DOI: http://doi.org/10.6092/issn.2532-8816/8209

Abstract

In questo testo si presenta una guida alle strategie di conservazione nel lungo periodo di opere d’arte digitale. Oltre a una breve presentazione di ogni strategia che viene menzionata dalla letteratura sull’argomento, il lettore troverà un primo approccio alle principali problematiche e riferimenti bibliografici alle trattazioni tecniche. Gli studi consultati parlano di una serie di strategie tra le quali gli addetti dei musei e i professionisti della conservazione devono scegliere caso per caso a seconda della natura dell’opera. I lavori di arte digitale, infatti, presentano caratteristiche (le componenti fisiche, l’architettura dei programmi informatici e gli aspetti comunicativi e interattivi) estremamente multiformi e variabili durante il loro ciclo di vita. Gli esempi di opere raccolti dalla bibliografia rappresentano questo fluido scenario. Il computer permette la creazione di nuovi linguaggi artistici, di nuove forme e di nuove estetiche, come la realtà virtuale o aumentata, che mettono in crisi pratiche e principi conservativi legati alla preservazione di oggetti. Concettuale, effimera e processuale, l’arte digitale presenta similitudini con le problematiche conservative dell’arte contemporanea. Si aggiungono problemi legati all’uso delle reti di computer, alla miniaturizzazione delle componenti fisiche (hardware) e all’estrema volatilità delle istruzioni (software) in linguaggio informatico. Queste sono impartite dal programmatore/artista, nelle quali vi lascia spesso il suo segno. Poiché il sistema operativo, i computer e i supporti di memoria hanno un ciclo di vita breve e vengono rimpiazzati rapidamente dalla ricerca e dal mercato, senza interventi conservativi le opere digitali rimangono indietro e sono condannate all’illeggibilità in pochi anni. La grande maggioranza della letteratura sull’argomento privilegia la conservazione delle componenti immateriali e concettuali del prodotto artistico rispetto a quelle fisiche e tecnologiche. Queste ultime sono soggette a obsolescenza e possono (devono) essere sostituite o riadattate al contesto nel lungo periodo.

This text presents a guide to long-term conservation strategies for digital artwork. In addition to a brief presentation of each strategy mentioned in the literature on the subject, the reader will find a first approach to the main problems and bibliographical references to technical discussions. The consulted studies speak of a series of strategies among which museum employees and conservation professionals must choose on a case-by-case basis depending on the nature of the work. In fact, digital art works have characteristics (the physical components, the architecture of computer programs and the communicative and interactive aspects) that are extremely multiform and variable during their life cycle. The examples of works collected from the bibliography represent this fluid scenario. The computer allows the creation of new artistic languages, new forms and new aesthetics (such as virtual or augmented reality) which undermine conservative practices and principles linked to the preservation of material objects. Digital art is a type of conceptual, ephemeral and procedural art and it presents similarities with the conservative issues of contemporary art. Added to this are problems related to the use of computer networks, the miniaturization of physical components (hardware) and the extreme volatility of instructions (software) in computer language. The latter are given by the programmer/artist who often leaves his "mark" within them. Because operating system, computers and storage media have a short life cycle and are rapidly replaced by research and market innovations, digital works remain behind and, without any conservation measure, are condemned to illegibility in a few years. The great majority of literature on the subject privileges the conservation of the intangible and conceptual components of the artistic product compared to the physical and technological ones. The latter quickly become obsolete and may (must) be replaced or adapted to the context over the long term.

Introduzione

L’artista ha la capacità di conservare l’immagine di ciò che non c’è più (o viceversa: tracciare l’immagine di quel che ora non c’è, ma domani potrebbe esserci).

Mille vincoli legano l’arte alla memoria. La fragilità dei supporti di memoria delle informazioni digitali, attraverso le quali sono veicolate sempre più opere d’arte cosiddette born digital, è una condizione che ben rappresenta la fragilità della nostra memoria nell’epoca che stiamo vivendo.

Per Lev Manovich il computer è uno strumento che simula altri strumenti e ne permette la creazione di nuovi. Si può usare il computer per creare e manipolare contenuti, molto più velocemente rispetto a qualche decennio fa, attraverso tecniche nate e sviluppatesi nel Novecento o prima, come la fotografia. Si può anche usare il computer per creare nuove tecniche, nuovi linguaggi, nuove forme e nuove estetiche, come ad esempio l’arte digitale interattiva, l’arte che prevede l’utilizzo del GPS o della realtà aumentata. Nuovi linguaggi significa nuove sfide per i conservatori di queste opere d’arte digitale. Questo è il punto di partenza di questo testo; di fronte alla varietà di forme con cui si presenta in questo scenario l’oggetto d’arte, la letteratura su questo argomento ha individuato una serie di strategie da scegliere caso per caso al fine di preservarlo nel lungo o nel lunghissimo periodo.

Si presenta qui una panoramica di queste strategie, ognuna delle quali è accompagnata da un caso di studio. Dal paragrafo 2.1 al 2.10 vengono introdotte le strategie, dal 3.1 al 3.10 si trovano i casi di studio. Per questi si è mantenuto l’ordine di presentazione delle strategie nella sezione 2. Gli esempi di conservazione proposti non sono originali, ma selezionati e descritti sulla base di progetti conservativi in bibliografia. Un caso di studio originale, compilativo, è quello che riguarda la conservzione di arte digitale alla Tate di Londra. Si troverà diviso in due parti: il caso di studio 3.1 ha come oggetto la conservazione dell’hardware, il caso di studio 3.8 la conservazione del software. Il caso di studio 4 è originale e il 10 lo è in parte.

Questo testo è una panoramica, una guida o presentazione di tutte le strategie trattate in letteratura, temi fondamentali come le proprietà significative, i metadati, la documentazione, il ruolo dell’artista o il concetto di opera originale non hanno trovato spazio adeguato e per essi sono presenti in nota riferimenti bibliografici.

Un tentativo di definire la natura dell’arte digitale trova forma nelle seguenti affermazioni:

La base della conservazione digitale è identificare e preservare le proprietà significative dell’opera d’arte. Attraverso esse si decide che cosa preservare e si sceglie la strategia o la combinazione di strategie più adatta.

Panoramica delle strategie di conservazione

Conservazione dei computer e dei dispositivi hardware originali funzionanti

Sebbene a prima vista per fruire nel futuro di un’opera d’arte digitale basterebbe conservare il dispositivo con cui oggi si riesce a renderla operativa, non è possibile contare sul funzionamento dei computer nel lungo periodo. La velocità con cui il mercato e la ricerca producono nuove tecnologie, componenti e dispositivi rende difficoltoso o impossibile sostituire pezzi che inevitabilmemte inizieranno a malfunzionare. L’uso, la manutenzione e la manipolazione dell’hardware compromettono l’usabilità delle interfacce e l’integrità dell’informazione digitale. Avviene che i programmi informatici iniziano a malfunzionare senza causa apparente. All’interno del dispositivo la corrente elettrica non può passare secondo i circuiti predisposti, se questi hanno alterato il loro stato fisico. La degradazione dei supporti di memoria conduce file, programmi e interfacce grafiche a scomparire dall’hardware rivelando la natura effimera e virtuale del software.

La conservazione dei computer e dei dispositivi originali funzionanti prevede: la sistemazione in ambienti controllati; la limitazione dell’uso; l’acquisto di copie quando ancora disponibili sul mercato. Cioè si predispone il prolungamento indefinito della loro vita. Parallelamente i musei comprano computer simili agli originali da utilizzare per l’esposizione al pubblico e su di essi viene trasferito l’apparato software.

Caso di studio: Diab DS-101 Computer - Richard Hamilton – 1985/89 e la conservazione dell’hardware funzionante presso la Tate di Londra. Vedi

Retro-engineering, retro-computing e media archeology

La risposta al problema di computer non funzionanti o a rischio è data da soluzioni tecniche interne al dispositivo per farli ritornare a uno stato efficiente, anche in presenza di componenti scomparse dal mercato. La documentazione tecnica può aiutare a ricostruirli da zero o a renderli nuovamente operativi.

