’ultimo caso qui riportato presenta una pagina di un quaderno del 1957 dove Raimondi ha insistito con diverse riscritture e lavorazioni successive alla prima stesura, oltre che con una fitta campagna correttoria. A prima vista risulta lampante come non solo le correzioni apposte in un secondo momento, ma anche il testo base sia stato redatto con due penne diverse: una a inchiostro nero, l’altra a inchiostro blu. Il riconoscimento delle due penne nei vari luoghi del testo è tuttavia complicato dal fatto che queste sembrano alternarsi frequentemente e senza una particolare logica, arrivando spesso a sovrapporsi. Per fare chiarezza sulla successione temporale dei diversi tratti grafici e dei rispettivi inchiostri, si è cercato anche in questo caso di isolare alcune porzioni di immagine rispetto ad altre e di agire, attraverso i parametri di ottimizzazione dell’immagine offerti da Photoshop, nel senso di una netta distinzione tra i due tratti al fine di favorire non solo la visibilità ma anche l’immediata comprensione dell’alternarsi tra le due penne. Grazie allo strumento sostituisci colore si è quindi selezionato, attraverso il contagocce, un tratto di inchiostro blu sull’immagine e si è modificato agendo sui vari livelli di saturazione/illuminazione/tonalità a seconda del grado di visibilità che avevamo bisogno di ottenere.
Come si può vedere da questa immagine, la penna a inchiostro blu, a seguito dell’intervento, risulta decisamente più in evidenza. Naturalmente lo strumento, agendo automaticamente, non individua la presenza della penna in sé ma valorizza e satura i colori che riconosce come simili a quello selezionato in partenza. Da un’analisi diffusa delle due pagine interessate da questa fitta campagna correttoria, si è comunque potuto ricostruire il modus operandi dell’autore il quale, evidentemente, dopo aver iniziato a scrivere con la penna blu, decide di cassare con la penna nera l’ultima parola e con quella riprende a scrivere, intervenendo anche retrospettivamente su quanto già scritto; solo in un secondo momento, quindi, torna alla penna blu e con quella rivede l’intero testo, apportando correzioni anche consistenti in interlinea. L’intuizione iniziale, dunque, ovvero l’esistenza di due penne diverse alternate nella scrittura, viene confermata dall’indagine condotta digitalmente che, mettendo in risalto alcuni dettagli rispetto ad altri, consente di ricostruire con maggiore precisione la genesi del testo.
Senza voler esaurire le tematiche che concernono il trattamento digitale dei testi e la loro elaborazione tramite le moderne tecniche di imaging e di restauro digitale, con questo breve testo si è voluto proporre un certo numero di casi che potessero risultare rappresentativi delle potenzialità di questi strumenti in termini di utilizzo. Al di là delle singole modalità di intervento, l’applicazione di questo genere di tecnologie e di metodologie, sempre più attuali nell’ambito dell’umanistica, è da intendersi come un supporto all’indagine dello studioso o della studiosa e, in quanto tale, può offrire una o più ipotesi di interpretazione. Dal punto di vista della tutela, dello studio e della valorizzazione dei testi, la sinergia tra conoscenze umanistiche e applicazioni tecnologiche, tra i suoi vantaggi, ha appunto quello di favorire, grazie all’apporto tecnico, l’esegesi del testo.
Carlo Levi (1902-1975) è considerato, a torto, autore di un’opera sola, quel Cristo si è fermato a Eboli (1945) che è divenuto un long-seller del Novecento letterario italiano, nel quale l’autore racconta la sua esperienza del confino in Lucania, avvenuta tra il 1935 e il 1936. Se l’attenzione del narratore, che descrive il paese di Gagliano da una prospettiva fortemente influenzata dagli studi di psicoanalisi e dell’antropologia di primo Novecento, è tutta rivolta all’esterno, alla scoperta di un mondo oscuro, che impermeabile alla razionale astrattezza del fascismo doveva essere però portato nell’alveo della storia, all’attenzione del pubblico italiano, nell’ultima opera Quaderno a cancelli il protagonista è invece costretto a letto, cieco, impossibilitato a osservare il mondo dei colori e della luce. Il Quaderno è così il lato oscuro del Cristo, il suo negativo che contrappone all’ottimismo del giovanile errare sui calanchi lucani il tempo della malattia e del dolore, durante il quale si dischiude la dimensione ctonia dei ricordi, della memoria e della fantasia.
Nell’inverno del 2020, Einaudi pubblica una nuova edizione del Quaderno a cancelli, edito postumo per le cure di Linuccia Saba e Aldo Marcovecchio nel 1979. A distanza di quasi quarant’anni, l’esigenza di una nuova edizione era motivata non solo dalla manipolazione delle carte operata impropriamente da Linuccia Saba, ma anche perché a un confronto con il manoscritto era presto divenuto chiaro come fossero stati prodotti dei tagli arbitrari sul testo. Il manoscritto del Quaderno, perduto e disponibile solo in fotocopia, pone allo studioso problemi di ordine filologico che, in modo davvero coinvolgente, si intersecano alle problematiche materiali della malattia e della sua rappresentazione. La stessa scrittura di questo diario (non più di «prigione», come il diario leviano che è stato di recente scoperto da Gilda Policastro ( ) presso il Fondo manoscritti di Pavia, cui Levi nel Quaderno fa riferimento ( : 44), e risalente all’estate del 1935) la stessa scrittura, si diceva, nasce da un fatto di cronaca molto concreto, accaduto nell’inverno del 1973: mentre sta passeggiando per le strade di Roma, insieme a Linuccia, Levi inizia a vedere della neve cadere dal cielo. La diagnosi non tarda ad arrivare. Il distacco di retina impone l’immediato ricovero e l’operazione, prima all’occhio destro, poi a quello sinistro, che lo costringe a letto per diversi mesi (con poche pause) tra febbraio e la fine di maggio dello stesso anno.
La malattia oculare è direttamente collegata alle problematiche della filologia d’autore, in quanto si riflette sulla scrittura, rendendola di fatto quasi impraticabile, se non fosse per l’ingegno con il quale il suo assistente, Gian Paolo Berto, ha fatto costruire due telai: uno incorniciato ai lati e libero al centro e l’altro, sempre incorniciato, ma attraversato da cordicelle metalliche volte a guidare la matita sul foglio. Nel primo il foglio era inserito con l’intento di disegnare, tenendo il pugno fermo al centro e muovendo di conseguenza le dita, il secondo invece era utilizzato per scrivere, in modo lento ma perlomeno guidato. Così nascono le mille carte manoscritte di Quaderno a cancelli, un diario della malattia che non è stato progettato a tavolino ma è nato da una prassi quotidiana con cui Levi esorcizzava il buio attraverso la luce dei recessi dell’anima.
Levi si trova disteso su un letto di ospedale, e le sue condizioni di salute hanno una ricaduta immediata sul materiale manoscritto che presenta problemi di disomogeneità grafica e redazionale, aggravati dall’assenza di una ripulitura del materiale manoscritto. Una volta uscito dalla clinica, l’autore rallenta il flusso di scrittura, la prosa tende a trasformarsi in testo poetico, e a diradarsi. Infine, egli abbandona il progetto e lo richiude in un cassetto. Solo dopo la sua morte, avvenuta nel gennaio del 1975, Saba decide di rimettere mano all’intero manoscritto e di darlo alle stampe. Anche in presenza del manoscritto originale, che permetterebbe certo di sciogliere alcune cruces, l’opera manterrebbe il suo aspetto incompiuto, soprattutto laddove sono presenti porzioni di brano nelle quali l’autore si è addormentato, lasciando cadere la penna, e ha poi ripreso a scrivere cambiando talvolta argomento. Nel complesso, la grafia leviana, più impervia in seguito alle operazioni, e più distesa in fase di remissione, è in generale irta e spesso sovrappone differenti righe di testo, l’una sull’altra, rendendo di fatto incomprensibile alcuni passi.
Recita l’incipit dell’opera, scritta con uno stile molto distante dalla prosa cristallina e media del Cristo:
Qui si può scrivere un libro, un libro intero, anche lunghissimo e sterminato: altrettanto lungo e sterminato, e anche piú, < > del tempo e dello spazio dell’impedimento. Girarsi attorno, anche con ozio o per puro divertimento, anche per parentesi e follie o assonanze o rime o somiglianze o ricordi o estri o capovolgimenti o capriole o ruzzoloni o salti mortali o giri di fianco o numeri di destrezza o veroniche o federiche o gertrudi o tori picassiani e altri piú flacos come dovrebbero essere i tori di un eroe cervantesco le cui corna non fossero in verità che temibili attaccapanni a cui appendere idee così vetuste da parere ed essere nuove, e i cui garretti düsseldorfiani cotti in pentole sigillate servissero da porzioni triple, per otto o dodici RR. fra ricordi napoleonici, eroici all’andata e antieroici al ritorno, o viceversa ( : 9).
Giacché il protagonista è proteso nella dimensione della sua interiorità, il Quaderno poggia su una esile trama, costituita di pochissimi elementi: l’operazione, il ritorno a casa, una seconda operazione e il successivo periodo di convalescenza sino alla definitiva guarigione. Ma alle spalle di questa fragile struttura si nasconde l’abnormità del mondo onirico, vero tratto distintivo di questo diario della cecità che può essere anche letto per incursioni trasversali, senza per questo comprometterne il senso generale. Lo stesso titolo richiama il verso di una poesia dell’amico Rocco Scotellaro, il sindaco di Tricarico morto prematuramente negli anni Cinquanta, il quale aveva scorto nella figura del più anziano Carlo il punto di riferimento per le popolazioni subalterne. In È fatto giorno (1954), raccolta di poesie curata dallo stesso Levi dopo la morte dell’amico, il «quaderno a cancelli» ( : 137) è un quadernetto quadrettato delle prime classi elementari le cui righe orizzontali come un binario veicolano la mano dell’alunno nell’esercizio della bella grafia. Il titolo, dunque, rimanda a un elemento concreto, cioè all’atto della scrittura e al luogo fisico della sua esecuzione, nonché ai cancelli di una prigione, a una visione che è distorta dall’impossibilità di vedere in modo naturale, ovvero senza i cancelli:
Ma questo corpo concavo vuoto dentro. Questo aggregarsi casuale e magnetico di segatura e ruggine appesa, questa andatura o scimmiottatura della retina con tutte le sue grazie di ricerca [?], di tempi perduti, di recuperi di memoria, di riscoperta delle forme rinnegate, di neo-figurativismo postcatastrofico e apocalittico, è forse una prigione molto solida anche nella sua apparente irrealtà. questa muraglia di cose già frantumate e polverizzate nessuno la può abbattere. queste siepi e boscaglie e liane e rampicanti già sminuzzate e digerite nello stomaco di qualche animale preistorico o postistorico, sono più fitte, più grige e spente e invalicabili che le più nere di intrecci e baluardi della foresta vergine e non c’è machete che le tagli o fuoco che le bruci ([25]: 11).