La strategia del retro-engineering ha lo scopo di identificare e rimodellare l’architettura di un sistema. È un progetto di ricostruzione con mezzi diversi. Si identificano le sue parti costitutive e le correlazioni tra di esse. Il sistema può essere rappresentato secondo un’altra forma o secondo un diverso livello di astrazione. Le parti interne possono cambiare forma e tecnologia o essere sostitute con componenti moderne. L’oggetto funzionante uscito dal processo di reingegnerazione è la base per la conservazione dell’hardware nel tempo.

Il retro-computing è la ricostruzione di un dispositivo secondo il procedimento tipico della sperimentazione non professionale e del bricolage, più che quello di una cultura scientifica e ingegneristica. I pezzi hardware, spesso recuperati dai circuiti amatoriali e di seconda mano, vengono assemblati in modo creativo, con frammenti di macchine e di case di computer diverse. Gli utenti sono mossi da un intento pratico, non per consegnare un oggetto funzionante alle future generazioni. Però essi condividono il processo di ricostruzione con altri che a loro volta potranno utilizzarlo o remixarlo ulteriormente. Ciò potrebbe minare l’originalità di un oggetto digitale, nonostante ciò ne assicura la fruizione per il futuro (vedi paragrafo 2.10).

La media archeology è una disciplina che ha come oggetto l’hardware storico, le sue fonti e la cultura a esso collegata. Prende in considerazione anche media funzionanti o potenzialmente funzionanti e li considera per gli usi, gli aspetti sociali e le storie che oggi possono determinare a creare.

Secondo questo approccio materiale alla conservazione un’opera deve essere fruita dai dispositivi di lettura originali. Va considerata perduta se non vi è alcun modo di ricomporre la sua componente fisica. La documentazione e la conoscenza delle forze culturali che hanno portato alla creazione e allo spegnimento diventano strumento di riflessione e oggetto di osservazione estetico.

La cultura industriale che ha fabbricato i computer, le agenzie che hanno messo in piedi le reti, le aziende che hanno prodotto i supporti di memoria, i dispositivi di lettura e di creazione, hanno modellato il nostro orizzonte materiale tecnologico. Le opere d’arte fanno parte di questo contesto culturale e ideologico. Molti artisti hanno reso evidente al pubblico e criticato attraverso le loro opere questo contesto dietro a interfacce user friendly. Anche quando questi aspetti non sono presenti le scelte degli artisti sono prima di tutto un documento storico. Da un punto di vista storico-artistico va rispettato il progetto dall’autore per i suoi contemporanei. L’approccio alla conservazione secondo cui l’hardware può essere sostituito (vedi paragrafo 2.3) rischia di far mancare relativizzazione e coscienza della distanza storica e culturale. L’esperienza dell’opera è nella sua materialità: il medium è il messaggio, secondo Marshall McLuhan.

Caso di studio: Reabracadabra - Eduardo Kac – 1985. Vedi

Ricreazione e ricostruzione

Di fronte a un’opera a rischio di scomparsa, o già perduta, i conservatori possono ricostruirla attraverso la preservazione di elementi come il significato, il concetto o il contenuto performativo che vengono esperiti attraverso il manufatto, piuttosto che il manufatto stesso. Secondo questo approccio variabile e immateriale il significato profondo, il messaggio dell’opera e l’esperienza dell’utente prescindono dalle strumentazioni hardware e software di un periodo storico. Ricostruire i ciruiti elettronici di un computer (vedi paragrafo 2.2) non basta a salvare un’opera.

L’interazione con l’utente, componente emozionale che spesso fa di un’opera un’opera d’arte, è progettata con cura dall’artista, ne costituisce la parte fondamentale e più interessante. Conservare l’opera vuol dire ricreare questa emozione (frutto dell’interazione) nell’utente che nel presente si approccia all’oggetto artistico digitale, più che stimolare nello spettatore una curiosità prettamente storica. La strategia conservativa che guida questo tipo di ricostruzione sancisce la variabilità e la sostuibilità dell’apparato hardware e di quello software e si basa sulle fonti: foto e video, indicazioni scritte od orali dell’artista, commenti critici in cataloghi e in stampa specializzata, documentazione della fase progettuale, realizzativa, espositiva o dell’acquisizione in una collezione, interviste, registrazioni audio e altro.

Diversamente da un dipinto o da una scultura, impossibili da ricreare una volta perduti, l’arte digitale si può ricostruire sulla base della documentazione. Le sue componenti virtuali, logiche e astratte ne permettono una sorta di rinascita. Si è parlato di natura allografica dell’arte digitale e di un campo di problemi comuni alla musica o alle arti performative (teatro, danza e performance). Il software d’arte vive nel tempo come una matrice che produce istanze di essa. Su essa si concentrano gli sforzi dei conservatori e di coloro che intendono ricreare l’opera producendo una nuova istanza. Del codice è importante conservare il suo essere generatore di un comportamento a livello della percezione e dell’interazione con l’utente. L’emulazione (paragrafo 2.9) invece ricrea l’aspetto e l’interazione con opere delle quali si conserva il software originale.

Caso di studio: DISP - Peter Struycken – 1976 . Vedi

Storage

Ogni contenuto (software) oggetto di conservazione deve essere acquisito dal suo supporto e trasferito in un sistema informatico, detto storage, curato da personale responsabile della sicurezza dei dati digitali.

Il momento dell’acquisizione prevede: documentare il processo di cattura; creare una immagine, ovvero un file che contiene la descrizione della struttura del disco sulla quale l’opera viene consegnata e la descrizione dei file dell’opera stessa; confrontare il contenuto acquisito (a livello di bit) con quello originale.

Riportiamo i requisiti necessari per un ambiente di conservazione a lungo termine. 1) Più copie in diversi luoghi: l’infrastruttura informatica necessaria allo storage varia principalmente a seconda della quantità dei dati da conservare, dal budget e dal personale disponibile. Per piccole istituzioni la soluzione più agevole è acquistare uno o due hard disk esterni, oppure può essere una opzione conservare le opere in rete (cloud services). Sistemi di storage RAID (Redundant Array of Independent/Inexpansive disk), ottimali per realtà di medio livello, sono composti da due, quattro o sei hard disk esterni e software di gestione finalizzato alla sicurezza dei dati controllabile dal desktop. Grandi centri di ricerca e di conservazione dispongono di stanze per lo storage su LTO tapes (nastri magnetici conecepiti per la registrazione di grandi quantità di dati) e di server dislocati in sedi e località diverse, per scongiurare la perdita delle informazioni in eventi catastrofici. I digital repositories sono programmi informatici usati da biblioteche e archivi che implementano operazioni per la conservazione e il reperimento di file. 2) La capacità di mantenere nel tempo l’integrità delle copie: il contenuto in bit dei file acquisiti deve rimanere identico nel tempo. Ci sono programmi informatici che automatizzano le operazioni di copiatura e di verifica della consistenza del contenuto bit per bit.

Lo storage è il grado zero della conservazione del software, su questo archivio si innestano tutte le strategie che permetteranno all’opera di essere reinstallata, fatta funzionare ed esposta nel futuro, anche su hardware diverso da quello originale.

Caso di studio: Un esempio di archiviazione digitale di circa 8000 opere video – Careof – 2014/presente. Vedi

Migrazione e rimpiazzamento

Allo stesso modo in cui oggi un testo antico necessita di numerosi strumenti interpretativi per la decifrazione, la migrazione prevede che i file in pericolo per quanto riguarda la comprensione del contenuto devono essere modificati o convertiti in nuovi formati per essere leggibili attraverso tecnologie moderne. I file immagazzinati in un archivio di storage (paragrafo 2.4) diventano illeggibili al mutare del contesto tecnologico hardware/software. La stabilità dei formati va monitorata e valutata ogni tre/cinque anni eseguendo i file e l’eventuale ambiente software da cui essi dipendono su programmi e dispositivi attuali.