L’edizione del Quaderno del 1979 è viziata da quello che si può definire
un editing famigliare
( ), dalla volontà cioè
di presentare un testo letterario definito, omogeneo e coerente nella sua
articolazione logica e formale. È necessario a questo proposito segnalare che la
nuova edizione ha cercato di restituire, sulla scorta di tutti i documenti che è
stato possibile reperire, l’ultima volontà dell’autore, il quale non aveva
riveduto il testo dopo la prima stesura. La nuova edizione può dirsi a tutti gli
effetti un’opera di restauro il cui lavoro è iniziato dalla ridiscussione della
numerazione delle carte, manomessa da Linuccia Saba durante l’editing del testo e
complicata dal fatto che non possediamo – eccetto per alcune carte – il
manoscritto originale. Per fortuna, del manoscritto è conservata all’Archivio
centrale dello Stato di Roma una xerocopia (di cui mancano alcune carte) che è
stata fatta sempre da Saba durante la preparazione dell’edizione del 1979.
Le carte manoscritte presentano diversi gradi di leggibilità. In particolare, le
prime 150 carte e quelle comprese tra la c. 527 e la c. 740, pur essendo state
scritte con l’ausilio dello scrittoio in legno che veicolava lungo i
cancelli
la mano del malato, mostrano parole e intere righe sovrapposte
e aggrovigliate. Alcuni esempi di trascorsi di penna sono davvero indicativi:
allergici per «allleergirgicii», «surreale» per «surreallele», «essere» per
«esseserere». A questi aspetti, si aggiunga che la xerocopia che sostituisce il
manoscritto non è completa. Quindi per evitare di consegnare al lettore un testo
lacunoso, si è deciso di suturare il materiale, recuperando per queste
micro-lacune (in tutto 11 carte su mille) la versione più vicina all’ultima
volontà dell’autore, verificando per ogni singolo caso il primo dattiloscritto del
1973 e i testimoni successivi che tuttavia non sempre sono stati affidabili.
Ad esempio: il Quaderno si apre con una palese illogicità di significato su cui si sono soffermati spesso i critici e che non è presente nei testimoni precedenti. Di questo passo iniziale non si possiede l’originale manoscritto né la xerocopia, ed è pertanto un esempio molto lampante che ci permette di comprendere lo stato in cui versano i materiali manoscritti:
Qui – recita l’incipit dell’edizione 1979 – si può scrivere un libro, un libro intero, anche lunghissimo e sterminato: altrettanto lungo e sterminato forse il cerchio del tempo e lo spazio dell’impedimento. [corsivo dell’autore]
Il testimone (D1-1973) più vicino all’originale perduto è un dattiloscritto composto da Linuccia delle prime carte dell’opera. È di fatto il testimone più vicino nel quale «forse il cerchio» non compare, ma si evidenza un cerchio come segno di rappicco al margine della carta e in corrispondenza del passo. Così recita il passo:
Qui si può scrivere un libro, un libro intero, anche lunghissimo e sterminato: altrettanto lungo e sterminato e anche più, < > del tempo e dello spazio dell’impedimento.
Come evidenziato dai diversi testimoni e in assenza del manoscritto, «forse il cerchio» sembra essere un’ingenua interpretazione, emersa nell’ultimissima fase editoriale del testo, di un cerchio utilizzato dallo stesso Levi nel manoscritto come segno di rappicco per una correzione tardiva, a noi non sopravvissuta. L’incipit è stato così restaurato, eliminando l’interpolazione scorretta: «qui si può scrivere un libro, un libro intero, anche lunghissimo e sterminato: altrettanto lungo e sterminato, e anche più, < > del tempo e dello spazio dell’impedimento».
L’esigenza di una nuova edizione è stata dettata in Einaudi non solo dalle illogicità contenute nella prima edizione e dettate soprattutto dalla volontà di rendere compiuto un testo che non lo è per definizione, ma dal fatto che negli anni ci si è accorti che il testo pubblicato da Saba non era completo. Infatti, come gli stessi curatori scrivono nella nota al testo il Quaderno avrebbe dovuto essere accompagnato dai disegni della cecità (un folto gruppo di 145 disegni, composti durante il periodo di stesura del testo e che sono a corredo e a commento delle parti in prosa e in versi del Quaderno) e da una cosiddetta appendice inedita, considerata però dai curatori allotria.
Sul problema dell’appendice si consuma il giallo filologico che è stato negli anni anche ripreso dalla stampa nazionale.
L’appendice consta delle carte che seguono la numerazione da 943 a 1000 ed è scritta tra il 1° giugno e il 17 settembre 1973. Essa è stata tolta dalla prima edizione in quanto ritenuta allotria al corpo centrale del testo che nella visione di Saba si apriva con l’ingresso in clinica e si chiudeva con l’uscita dalla clinica e la definitiva guarigione. Questo risponde alla logica di Saba che desiderava una versione compiuta del testo.
Le ragioni dell’esclusione, seppur comprensibili, non reggono alla prova dei fatti, sia perché si tratta di una cesura arbitraria effettuata su un materiale che prosegue la numerazione del testo pubblicato sia perché sotto il profilo del contenuto evidente è la continuità. Singolare di questo gruppo di carte sono le carte 999 e 1000 che sono emerse, durante il lavoro di ricerca, in altro fondo archivistico e che costituiscono il finale dell’opera. In particolare, la numero 1000 è la pagina finale interamente bianca a eccezione della numerazione in biro blu nell’angolo superiore destro del foglio, come a sancire il presupposto di voler continuare l’opera, ma segnalando di fatto la definitiva battuta di arresto dell’ispirazione.
La storia dell’appendice è interessante. Intanto perché al contrario di tutto il restante materiale la possediamo in manoscritto. Sopravvive molto probabilmente proprio perché non inclusa nel testo pubblicato. E poi perché presenta un’alternanza di prosa e poesia e di alcune pagine molto personali che fanno il punto sull’intera produzione leviana.
Si veda a questo proposito l’ultima pagina pubblicata nell’edizione del 1979. In essa compare una dea, una Venere che è Linuccia e che con la sua presenza perfetta gratifica il protagonista, il quale conclude la sua storia con un risveglio, cioè con una fine del sogno prodotto dalla lunga degenza e il ritorno alla vita. In realtà, le cose non stanno così. Se si torna al manoscritto si nota a prima vista che la scritta «ultima pagina scritta in clinica» (successiva al sogno nel testo a stampa) è nel manoscritto posta prima. Il sogno è datato 1° giugno 1973 e contenuto dalla pagina 943. Si potrebbe pensare che Saba abbia semplicemente anticipato la pagina del primo giugno al 31 di maggio. Così lascia intendere pure la stessa artefice quando, forse, pentita della vicenda dichiara a una giornalista: «ho preferito lasciare Quaderno a cancelli come era nato nella stanza d’ospedale, salvo una pagina che lui scrisse la stessa notte che lasciò la clinica e che mi sono voluta regalare...» ( ).
Se si analizzano le pagine con il microscopio elettronico sarà evidente che si tratta di più di un semplice spostamento. Si parla di una vera e propria manomissione del manoscritto. Innanzitutto, guardando la numerazione è possibile constatare che il numero 943 compare due volte e che l’originale 943 diventa 944. Ma se si ingrandisce l’immagine con l’ausilio del microscopio ci si accorge che la numerazione originale era 995 e 996. Non si tratta di un semplice errore di trascrizione. Se infatti guardiamo la data utilizzando i raggi Uv con luce radente e infrarossi si enfatizza la rugosità del tessuto superficiale cartaceo. In questo caso trattandosi di matita, vengono alla luce i solchi manoscritti che permettono di leggere in modo nitido il tratto di matita cancellato. La datazione originale del passaggio era 8.8 del 1973. E le carte corrispondono alle 995 e alle 996 del manoscritto. Questo trova riscontro nella xerocopia fatta in fase di edizione del testo e quindi dopo la morte dell’autore. Infatti, in quelle pagine la numerazione delle carte era corretta e non ancora manomessa. Ma lo spostamento di questa carta è centrale perché ha orientato i critici a interpretare il testo in chiave affettiva, come se la donna amata, novella Beatrice, avesse avuto il merito di condurre il protagonista «alla luce, alla superficie amorosa, alle stelle» e al risveglio finale.
Invece quella pagina si incastra perfettamente in un discorso che Levi fa il primo agosto, quando enumera – a sigillo della sua vita – le cose che veramente hanno per lui contato: la madre, il giardino della sua casa, gli amici Piero Gobetti e Rocco Scotellaro, l’amore sessuale, la Lucania del confino, la pittura e la scrittura come scoperta ed esercizio della verità e della libertà. Infine, la settima cosa è lasciata in sospeso, Levi accenna a un nome ma non si decide. Lo sceglie una settimana dopo in sogno, al contrario dello stato di veglia in cui aveva fatto il primo elenco. E qui decide di attribuire il ruolo di divinità a Linuccia.
Seppur abbia avuto un ruolo modesto, il microscopio ha qui sciolto le riserve sulla disposizione testuale e ha permesso di restituire al lettore un testo sicuramente diverso. E qui possiamo dirlo tranquillamente l’analisi ha inciso profondamente anche sull’interpretazione critica che del testo sarà fatta. Quindi non più un testo letto in un’ottica se vogliamo dantesca, con una Beatrice finale che redime il mondo del poeta dalla malattia della futilità (il termine futilità indica qui con una accezione filosofica tutto ciò che non è reale ma che emerge nel mondo buio della cecità). Nella nuova edizione del Quaderno la posizione di Linuccia è ridimensionata, sicuramente. Seppur non marginalizzata. Essa rientra nelle cose importanti della vita di Levi, nelle cose che davvero per lui hanno contato – e vi entra in forma onirica. Una nuova edizione quindi aperta grazie alla strumentazione tecnologica a nuove forme di interpretazione, proprio a partire da questa nuova immagine testuale a cui qui ho potuto in modo solo marginale accennare, a favore appunto di una dimostrazione più puntuale dei dati tecnici.