Le operazioni di migrazione iniziano con il backup dei file originali e la compilazione dei metadati, che forniscono informazioni di contesto per la decodificazione del contenuto nel lungo periodo. Nuove copie sono prodotte per lo studio del sistema e per apportarvi le modifiche necessarie all’aggiornamento e all’assestamento dei dati. La versione stabile ottenuta è archiviata insieme alla documentazione delle modifiche. Verrà poi periodicamente monitorata e sulla base di essa il processo si ripete, quando ritenuto necessario. Lo standard OAIS inserisce queste operazioni in un framework standardizzato, con una terminologia condivisa. Le direttive OAIS assicurarano nel tempo che i file conservati in un archivio possano essere estratti (copiati) per essere fruiti.

Il monitoraggio dell’arte digitale avviene anche nel corso di un allestimento o di una esposizione artistica. Seguendo l’approccio variabile alla conservazione (vedi paragrafo 2.3) i curatori possono adottare tecnologie aggiornate, in linea con i musei di importanza internazionale . Se prevedono o riscontrano problemi di fruizione o di compatibilità con l’ambiente hardware o software moderno devono intervenire sui file o sul codice. Si crea un dialogo tra nuovo software e vecchio hardware e tra nuovo hardware e vecchio software: per esempio la versione aggiornata del proiettore può portare alla modifica del codice. È necessario documentare ogni cambiamento dalla versione obsoleta a quella corrente. Alcune domande per un curatore in questo scenario: l'opera funziona ancora correttamente? Può essere esibita utilizzando la tecnologia attuale? Quanto è sostenibile la versione attuale? Secondo quali parametri effettuare la migrazione di una o più componenti? Questi possono essere applicati alla successiva migrazione? Il proprietario, l'artista e gli esperti possono definirli insieme? Qual è lo stato del lavoro ora, in confronto a come sarà fra dieci anni?

Per la valutazione delle tecnologie da aggiornare o da conservare può essere utile l’analisi delle dipendenze tra le varie parti dell’opera (riassumibile in uno schema grafico) oltre all’osservazione diretta. Se possibile è fondamentale comparare il comportamento del software della versione migrata con quello originale.

Le modifiche a un’opera digitale possono essere più o meno radicali. Il rimpiazzamento implica la sostituzione di un componente più che l’aggiornamento della versione dello stesso. Nelle installazioni è prassi usare, ad esempio, un monitor con la tecnologia attuale. Nel processo di variazione necessario nel corso degli anni, il rimpiazzamento è più invasivo della migrazione, riguardante principalmente pezzi hardware.

Caso di studio: 15 seconds of fame – Gruppo di ricerca dell’Università di Lubiana – 2002. Vedi

Reinterpretazione e documentazione

La reinterpretazione è una particolare implementazione della migrazione (paragrafo 2.5), che, come già visto, prevede periodiche modifiche del software originale e la sostituzione degli apparecchi hardware con altri simili o aggiornati; la reinterpretazione invece è un processo di redesign che seguendo il mutare dei tempi e del contesto modifica profondamente il look and feel esteriore e materiale dell’opera d’arte. Nuovi componenti, inimmaginabili al tempo della prima apparizione, possono essere aggiunti; strumentazione creata o approntata dall’artista può essere sottratta, se questa non è più significativa in un determinato contesto e ciò non comporta cambiamenti al messaggio o al significato profondo. Variabilità, flessibilità, adattamento, fluidità, attualizzazione sono le parole chiave che informano le decisioni dei curatori che intendono applicare questo tipo di modifiche radicali e profondamente invasive all’aspetto originario di un’opera d’arte. A ogni nuova installazione si stabilisce un dialogo diverso tra l’opera, il pubblico e il contesto. I curatori, coscienti della storia delle passate esposizioni che si deposita nella documentazione, scelgono di aggiornare il significato dell’opera in relazione al contesto presente. Nel fare ciò procedono a una ragionata e condivisa (critica) valutazione dei cambiamenti a cui può essere sottoposta. Le cambiano pelle per farla vivere per sempre. Solo una dettagliata analisi tecnica (documentazione) porta a giuste modifiche. L’autorizzazione dell’artista o dell’ente responsabile è in certi casi necessaria a questo tipo di interventi.

Caso di studio: Karlsruhe Moviemap - Michael Naimark – 1991. Vedi

Web archiving

Il web archiving è la pratica di conservare siti web per il lungo periodo in appositi computer (server). Il sito e tutte le sue componenti, elementi che si presentano sotto forma di file, sono scaricati dal web e sono convertiti nel formato .wark, standard a livello internazionale. Appositi programmi, crawler della rete simili a quelli utilizzati dai motori di ricerca online, controllano automaticamente e periodicamente i cambiamenti della grafica e del contenuto di questi siti, che evolvono nel tempo nella rete. Per ogni modifica rilevata viene archiviata una nuova versione nell’ambiente conservativo. L’utente, collegato a internet, deve poter navigare tra le diverse versioni di un sito immagazzinato in tale sistema.

Una piattaforma per la conservazione di siti web è la Wayback Machine dell’Internet Archive. Rizhome è un sito dedicato all’archiviazione e alla fruizione online di arte digitale. Anche i siti web personali degli artisti possono essere considerati contenitori di opere d’arte born digital. Per quanto riguarda l’arte visuale conservata e visionabile sul web segnaliamo Processing , un framework che semplifica lo sviluppo di applicazioni creative con grafica 2D, 3D e interazione utente. Un sito di raccolta di opere digitali realizzate con editor 2D e 3D è Deviant Art . Per i videomaker un sito di riferimento è Vimeo . I computer server di questi siti, tra i molti che offrono spazio online per le diverse modalità di creazione artistica, sono una piattaforma di conservazione per il medio termine. L’utente può caricare su questi la propria realizzazione gratuitamente, usando semplici interfacce e senza dover passare alcuna selezione. La conservazione di queste piattaforme, spesso proprietà di ditte private, nel lungo periodo è un problema degno di nota (vedi paragrafo 2.10).

Caso di studio: Spook… - Conor McGurrigle – 1999. Vedi

Virtualizzazione

La migrazione (paragrafo 2.5) e la reinterpretazione (paragrafo 2.6) prevedono la modifica del programma (software) o della forma (hardware) uscite dalle mani dall’artista; un’altra classe di strategie (virtualizzazione ed emulazione, paragrafo 2.9) permette di non dover modificare le istruzioni del software originale presenti nell’archivio di storage (paragrafo 2.4). Ciò grazie a dei programmi informatici (chiamati macchina virtuale ed emulatore) che riescono a leggere file obsoleti dentro computer moderni. Un programma qualunque (chiamamolo Prog. x) scritto per un determinato sistema operativo può essere eseguito solo da quel sistema operativo (o dalla sua generazione) e in alcuni casi solo da una determinata macchina fisica (o dalla rispettiva generazione). Un computer moderno, indipendentemente dal sistema operativo, contenente una macchina virtuale e il Prog. x appoggiato a quest’ultima, permette in ogni caso l’esecuzione di Prog x.

La macchina virtuale è un ambiente software per oggetti digitali che altrimenti necessiterebbero di un computer dedicato, una sorta di archivio a lungo termine per il codice d’arte. Più opere possono risiedere nella stessa macchina virtuale e più macchine virtuali in un computer. A differenza dello storage si tratta di un archivio vivo. Insieme al codice d’arte è presente il suo ambiente software (sotto forma di immagine, il file che contiene la descrizione del sistema operativo e del software con cui il codice viene eseguito) che contribuisce a garantire la lettura dei file dell’opera nel lungo periodo. La macchina virtuale è essa stessa un software che è soggetto a obsolescenza. Può essere sostituita da una che nel futuro sarà considerata stabile o la stessa sottoposta a migrazione. Queste opzioni sono possibili perché il software d’arte si presenta all’interno della maccina virtuale in una forma indipendente dall’hardware. L’opera e il suo contesto possono essere spostati da questo ambiente in un altro che nel futuro sarà implemento con nuove tecnologie. Oppure rimane sempre la possibiltà di cambiarne la forma attraverso la migrazione.

Caso di studio: Brutalism : Stereo Reality Environment 3 – J. C. Martinat Mendoza – 2007 e la conservazione della software art presso la Tate di Londra. Vedi paragrafo

Emulazione

L’emulazione è simile alla virtualizzazione (paragrafo 2.8), permette di leggere vecchi file in computer moderni e di ricreare il comportamento di componenti fisiche e di periferiche di computer obsoleti. Per leggere su una macchina di oggi un programma scritto venti anni fa, questo ha bisogno di un emulatore che emuli le caratteristiche hardware della classe di computer per il quale è stato scritto. Il software emulatore ha la capacità di far funzionare il computer moderno in cui è ospitato alla stessa velocità o con gli stessi tempi di reazione di un computer obsoleto e permette di farlo interagire con periferiche oggi in disuso. Comunica, tramite il sistema operativo del computer moderno, con gli apparati hardware di quest’ultimo e li costringe a funzionare secondo le caratterische fisiche del computer obsoleto che viene emulato. Se un computer di oggi possiede 8 GB di memoria RAM, l’emulatore che emula un computer di vent’anni farà in modo che esso ne usi, per esempio, 32 MB, limitandone le prestazioni. Un vecchio monitor CRT (Cathode Ray Tube) può trasmettere l’output senza fastidiose bande nere. Casse audio e stampanti obsolete non hanno bisogno di installare software che risulterebbe incomprensibile al sistema moderno. Con l’emulazione si può far rivivere l’esperienza con i programmi e i contenuti del passato.

L’emulazione è anche economicamente vantaggiosa. Un emulatore può contenere più opere dipendenti dallo stesso ambiente hardware/software. Con il framework BwFLA l’emulazione diventa un servizio per le istituzioni. Queste depositano la copia di una risorsa obsoleta senza doverla aggiornare con la migrazione. L’emulatore sui server del bwFLA fa fruire questa risorsa dal computer degli utenti di una rete (anche sul web). Anche le opere d’arte digitale possono servirsi di questo sistema. Per quelle che vivono nella rete è un’alternativa al web archiving (paragrafo 2.7) che presuppone la modifica del software originale nel formato stabile .wark. Con EmiL , un’applicazione di questo framework, il software emulatore e il software d’arte sono portabili nello stesso USB carrier, nel caso si voglia allestire una postazione computer con hardware e/o software del passato.

L’emulazione è attualmente praticata in numerosi progetti conservativi ed espositivi. Differentemente dall’arte tradizionale, con l’esposizione al pubblico si verifica la tenuta del processo di preservazione digitale.

Un progetto di emulazione inizia verificando se esista un emulatore per il computer di cui si vuole ricreare l’esperienza. Se l’emulatore di una classe di computer non è stato ancora creato, svilupparne uno richiede tempo, ma non un impegno economico. Ciò è dimostrato dal grande numero di amatori esperti di informatica, fan delle culture di videogiochi retrò, che creano sul proprio computer l’emulatore per far funzionare il videogioco preferito del quale gli apparecchi hardware non sono più in commercio (vedi paragrafo 2.10).

Caso di studio: Flusser Hypertext – Gruppo di ricerca dell’ITAS -1992. Vedi paragrafo

Conservazione distribuita

Come antidoto alla deriva culturale dovuta all’oceano di artefatti destinato all’oblio, dietro punte di diamante e costosi progetti di conservazione, J.Ippolito introduce la memoria distribuita. È la pratica di studenti, appassionati e non professionisti esperti di informatica che riescono a far funzionare un programma o un videogioco obsoleto, creano emulatori, piccoli robot collegati a internet con Arduino , scambiano informazioni tecniche e la soluzione a un problema su forum e social network, diffondono per la rete a ritmi prima impossibili creazioni (artistiche) e il metodo per realizzarle, fatte di hardware e di software, senza distinzione tra copie e originali, modificano o raccolgono parti di quelle di altri, sviluppano strumenti che altri utilizzeranno. A vantaggio di un virtuoso remix. La conservazione avviene naturalmente, grazie all’uso, il riuso e al fatto che un’opera disseminata ha più probabilità di sopravvivere nel lungo periodo. Un animale preistorico è meglio preservato nei racconti dei popoli dell’Amazzonia che in un museo dove ci sono frammenti ossei. Asettici laboratori ad alta tecnologia fanno sopravvivere le opere originali e nonostante ciò queste hanno un futuro incerto. Il vero archivio e museo si crea con gli utenti che usano e creano.

Compito delle istituzioni di conservazione è trovare le forme per convivere, interagire e rendere partecipi questa massa di creatori. Punti di incontro tra questi e i musei sono il crowdsourcing (raccolta online, tramite una open call, di contenuti digitali o di soluzioni a un problema tecnico-informatico) e la co-curation di esibizioni artistiche. La nuova generazione non professionale esperta di informatica, a volte desiderosa di contribuire al patrimonio culturale, può interagire con le istituzioni museali anche attraverso: aggiunta di pezzi a una collezione; correzione e trascrizione di documenti; contestualizzazione (aggiungere metadati); classificazione (agganciare tag a una risorsa); crowdfunding.

Caso di studio: Click! A Crowd-Curated Exhibition – Brooklyn Museum – 2008. Vedi paragrafo

Casi di studio

Diab DS-101 Computer - Richard Hamilton – 1985/89 e la conservazione dell’hardware funzionante presso la Tate di Londra

Diab DS-101 Computer. http://www.tate.org.uk/art/artworks/hamilton-diab-ds-101-computer-t07124.

Diab DS-101 Computer. http://www.tate.org.uk/art/artworks/hamilton-diab-ds-101-computer-t07124

L’opera in oggetto è un computer dal design firmato dal famoso artista inglese Richard Hamilton (1922 - 2011), il quale ne ha disegnato l’esterno dividendolo in quattro parti, assecondando le funzioni del sistema operativo UNIX che gira all’interno. Sei esemplari ne sono stati fabbricati dalla ditta Diab. La Tate di Londra ha acquisito l’opera nel 1996. I conservatori si sono trovati di fronte un oggetto materiale, il computer, concepito come oggetto di design o scultoreo (dimensioni 70 x 50 x 50 cm all’avanguardia per l’epoca), dovendo garantire che possa funzionare nel lungo periodo. In questo caso di studio osserviamo il grado zero della conservazione digitale, lo storage dell’hardware mantenuto in condizioni ottimali nel tempo. Valuteremo l’approccio a questa strategia di una istituzione come la Tate e descriveremo il workflow di acquisizione di opere d’arte digitale nella Time Based Media Collection della Tate.

Risulta difficile, afferma Pip Laurenson, direttrice della Collection Care Research alla Tate, ex capo della Time-based Media Conservation, ottenere fondi per la ricerca sulla conservazione di apparecchi obsoleti. La soluzione della Tate e di istituzioni di ogni livello è il back up dei contenuti digitali (software) verso nuovi supporti. Sarebbe interessante delineare lo stato dell’arte sulla conservazione fisica dell’hardware. Ciò richederebbe un testo a sè. Di seguito riportiamo pratiche in uso nel museo londinese e alcune osservazioni.