Aldrovandi, Alfredo, Francesco Saverio Cecchi, Franco Lotti, Letizia
Montalbano, Tiziana Resta, Giorgio Trumpy, and Matteo Viani. 2007.
Valutazione Degli Effetti Indotti Da Differenti Sorgenti Luminose Sui
Manufatti Cartacei.
OPD Restauro, no. 19: 173–88. http://www.jstor.org/stable/24395098.
Avena, Antonio (edizione curata e illustrata). 1906. Petrarca Francesco, Il Bucolicum carmen e i suoi commenti inediti. Padova: Società Cooperativa Tipografica.
Bachmann Paul et François Marcel (avec la collaboration de Roudaut François) éd. 2001. Pétrarque, Bucolicum Carmen. Paris: Champion.
Baronti S., Casini A., Lotti F., and Porcinai S. 1998. Multispectral
imaging system for the mapping of pigments in works of art by use of
principal-component analysis
, Appied Optics 37:1299-1309.
Bearman, G., Zuckerman, B., Zuckerman, K. and Chiu, J. 1993. Multi-Spectral Digital Imaging of Dead Sea Scrolls and
Other Ancient Documents
. NASA Preprint.
<http://hdl.handle.net/2014/35946>.
Bennardi, Domenico and Furferi, Rocco. 2007. Il restauro virtuale. Tra ideologia e metodologia. Firenze: Edifir.
Berghoff-Bührer, Margrith. 1991. Das Bucolicum Carmen des Petrarca. Ein Beitrag zur Wirkungsgeschichte von Vergils Eklogen. Einführung, lateinischer Text, Übersetzung und Kommentar zu den Gedichten 1–5, 8 und 11. Bern – Berlin – Frankfurt: Lang.
Billanovich, Giuseppe. 1963. Giovanni del Virgilio, Pietro da Moglio,
Francesco da Fiano.
In Italia medioevale e umanistica, a.
VI: 203-234. Permalink: http://opac.regesta-imperii.de/id/610132
Bonaventura Da Demena, La complainte de Boece, Liber II, XIII.
Bonsi, C., Del Re, E., Italia, P., & Ortolani, M. 2016. "Manuscript & New Technologies". THESMA Project - TeraHertz & Spectrometry Manuscript Analysis. In P. Italia, & C. Bonsi (a cura di), Edizioni Critiche Digitali/Digital Critical Editions. Edizioni a confronto. Comparing Editions: 153-160. Sapienza Università Editrice.
Canali, Luca (a cura di). 2005. Petrarca Francesco, Bucolicum carmen. Collaborazione e note di M. Pellegrini. Lecce: Manni.
Chabries, D., Booras, S., & Bearman, G. 2003. Imaging the past:
Recent applications of multispectral imaging technology to deciphering
manuscripts
, Antiquity, 77 (296), 2003: 359-372.
Chines, Loredana. 1998. La parola degli antichi. Umanesimo emiliano tra scuola e poesia, Roma: Carocci.
Chines, Loredana. 2018. “Stupore e finzione nella III egloga del Bucolicum Carmen.” In Due scrittoi di Petrarca, Canzoniere (Rvf) e Bucolicum carmen, Atti del Convegno (Arezzo, Casa del Petrarca, 29 Novembre - 1 Dicembre 2018), in c.d.s.
Chines, Loredana. 2021. Un volto nascosto di Laur.a
In Ead.,
Filigrane, Filigrane. Nuovi tasselli per Petrarca e
Boccaccio: 43-63. Roma-Padova: Antenore.
De Boer, C (ed.). 1915. Coment Phebus enama Dané et coment ele fu muee en lorier: Ovide moralisé, poème du commencement du quatorzième siècle publié d’après tous les manuscrits connus, Vol. I, livre I-III, livre I, 120-135. Amsterdam: Müller.
De Venuto, Domenico. 1990. Il Bucolicum carmen di F. Petrarca: edizione diplomatica dell'autografo Vat. Lat. 3358. Pisa: ETS.
Fenzi, Enrico. 2012. Note di letture all’egloga di Petrarca ʻPastorum
pathosʼ (Buc. Carm. VI).
In L’entusiasmo delle opere: studi di
memoria di Domenico De Robertis. a cura di Isabella Bercherucci,
Simone Giustini, Natascia Tonelli, redazione di Francesca Latini: 341–374.
Lecce.
Fenzi, Enrico. 2013. Verso il ‘Secretum’: ‘Bucolicum Carmen’ I,
«Parthenias».
Petrarchesca 1: 13–53. https://www.jstor.org/stable/26497984.
Fenzi, Enrico. 2015a. L’egloga «Divortium» di Francesco Petrarca (con
un’ipotesi su Epyst. III 27 e 28.