Introduciamo il problema con un esempio dal mondo analogico delle diapositive da 35 mm. Nel 2010 la Kodak ha interrotto la produzione di questo dipo di supporti. Alcuni artisti hanno fatto uso di tale formato perché diffuso al momento della creazione e sono essi stessi ad auspicare una migrazione del contenuto. In altri casi il significato dell’opera è proprio in questa tecnologia, con i suoi effetti di trasparenza e di dissolvimento tra una diapositiva e l’altra. Nuovi supporti sconvolgerebbero il progetto artistico. L’esibizione è sempre corrosiva per i vecchi negativi e i conservatori della Tate hanno investito risorse nella ricerca di metodi di duplicazione che conservino la qualità e gli effetti ritenuti significativi. Nel caso dell’arte digitale, vedremo nel caso di studio 3.8 che la Tate focalizza i contributi di ricerca sulla conservazione del software, a riscontro di una musualizzazione più inerte dell’hardware. Enge e Lurk hanno affrontato questa problematica: the practical preservation of computer-based products has thus far mainly focused on two areas, namely the preservation of the object itself and the preservation of its function. […] Preventive conservational measures slow the natural degradation of the material substance. Objects must be stored in a constant climate and protected against electromagnetic radiation, dust, sunlight, and mechanical wear, as well as against negligent handling. Per iniziativa della Tate e di altri importanti musei sono state pubblicate online guidelines per la conservazione di arte digitale a beneficio di professionisti e di istituzioni conservative di ogni livello. In accordo a queste guidelines riportiamo informazioni pratiche sullo storage di dispositivi elettronici: “a maximum temperature of 19-25°C, a maximum relative humidity of 40-50%, UV protection, and the use of acid-free protection films. In addition, data carriers should never be stored horizontally on top of each other or on uneven surfaces (due to danger of distortion and scratches), and direct handling of the reflective surface of optical data carriers should be avoided. Finally, objects should be cleaned using a soft cloth and a mixture of water and isopropyl alcohol (70%)”.

Osserviamo in dettaglio il momento dell’acquisizione di opere d’arte digitali presso la Collection of time-based media art della Tate per capire il momento in cui il software si separa dal suo hardware. Prima dell’acquisizione viene tenuta una riunione con tutte le parti interessate (artista, curatori, conservatori, staff tecnico ) che produce un report con le caratteristiche tecniche dell’opera e viene discussa la strategia da seguire per la conservazione. Approvata l’acquisizione e ricevuta l’opera, viene eseguita un’analisi accurata delle componenti ricevute hardware e software. Si procede con la creazione di una copia del software e con l’installazione di questa copia su un hardware il più possibile simile a quello originale. Questo sarà utilizzato durante le esposizioni al pubblico. A questo punto l’exhibition copy assume un ruolo centrale e il software evolve secondo una vita autonoma: “Exhibition plays an important role in the conservation of time-based media. The first installation of a new work in a museum exhibition may be the first time the artist experiences the work as fully installed. In fact, the exhibition of the work is the only moment it really exists as a whole: the synergy between sound, image, and environment that characterizes a work in its installed form disappears when the work is dismantled and stored. Although the inaugural exhibition may be an important point of reference for later exhibitions and for conservation decisions, a work may also evolve either to a fixed form or to an identity that is more fluid”. Sull’altro versante, l’hardware viene conservato in appositi locali e messo in funzione in rare occasioni per allontanare la minaccia del naturale e inevitabile deterioramento (wear and tear). I conservatori della Tate affermano che questo processo di lavoro è legato all’hardware, in originale o in copia, e risulta poco efficace in vista della conservazione nel lungo periodo delle informazioni digitali. Particolare attenzione viene allora rivolta a recidere la dipendenza del software da una macchina particolare o da una classe di computer. Nel caso di studio 3.8 continueremo a seguire le pratiche della Tate per la conservazione di arte digitale, focalizzando sui metodi di salvataggio del software per il lungo periodo, indipendentemente dall’hardware consegnato dall’artista.

Riportiamo il workflow di acquisizione alla Tate Gallery di opere d’arte digitale. Si presenta diviso in due punti distinti tra hardware e software: 1: Documenting the system and the artist’s intent: 1.1: Creating and keeping system reports on the hardware and operating system, along with their specifications and any particular settings. 1.2: A narrative account of what the software does, and how it does it. 1.3: A stored copy of the source code, when the program is bespoke.1.4: Communication with the artist and programmer about the artist’s intent, significant properties, technological choices, preservation risks and the artist’s preferences in terms of preservation. This process usually starts with an interview but then develops over time as needed. 2: Preserving the hardware: 2.1: Storing original hardware in appropriate environmental conditions. 2.2: Maintaining the equipment as required. 2.3: Backing up hard-drives. 2.4: Creating an exhibition copy.

L’esempio da cui siamo partiti, il Diab DS-101 Computer di Richard Hamilton, sembra scardinare questo scenario dualistico in cui l’hardware e il software prendono strade differenti nel piano di conservazione alla Tate. I curatori affermano che viene conservata indistiguimente una scultura e una funzione, ovvero il computer funzionante e usabile dagli utenti. “The computer enters the gallery not as an artwork, but providing a function (…). Hamilton insisted that the machine should be operational as a computer when it was put on display, ‘rather than simply sitting as a sculpture in a gallery’, until technical obsolescence rendered this impossible.” Questo esempio è stato scelto perché a differenza di altre opere d’arte digitale, considerate libere dal proprio medium, costringe i cutratori a focalizzare gli interventi conservativi sull’hardware per non perdere l’opera. Possiamo dire che allo stato attuali della ricerca sulla conservazione dell’hardware, lo sforzo conservativo della Tate è quello di prolungare il più possibile la vita e i circuiti elettrici funzionanti del Diab DS-101 Computer. By keeping the hardware in good storage conditions (…) we are prolonging the life of the artwork in its original form. “If a computer is designed by the artist and the object itself is the artwork, conceived of as a sculptural object, then storage is the only option”.

Il Diab DS-101 è interessante anche perchè possiamo cogliervi le conseguenze dell’intreccio tra arte e tecnologia. È stata creata in una fase storica (gli anni ’80) in cui i confini dell’arte sono entrati in un percorso di ridefinizione. L’estetica moderna riconosce valore a una sorta di scomposizione o analisi del medium. Ci dirigiamo verso una fase in cui il medium (o metamedium) è strumento attivo per la creazione, da parte dei suoi utenti, di altre opere, storie, socialità, sperimentazione e continua innovazione. Hamilton è stato uno dei pionieri al confine tra arte e tecnologia, per la creazione di contenuti artistici con media appena inventati e per aver creato egli stesso nuovi media appoggiandosi a istituti e aziende di informatica, strumenti che la crititica ha inserito nella categoria delle opere d’arte, oltre che in quella delle opere tecnologiche o scientifiche. È un personaggio però legato e consacrato dal mondo dell’arte ufficiale, che in questo quadro si comporta come istituzione conservativa. Invece, gruppi di ricerca poco o nulla conosciuti che hanno modellato il nostro orizzonte tecnologico ci fanno vedere come la creazione artistica stia uscendo dai criteri di classificazione delle istituzioni ufficiali. Osserveremo due di questi gruppi nei casi di studio 5 e 9.

Reabracadabra - Eduardo Kac – 1985

Una fase del processo di ricostruzione di Reabracadabra per mezzo del computer originale e di tecnologie moderne. Morgane Stricot, “Retro-Engineering and Alternative Histories: Possible Roads toward Media Archaeological Reconstruction,” Leonardo 50, no. 2 (2017): 193

Una fase del processo di ricostruzione di Reabracadabra per mezzo del computer originale e di tecnologie moderne. Morgane Stricot, Retro-Engineering and Alternative Histories: Possible Roads toward Media Archaeological Reconstruction, Leonardo50, no. 2 (2017): 193

Reabracadabra è un’animazione creata per videotext, una rete di trasmissione dati parallela a internet diffusa principalmente in Francia tra gli anni ’80 e ‘90. Per mezzo di computer server e della rete telefonica era possibile visionare sullo schermo di un terminale dedicato (cioè concepito per un’unica funzione) pagine con testo e contenuti grafici. La rete videotext brasiliana è stata smantellata alla metà degli anni Novanta, la rete francese, chiamata Minitel, nel 2012. Tutti i contenuti creati per queste piattaforme, tra i quali vi era l’animazione artistica di Eduardo Kac Reabracadabra, sono andati perduti. I terminali Minitel, sebbene funzionanti e in circolazione presso gli utenti, sono diventati inutili. L’intervento in esame ha interfacciato questi dispositivi con la rete telefonica moderna e ha fatto rinascere l’opera, con le limitazioni che vedremo, sia per una esibizione in un contesto artistico, sia per la conservazione nel lungo periodo.

Gli autori del processo di ricostruzione erano in possesso dei computer terminali, di uno slideshow di documentazione e si sono avvalsi della collaborazione dell’artista. L’obbiettivo era la ricreazione della sequenza animata sui terminali Minitel. Il programma originale era andato perduto e si è dovuto riscrivere il codice dell’animazione in formato videotext. Inoltre, a detta degli autori, si è voluto ricreare il media technical ecosystem dell’opera, comprendente la connessione via linea telefonica. PAMAL’s objective was to restore the experience of viewing these animations on a Minitel terminal, with all the characteristics and aesthetic constraints that this implies. We approached the work as a media-archaeological reconstruction according to its layers of materiality: from the first layers (the terminal’s image and physical interface) to the last layers composed of low-level programming languages and sound, the vector of communication between the Minitel and its servers. By progressing layer after layer and studying the overall system, we were able to reconstruct the Poems.

L’intervento è stato possibile anche grazie a un manuale fornito al tempo dalla rete telefonica francese che descriveva le caratteristiche del terminale. È stato possibile capire come esso processasse i dati e in quale formato. Si è collegato il computer a un sistema moderno: il microcontroller Arduino , che ha trasmesso al vecchio computer l’animazione riscritta con un editor esadecimale sulla base delle slide di documentazione.

Il secondo passo della ricostruzione è stato ricreare un server minitel, in modo da rendere l’opera attiva attraverso una rete come lo era durante gli anni ’80 e ’90. Alcuni hacker francesi si erano costruiti un server minitel per inviare dati attraverso un protocollo diverso rispetto a quello della rete nazionale, per ovviare al pagamento imposto da quest’ultima. Questo protocollo, il Public Switched Telephone Network (PSTN) è stato poi usato dal sistema di ricezione digitale ADSL. Prendendo spunto da questa esperienza è stato possibile ricreare tecnicamente un server minitel che inviasse dati attraverso la rete telefonica. I terminali minitel non possono appoggiarsi al protocollo TCP IP della rete internet, gestiscono unicamente l’audio in entrata e in uscita della rete telefonica. Ebbene, è bastato usare la scheda audio di un telefono moderno per inviare al terminale, tramite il protocollo PSTN e Arduino, i bit dell’animazione sotto forma di frequenze audio.

Il risultato è stata una copia, o secondo originale, del sistema obsoleto. Si tratta di un originale modificato e incompleto. Alcuni elementi sono stati ricreati con tecnologie moderne. Nonostante ciò gli utenti possono rivivere l’esperienza di un’opera di internet art degli anni ’80. Any happy Minitel owner with access to a landline can call the number linked to the micro-server and get connected. This procedure, obvious to any Minitel user, is lost to the younger generation of ‘digital natives’, yet experimental media archaeology allows a new audience to re-appropriate such knowledge and in this sense, although the Minitel is a dead medium, creating the ‘second original’ has made it into a sort of ‘zombie’ medium, giving an archival life, or afterlife, to Kac’s Poems. Il processo di ricostruzione è da intendere come un documento per le future generazioni. Racconta storie del passato: la comunità degli hacker francesi anni ’80; e del presente: si pensi ad Arduino, una carta che per pochi euro permette di costruire una miriade di applicazioni autoprogettate e autocostruite da appassionati che trovano in rete informazioni, supporto e un nuovo senso di comunità. Alcuni elementi del sistema sono stati simulati e ogni allontamanento dall’originale è segnalato e reso evidente all’utente che fruisce l’opera durante una esibizione artistica. L’utente è stimolato a produrre riflessioni altrimenti negate dalla scomparsa dell’opera, riflessioni allo stesso tempo in dialogo e alternative a quelle che un utente degli anni ’80 può aver prodotto. Oltre ad aver salvato l’esperienza dell’utente, la ricostruzione ha creato un originale d’archivio. Un archivio vivo e funzionante, anche dal punto di vista emozionale-estetico.

DISP - Peter Struycken – 1976

Still da frame dell’animazione di forme e colori del programma DISP. https://www.youtube.com/watch?v=Kf1umv-5JfA.

Still da frame dell’animazione di forme e colori del programma DISP. https://www.youtube.com/watch?v=Kf1umv-5JfA.

Still da frame dell’animazione di forme e colori del programma DISP. https://www.youtube.com/watch?v=Kf1umv-5JfA.

Still da frame dell’animazione di forme e colori del programma DISP. https://www.youtube.com/watch?v=Kf1umv-5JfA.

DISP è un’opera pioneristica nel campo della grafica compiuterizzata sviluppata negli anni Settanta. Il software gestisce una successione di colori e li visualizza sullo schermo. Automaticamente (cioè secondo i parametri determinati dall’artista in linguaggio informatico) il programma fa variare sullo schermo ogni due secondi una o più delle seguenti proprietà: forma, dimensione, durata, spazio, texture, movimento oltre alle fondamentali componenti di tonalità, saturazione e luminosità. I file di DISP sono stati completamente perduti. I conservatori possiedono un video che mostra il software in azione sul monitor con spiegazione dell’artista. È stato riconosciuto che la proprietà significativa dell’opera, nonchè l’intenzione dell’autore, risiede nel cambiamento, o meglio nella qualità (graduale, veloce, tra colori contrastanti, complementari o analoghi ) del cambiamento e dai suoi effetti nell’occhio umano, piuttosto che nei colori stessi. Based on perception research, […] DISP is a program in which the artist explores the relationship between colours. L’opera può essere ricostruita con tecnologie moderne senza inficiarne la riconoscibilità e l’originalità. I conservatori hanno ricreato l’animazione scrivendo il codice da zero con l’ausilio di tecnologie moderne per lo sviluppo di grafica compiuterizzata. Gli autori si sono sentiti sollevati, nella nuova animazione, dall’essere legati ai seguenti vincoli: 1) le caratteristiche tecniche dell’hardware e del software con cui l’opera era stata realizzata e 2) riprodurre fedelmente centinaia di colori, che pergiunta si presentavano su un monitor prodotto agli albori della produzione di dispositivi di visualizzazione a colori.

The operating speed can be determined from the video recording. Reprogramming and/or reconstruction based on the documentation of DISP is a possible conservation strategy. This approach is similar to reinterpretations of performance art or music scores. So long as the same essential score runs within the appropriate parameters, the work will remain recognisable and maintain its integrity. Premesso che gli esperimenti sui colori effettuati da Struycken sono realizzabili unicamente per mezzo di un computer, il video posseduto dai conservatori si è rivelato molto più di una fonte per la ricostruzione. Così come possedere lo spartito di una composizione musicale ci permette di ricrearne la melodia, a patto di utilizzare gli strumenti musicali originali, così il video ha permesso di ricreare il movimento (musicale ) cromatico messo sotto esperimento dall’artista olandese. Gli autori lasciano intendere che la ricostruzione sia stata eseguita più per motivi sperimentali che conservativi. Possiamo dedurre che l’opera mantiene intatte le sue caratteristiche estetiche anche se visualizzata attraverso un video di documentazione? Essa perderebbe non poco caratteristiche di storicità, sebbene le spiegazioni fuori campo e altri apparati esplicativi possano suggerire all’utente l’esperienza perduta.

Contunuiamo il confronto con la musica. Si potrebbe argomentare che vi è una grande differenza tra l’ascoltare una sinfonia alla radio piuttosto che in una sala da concerto, ma si potrebbe anche argomentare che la stessa sinfonia colpisce fortemente le nostre emozioni anche alla radio. Consideriamo il problema anche dal punto di vista di un altro medium. Un film realizzato per essere proiettato in una sala cinematografica perde alcune delle sue caratteristiche estetiche se visualizzato in televisione oppure sul monitor di un computer? Ancora, cosa dire della ripresa video di un’opera lirica o teatrale, proiettata in una sala cinematografica, trasmessa in televisione o via internet. È una quaestione complessa e non può essere affrontata qui. Ci serve come spunto di riflessione per le implicazioni profonde dell’esempio in oggetto.