Petrarchesca, a. III: 11-42. Pisa: Fabrizio Serra. Permalink: https://doi.org/10.1400/231131
Fenzi, Enrico. 2015b. “Sull’ordine di tempi e vicende nel Bucolicum carmen del Petrarca.” In «Per Leggere», a. XV, n. 29: 8-24. Firenze: Pensa Multimedia Editore.
Fenzi, Enrico. 2016 Bucolicum carmen XII: Conflictatio Collocutores
Multivolus et Volucer.
In Petrarca lettore. Pratiche e
rappresentazioni della lettura nelle opere dell'umanista, a cura di
L. Marcozzi, 175-216. Firenze: Cesati.
Fenzi, Enrico. 2019. La Senile XVI 1 a Francesco da Carrara.
In
Le «Senili» di Francesco Petrarca. Testo, contesti, destinatari,
Atti del Convegno internazionale di studi, Torino, 5-6 dicembre 2019:
165-198, in c.d.s.
Fenzi, Enrico. 2021. Bucolicum carmen II: Argus.
Petrarchesca, a. IX: 11-28. Pisa: Fabrizio Serra. Permalink: http://digital.casalini.it/10.19272/202112001001
Fontana, Raffaella, Barucci Marco, Dal Fovo Alice, Pampaloni Enrico,
Raffaelli Marco, Striova Jana. 2018 Multispectral IR Reflectography for
Painting Analysis
. In: Bastidas D., Cano E. (eds) Advanced
Characterization Techniques, Diagnostic Tools and Evaluation Methods in
Heritage Science. Springer, Cham: 33-47. https://doi.org/10.1007/978-3-319-75316-4_3
Frati, Lodovico. Catalogo dei codici latini della R. Biblioteca
universitaria di Bologna.
1908. In Studi italiani di filologia
classica, XVI.
Gasperina Geroni, Riccardo. 2018. Il custode della soglia. Il sacro e le forme nell’opera di Carlo Levi, Milano/Udine: Mimesis, cap. 1.
Gasperina Geroni, Riccardo. 2020. Carlo Levi, Quaderno a cancelli. Torino: Einaudi.
Giorgi, Rodorico, Chelazzi David, Baglioni Piero. 2007. Il ruolo degli
inchiostri metallo-gallici nei processi degradativi di manoscritti
cartacei
. In Atti del V Congresso Nazionale IGIIC - Lo Stato
dell’Arte 5, Cremona, 4-6 Ottobre: 273-81. Firenze: Nardini
editore.
Greimas, Algirdas Julien. 1968. Dictionnaire de l'ancien français jusqu'au milieu du XIVe siècle. Paris: Larousse.
Italia, Paola. 2013. Editing Novecento. Roma: Salerno editore.
Lannutti, Maria S. and Locanto, Massimiliano ed. 2005. Tracce di una
tradizione sommersa. I primi testi lirici italiani tra poesia e
musica.
In Atti del Seminario di studi, Cremona, 19 e 20 febbraio
2004. Firenze: Edizioni del Galluzzo per la Fondazione
Franceschini.
Lee, Alana S., Otieno-Alego, Vincent and Creagh, Dudley C. 2008.
Identification of iron-gall inks with near-infrared Raman
microspectroscopy.
J. Raman Spectrosc., 39: 1079-1084. https://doi.org/10.1002/jrs.1989
Mairinger, Franz. 2000. The ultraviolet and fluorescence study of
paintings and manuscripts.
Radiation in Art and Archeometry, ed. by D. C. Creagh and D. A.
Bradley. Elsevier: 56-75, doi:10.1016/B978-044450487-6/50050-X.
Mancini, Mario. 1989. Il lai di Narciso. Parma: Pratiche Editrice, 1989 (rist. Roma, Carocci, 2009).
Mann, Nicholas (nnr. 37-42 a cura di). 1991. Codici latini del Petrarca nelle biblioteche fiorentine: mostra 19 maggio - 30 giugno 1991; catalogo, a cura di Michele Feo, 76-84. Firenze: Le Lettere.
Mann, Nicholas. 1977. The Making of Petrarch's «Bucolicum carmen»: A
Contribution to the History of the Text.
Italia medioevale e umanistica, a. XX: 127-82.
Mann, Nicholas. 1984. A Concordance to Petrarch's «Bucolicum Carmen».
Quaderni petrarcheschi, a. II: 1-296.
Mann, Nicholas. 1989. L'edizione critica del «Bucolicum carmen».
Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, s. III, a. XIX, 1;
231-238 [Seminario su Guido Martellotti].
Mann, Nicholas. 1996. Il «Bucolicum carmen» e la sua eredità.
In
Il Petrarca latino e le origini dell'Umanesimo. In Atti del
Convegno internazionale (Firenze, 19-22 maggio 1991), «Quaderni
petrarcheschi», IX-X, 1992-1993: 513-535. Firenze: Le Lettere.
Mann, Nicholas. 2004. Bucolicum Carmen.