Proviamo a trarre una conclusione. Per mezzo del computer l’artista ha creato una matrice che si è istanziata più volte. Sul monitor di un computer degli anni Settanta, sul video in mano ai conservatori del LIMA, nella ricostruzione attuata con una moderna animazione computerizzata e così via. Dal punto di vista della percezione dell’utente, l’opera si istanzia indipendentemente dalla tecnologia utilizzata e ciò è garanzia di conservazione nel lungo periodo. Ogni riproduzione o ricostruzione può fungere a sua volta da matrice per la creazione di nuove istanze, più o meno vicine dall’istanza zero prodotta dall’artista negli anni ’70.

Un esempio di archiviazione digitale di circa 8000 opere video – Anni’70/presente

“In viaggio con Patrizia” di Alberto Grifi, una tra le opere video conservate presso Careof. https://www.careof.org/about/archivio-storico

In viaggio con Patrizia di Alberto Grifi, una tra le opere video conservate presso Careof. https://www.careof.org/about/archivio-storico

Careof è un’organizzazione no-profit per l’arte contemporanea. Fondata nel 1987, favorisce la creatività e la sperimentazione di giovani artisti in ogni sua espressione e forma. Il suo archivio è composto, oltre a fotografie e libri, di circa ottomila opere video. Queste si presentano sotto forma di nastro analogico e digitale e di dischi ottici (DVD). Gli addetti alla conservazione di Careof hanno scelto di convertire sotto forma di file e di archiviare in un unico contenitore digitale i video in loro possesso. Non ci occupiamo del processo di digitalizzazione, ma dell’archiviazione. L’esempio proposto è valido per istituzioni di piccolo-medio livello.

I video sono stati convertiti in file .mov e inseriti in un hard disk esterno da 10 terabyte. Questo formato è stato ritenuto dai conservatori del Careof il più stabile e il più efficiente per mantenere intatta l’integrità e la qualità del video. Metadati inseriti per ogni opera sono: formato, durata, frame rate, peso in byte, codec, profilo colore più una sezione di metadati sulla storia conservativa dell’opera: i formati, le migrazioni e le macchine con cui è stato possibile leggerlo in passato. In questo modo si può assicurare una conservazione retroattiva che consenta la visione dei video memorizzati in formati obsoleti per mezzo dei rispettivi dispositivi di lettura, nel caso strategie coservative più moderne dovessero dimostrarsi inefficaci. I file così conservati sono pronti per essere in futuro riconvertiti o copiati per essere distribuiti su un supporto come il dvd o altri che usciranno in futuro sul mercato. Senza un sistema per la fruizione questo archivio risulterebbe inaccessibile per la sua mole. L’utente può allora consultare il database delle opere (un file conservato nello stesso hard disk) da una interfaccia inserendo parole chiave. La risposta è la scheda dell’opera (titolo, autore, durata, descrizione e altri) più un collegamento che permette la visualizzazione del video tramite un media player. Particolare cura è stata dedicata alla compilazione di queste schede in modo da assicurare la rintracciabilità dell’opera, aspetto fondamentale della conservazione. Careof ha intenzione di rendere l’archivio fruibile online. I file andrebbero copiati su un server web, ulteriore archivio di conservazione.

15 seconds of fame - Gruppo di ricerca dell’Università di Lubiana – 2002

L'installazione “15 seconds of fame”. Borut Batagelj and Franc Solina, “Preservation of an Interactive Computer-based Art Installation – a Case Study,” International Journal of Arts and Technology 10, no. 3 (2017): 11.

L'installazione 15 seconds of fame. Borut Batagelj and Franc Solina, Preservation of an Interactive Computer-based Art Installation – a Case Study, International Journal of Arts and Technology 10, no. 3 (2017): 11.

15 seconds of fame è una installazione interattiva composta da un computer, una camera digitale e un monitor. La camera è collegata al PC e posta sopra lo schermo. Ogni 15 secondi scatta una fotografia degli utenti che stazionano davanti a esso. Il software all'interno del computer processa questa fotografia attraverso tecnologie di face detection. Ricampiona i colori delle facce degli utenti secondo i tipici colori della pop art, mimando la stessa tecnica di trasformazione dell'immagine fotografica attuata da Andy Warhol per le sue serigrafie. "To produce his celebrity portraits, Warhol segmented the chose face from the background, which he replaced with uniform colors, and often highlighted some facial features such as the mouth or the eyes, started the process with a negative of the photo, or overlaid the photo with geometric color screens, etc. These techniques of transforming a photograph into a painting could be described with a set of formal construction rules using shape grammars. (...) The installation '15 seconds of fame' does not identify any facial features but just applies different filters to input images". L'immagine è visualizzata in tempo reale sullo schermo e lo spettatore può osservare il proprio ritratto modificato per 15 secondi.

15 seconds of fame si ispira all’affermazione di Andy Warhol secondo cui tutti in futuro avranno 15 minuti di celebrità. Si ispira anche alle sue famosissime serigrafie di personaggi famosi trasformati da fotografie raccolte dai canali di diffusione di massa. Il messaggio lasciatoci da Warhol è che sempre più l'immagine mediatica di sè e degli altri sarà al centro delle relazioni interpersonali e della propria auto-rappresentazione. Parafrasando ciò che avviene ancora oggi nel mondo delle celebrità, l’artista statunitense ha creato delle immagini che hanno vita autonoma nel mondo mediatico, completamente distaccate dal referente reale. 15 seconds of fame riprende questa parafrasi nel mondo digitale. Sempre più l’immagine di sé prodotta dai social network, da dispositivi e da programmi informatici acquista peso nelle relazioni sociali e comunitarie. Quest’opera riflette sul desiderio di diventare celebri e di vedere la propria immagine in televisione o su un altro media di massa. Nell’occasione specifica riflette sul desiderio di essere ritratti sulle pareti di un luogo deputato all'arte. Per rendere quasi esplicito questo messaggio il monitor dell’installazione è stato inserito in una cornice che mima quella dei dipinti d’arte tradizionale. Realizzata nel 2002, ha anticipato quanto avviene oggi per la mania del selfie o per alcune applicazioni per smartphone, tra le quali segnaliamo la diffusissima Word Lens di Snapchat. Questa funziona secondo lo stesso principio di 15 seconds of fame, aggiungendo in tempo reale, con le tecnologie di realtà aumentata e di face detection, disegni e oggetti 3D all’immagine degli utenti. Nell’installazione di cui stiamo trattando, otre a vedere il proprio ritratto per 15 secondi in a Warhol-like pop art fashion, gli utenti possono stampare la fotografia e, in una delle installazioni più recenti, condividerla con i social network. Per ogni sessione di 15 secondi, se più persone sono comprese nella fotografia, solo una faccia è scelta con metodi random e trasformata in un'opera pop. Ciò ha determinato una più o meno velata competizione tra gli utenti per avere il proprio ritratto al centro dell’attenzione mediatica, almeno per 15 secondi.

In questo caso di studio osserviamo l'installazione nel 2002 e i cambiamenti tecnologici (ovvero le operzioni di migrazione) apportati fino al 2016. L'installazione originaria è composta da: un monitor Samsung 17 inches, un pc con sistema operativo Windows XP, una fotocamera digitale Olympus C3020, una libreria software SDK per la comunicazione PC-camera, 4500 linee in tutto di codice in Delphi, C, C++, C#. Esposizioni avvenute negli anni successivi hanno visto l'utilizzo di hardware diverso: una nuova versione della fotocamera (Olympus C40) e un monitor da 19 inches. Gli autori hanno riscontrato inconsistenze nelle interfacce dei cavi di connessione e nell’output del monitor (16:9 rispetto a 4:3). Sono state apportate modifiche al software in seguito all’upgrade del sistema operativo alla versione Windows 7 ed è stato cambiato il programma di riconoscimento facciale seguendo un nuovo metodo appena creato dai ricercatori Viola-Jones. La migrazione non solo valuta l'obsolescenza, ma apporta anche miglioramenti che provengono dal contesto tecnologico. La conservazione si rivela un work in progress, soprattutto se gli autori sono ancora coinvolti nei progetti espositivi. Conservare il software vuol dire che sia comprensibile a un programmatore dell'epoca corrente e non da uno "storico della programmazione e dei linguaggi di programmazione".