In Petrarca nel
tempo:
tradizione, lettori e immagini delle opere, a cura di Michele Feo,
Catalogo della Mostra (Arezzo, sottochiesa di San Francesco, 22 novembre
2003-27 gennaio 2004): 278-90. Pontedera: Bandecchi & Vivaldi
Martellotti, G. (a cura di). 1951. Petrarca. F. Rime, trionfi e poesie latine: 808-16. Milano-Napoli: Ricciardi
Massari, Giuseppe. 1979. Carlo Levi: le righe della memoria, in «Tuttolibri attualità», V, n. 22.
Mazzotta, Clemente (a cura di). 1977. Giuseppe Raimondi fra poeti e pittori: mostra di carteggi. Bologna: Alfa.
Mastruzzo, Nino and Cella, Roberta. 2022. La più antica lirica italiana. «Quando eu stava in le tu cathene (Ravenna 1226)Q». Bologna: Il Mulino.
Neri F., Martellotti G., Bianchi E., Sapegno N (a cura di). 1951. Petrarca Francesco, Rime, trionfi e poesie latine. Milano-Napoli: Ricciardi.
Netz R. and Noel W. 2007. The Archimedes Codex, Cambridge, MA: Da Capo Press.
Parussa, Sergio. Il finale de «Il giardino dei Finzi-Contini». Note sul
dattiloscritto del «Giardino».
2018. In Laboratorio Bassani.
L'officina delle opere. Ravenna: Pozzi.
Pelagotti, A., Del Mastio, A., De Rosa, A. and Piva, A., 2008. Multispectral imaging of paintings. IEEE Signal Processing Magazine, 25(4): 27–36.
Poldi G. and Villa G. C. F. 2006. Dalla conservazione alla storia dell'arte: riflettografia e analisi non invasive per lo studio dei dipinti, Edizioni della Normale: 24-29
Policastro, Gilda (a cura di). 2020. Carlo Levi, Diario 1935. In «Autografo», n. 65, in c.d.s.
Politi, Angela M. 1988. Giuseppe Raimondi, carte, libri, dialoghi intellettuali. Bologna: Pàtron.
Rodorico Giorgi, David Chelazzi and Piero Baglioni. 2007. Il ruolo degli inchiostri metallo-gallici nei processi degradativi di manoscritti cartacei, Atti del V Congresso Nazionale IGIIC - Lo Stato dell’Arte 5 - Cremona, 4-6 Ottobre, Nardini editore.
Rossi, Francesca and Wenzlawski, Alina. 2020. Nello scrittoio di Giuseppe
Raimondi: carte e libri di un letterato bolognese su Paul Valéry.
In
Privilegio della parola scritta: gestione, conservazione e
valorizzazione di carte e libri di persona, 177-194. Roma:
Associazione italiana biblioteche.
Rossi, Luca Carlo. 2012 Dittico per Benvenuto da Imola tra Petrarca e
Salutati.
In Bognini, Filippo (a cura di) Meminisse iuvat. Studi
in memoria di Violetta de Angelis, 611-627. Pisa: Edizioni ETS.
Rossi, Valerio Stefano. 1991. Benvenuto lettore del ‘Bucolicum Carmen’ di
Petrarca
, in Benvenuto da Imola lettore degli antichi e dei
moderni. In Palmieri, Pantaleo and Paolazzi, Carlo (a cura di),
Atti del convegno internazionale (Imola, 26 e 27 maggio 1989):
260-288. Ravenna: Longo Editore. Permalink: http://opac.regesta-imperii.de/id/1111315
Sacerdoti, Guido. 2011. «Quasi felice». Note su una pagina inedita di
Quaderno a cancelli.
In Intertestualità leviane, a cura di
S. Ghiazza, 381-392. Bari: Quaderni di Ateneo 2011.
Santagata, Marco (a cura di). 2004. Francesco Petrarca, Canzoniere, edizione commentata. Milano: Mondadori.
Schuler, Irmgard, Fontana Carola, Falcioni Eugenio. 2017. Oltre il
visibile: tecniche fotografiche multispettrali per il recupero di
materiale manoscritto
. In Miscellanea Bibliothecae apostolicae
Vaticanae, 23. Studi e testi 516: 569-609. Città del Vaticano:
Biblioteca apostolica vaticana. Permalink:
http://digital.casalini.it/10.1400/255405 - Permalink: https://doi.org/10.1400/255405
Stussi, Alfredo. La canzone «Quando eu stava». 1999. In Antologia della poesia italiana. I (Duecento): 607-620. Torino: Einaudi.
Thiry-Stassin, Martine. 1978. Une autre source ovidienne du Narcisse?
«Le Moyen Age», a. LXXXIV: 211-226
Vitelli, Franco (a cura di). 2004. Franco Scotellaro, Tutte le poesie. 1940-1953. Milano: Mondadori.
Will, Emily J. 2010. Progress in Digital Microscopy – A Technical Review of the Miscope Digital Microscope, «Journal of Forensic Document Examination», 20.
Wright, Kristi and Herro, Holly. 2016. Tracking Color Shift in Ballpoint
Pen Ink Using Photoshop Assisted Spectroscopy: A Nondestructive Technique
Developed to Rehouse a Nobel Laureate's Manuscript.
The American
Archivist 1 June 2016; 79 (1): 82–102. doi: https://doi.org/10.17723/0360-9081.79.1.82
Nell'ambito di una condivisione del progetto e dei contenuti dell'articolo, le responsabilità sono così suddivise: Introduzione e Par. 1: Sara Obbiso; Par. 2 Sara Fazion e Giacomo Ventura (nel dettaglio, autore della descrizione materiale dell'autografo petrarchesco è Giacomo Ventura; l'illustrazione dell'analisi delle carte dell'esemplare con le tecniche di imaging è invece opera di Sara Fazion); Par. 3 Sara Obbiso e Carolina Rossi; Par. 4 Riccardo Gasperina.
Numerose sono le case multinazionali leader sul mercato per la produzione di questi strumenti: tra le più importanti ricordiamo Foster&Freeman (http://www.fosterfreeman.com/), Projectina (https://www.ultra-forensictechnology.com/ch/projectina) e Zarbeco (https://zarbeco.com/pages/landing). Proprio quest’ultima è l’azienda produttrice dei due strumenti utilizzati in questa campagna di acquisizioni, distribuiti in Italia da Forinst s.a.s. - Forensic Instruments (http://www.forinst.it/)
Per altri approfondimenti sulle tecniche della fluorescenza ultravioletta e della riflettografia infrarossa cfr. ; ).
https://www.fondazionegiorgiobassani.it/laboratorio-bassani-2/
Le informazioni sono tratte dalle schede redatte dalla Prof.ssa Maddalena Modesti, che usciranno nel catalogo della mostra La biblioteca di Dante, Accademia dei Lincei (in corso di stampa).
Per i commenti al Bucolicum carmen dei magistri bolognesi Benvenuto da Imola e Pietro da Moglio cfr. soprattutto : 209-221; : 260-288; : 39-57; : 611-627.
Sul commento al Bucolicum carmen di Francesco da Fiano (ms. Marc. lat. XII 18 = 3945), provvisto di variae lectiones rispetto al ms. Vat. lat. 3358, si veda, in attesa dell’edizione auspicata da Sara Fazion: : 20, 25, 76, 90-91, 94, 274; : 209-221); Per il commento di Francesco Piendibeni da Montepulciano (ms. Vaticano Pal. lat. 1729) si attende l’edizione di Emanuele Romanini.
Il testo del Bucolicum carmen è per il momento fruibile nell’edizione di Avena ( ) e, con traduzione italiana integrale, in Canali ( ). Sempre utile è l’antologia in Martellotti ( : 808-16). Per le note esegetiche relative alle egloghe I-V, VIII, XI vd. anche ; per l’intero commento imprescindibile è .
Basti ricordare alcuni dei contributi di Enrico Fenzi, volti a esaminare la struttura compositiva del Bucolicum carmen come libro: : 341-373; : 13-53; : 11-42; : 8-24; : 175-216; : 165-198; : 11-28)
Per una dettagliata descrizione del manoscritto vd. De Venuto ( , 45-69) che corregge in più punti quella di Avena ( , 11-21). La riproduzione del codice è disponibile al sito https://opac.vatlib.it/mss/detail/Vat.lat.3358.
Data la pregevolezza e la rarità del ms. Vat. lat. 3358, l’analisi di imaging è stata condotta negli studi della Biblioteca Apostolica Vaticana. A tal riguardo, ringraziamo le dott.sse Irma Schuler e Angela Nuñez per aver condiviso con noi i metodi di indagine seguiti e i relativi risultati.
Le osservazioni che seguono sono un brevissimo compendio dell’approfondita analisi di : 51-63.
Per l’impiego del termine in ancien français cfr. : 157 e la voce realizzata dal Centre National de Ressources Textuelles et Lexicales al sito internet https://www.cnrtl.fr/definition/damnes. Per il provenzale vd. Dictionnaire de l'Occitan Médiéval online: http://www.domligne.de/dom.php?lhid=5wbcCTZhTNfvgVM0joPe1N
Si ricordi ad esempio la variante a Rvf 52, 6 segnalata in : 270.
Cfr. : 104 che rinvia a : 211-226 e : 120-135, vv. 2737-3448 (oltre a https://www.arlima.net/mp/ovide_moralise.htm).
Si desidera qui ringraziare la Dott.ssa Francesca Rossi e il Dott. Pasquale
Novellino della Biblioteca Ezio Raimondi
e il Dott. Marco Serra del
laboratorio Analogico Digitale - ADLab del Dipartimento di Filologia Classica e
Italianistica https://site.unibo.it/adlab/it .
Il «quaderno di prigione» è un piccolo quaderno verde, dal titolo Diario 1935. Lo si riteneva perduto e poche pagine trascritte da Levi nel 1968 erano state pubblicate. È merito di Gilda Policastro averlo riscoperto e pubblicato. La sua importanza è legata al fatto che anticipa di alcuni anni il nucleo teorico di Paura della libertà.
L’esperienza di scrittura in cecità non è nuova nella letteratura italiana. Già Gabriele d’Annunzio, dopo aver subito un distacco di retina a causa di un incidente aereo, dà vita al Notturno (1921), costituito da un collage di alcune migliaia di cartigli scritti con l’ausilio di un congegno di listarelle di legno. A D’Annunzio si ricollega lo stesso Levi quando definisce il Quaderno il suo «Notturno» ( : 18).