Nel 2016 è stato effettuato un nuovo intervento di migrazione. La nuova installazione è composta da una fotocamera Logitech C525 e dal microcomputer Raspberry Pi in sostituzione del PC. Il software incorporato nella nuova fotocamera è supportato da Raspberry Pi. Il sistema operativo inserito nel microcomputer è Raspian Jessie (una versione di Linux) e il linguaggio di programmazione del nuovo software (riscritto da zero) è pyton. Questo linguaggio supporta funzioni per il riconoscimento facciale (OpenCV library) e interfacce per la telecamera (Picamera). Nonostante questi radicali cambiamenti, il look and feel e l’usabilità dell’opera sono rimasti invariati per l’utente e l’insieme risulta più moderno, compatto ed efficiente.

Successivamente gli autori hanno migrato il software anche verso una app mobile, dove l'utente può visionare la propria immagine pop e scattare egli stesso la fotografia dal proprio smartphone. Sebbene il significato dell'opera non sia cambiato, l'aspetto e l'usabilità sono state stravolte, aggiornate alla rivoluzione che lo smartphone ha determinato nei modi di vita dal 2007. Questa implementazione mobile può essere classificata nella strategia della reinterpretazione (paragrafo 2.6) invece che in quella della migrazione.

Affermano gli autori che la migliore garanzia di sopravvivenza di un’opera digitale è esibirla frequentemente e farla funzionare in occasioni pratiche, di fronte a reali problemi installativi. In questo caso di studio abbiamo visto come la variabilità, che è anche catatteristica di molte installazioni e performance di arte contemporanea, varianti di regia teatrali e interpretazioni musicali, informa le scelte dei conservatori di arte digitale che decidono di seguire la strategia della migrazione.

Karlsruhe Moviemap - Michael Naimark - 1991

Karlsruhe Moviemap nel 1991. Bernhard Serexhe, ed., Preservation of Digital Art: Theory and Practice: The Digital Art Conservation Project (Vienna: Ambra, 2013), 420.

Karlsruhe Moviemap nel 1991. Bernhard Serexhe, ed., Preservation of Digital Art: Theory and Practice: The Digital Art Conservation Project(Vienna: Ambra, 2013), 420.

Reinterpretazione di Karlsruhe Moviemap nel 2009. Bernhard Serexhe, ed., Preservation of Digital Art: Theory and Practice: The Digital Art Conservation Project (Vienna: Ambra, 2013), 423.

Reinterpretazione di Karlsruhe Moviemap nel 2009. Bernhard Serexhe, ed., Preservation of Digital Art: Theory and Practice: The Digital Art Conservation Project (Vienna: Ambra, 2013), 423.

Con questo caso di studio possiamo osservare in dettaglio un esempio della strategia della reinterpretazione realizzato dal ZKM Center for Art and Media di Karlsruhe, Germania, importante centro di promozione della digital art e di conservazione. Questo progetto si inserisce all’interno di una importante operazione di diffusione delle conoscenze nel campo della conservaione digitale della durata di tre anni, dal 2010 al 2013. Oltre alla pubblicazione conclusiva di una raccolta di saggi tradotta in tre lingue, nella quale sono state sisematizzate le esperienze acquisite , sono state realizzate interviste, simposi, mappature dell’arte presente nei musei tedeschi, collaborazioni con corsi universitari, la stesura di dieci casi di studio, tra i quali vi è Karlsruhe Moviemap, una mostra itinerante: Digital Art Works. The Challenges of Conservation, con prima tappa presso lo ZKM Center for Art and Media di Karlsruhe, inaugurata il 29 ottobre 2011, nella quale la stessa opera, che ora descriviamo, era presente.

L’installazione interattiva Karlsruhe Moviemap simula e permette di vivere in soggettiva l’esperienza di una corsa in tram attraverso la città di Karlsruhe. Per mezzo di una colonnina interattiva accessoriata con manopola e pulsanti, l’utente può navigare attraverso l’intero percorso della tramvia lungo le strade di questa città che gli appaiono di fronte su un grande schermo. Un monitor posto sulla colonnina segnala la sua posizione sulla mappa della rete tramviaria. Questi ha la sensazione di immergersi e inoltrarsi lungo le vie cittadine, sebbene in realtà stia visualizzando delle fotografie unificate (con la tecnica chiamata Moviemap ) e fatte scorrere alla velocità che lui stesso decide attraverso i comandi a disposizione sulla colonnina interattiva. Velocità e andamento sono predisposti per simulare quelli di un tram in corsa.

Nella fase di creazione dell’opera le fotografie sono state scattate da una camera da 16 mm montata su di un tram che ha percorso l’intera rete cittadina. Le foto catturavano il tessuto urbano ogni due, quattro od otto metri, a seconda che il tram fosse in una zona centrale o fuori città. Sia il metodo di cattura che quello di fruizione sono confrontabili con quelli dell’applicazione Street view di Google map, lanciata nel 2007 .

Nel 2009 l’installazione è stata reinterpretata. L’intera postazione di guida è stata ammodernata. Al posto di una semplice manopola è stata installata una realistica interfaccia di manovra di un tram. Il monitor che segnalva la posizione dell’utente sulla mappa è stato sostituito da un moderno touch screen. Le visuali delle vie di Karlsruhe sono state acquisite nuovamente con due camere digitali in alta risoluzione. Le foto così ottenute sono state proiettate con effetto 3D utilizzando due proiettori (stereometria) dai quali escono due fasci di luce ricomposti nell’occhio dell’utente che indossa occhiali 3D. Rispetto alla prima versione l’esperienza immersiva risulta esaltata.

Nel 2006 l’opera era stata sottoposta a un intervento conservativo attraverso la migrazione (paragrafo 5). Il software originario era stato considerato a rischio ed è stato sviluppato nuovamente. Il computer e il sistema operativo sono stati aggiornati (da Apple Macintosh II con OS 6.0.8 ad Apple Power Mac G5 con OS 10.3.9). Dopo la scoperta di un bug nel funzionamento generale una nuova migrazione è stata effettuata con un Apple Mac mini con OS 10.5.8. Le teleo boards (schede microcontroller, cioè computer in miniatura che svolgono funzioni minime) sono sostituite con la board Arduino in quanto la ditta Teleo ne aveva arrestato la produzione. Il monitor RTC per la visaulizzazione della mappa è stato sostituito con uno con tecnologia a cristalli liquidi (LCD). Nonostante questi cambiamenti l’opera aveva mantenuto le sue caratteristiche fisionomiche ed estetiche.

Attraverso le operazioni di reinterpretazione ci troviamo invece di fronte a un nuovo paradigma, a una nuova versione. D’altronde anche la città e le sue strade sono certamente cambiate dopo 18 anni. Secondo le parole dei responsabili di questa esposizione l’opera è stata reinterpretata on the basis of the original concept, represented as a more up-to-date and modified version. “In terms of technical implementation there is no connection between the reinterpretation and the original version of the work”. From the point of view of conservation this version of the work is a reinterpretation, which is based on the concept of the 1991 version but with respect to content – the original footage – and the general appearance of the work, clearly deviates from the original. Through reinterpretation, which is one of the most radical conservation strategies, the work concept is also preserved for the future.

Abbiamo la possibilità di sentire la voce e l’opinione dell’artista, intervistato dai responsabili della reinterpretazione: If somebody used it [the work] as the basis for something else, I suppose I’d be flattered. So when I first heard about the new version, I was thrilled. Alla domanda Do you see a value in preserving the original version of the work? La risposta di Michael Naimark è stata: “Preserving, yes. But if a better user experience can be provided, I’d prefer that. The preserving can be via documentation”.

Quando hanno deciso di procedere alla reinterpretazione dell’opera, i curatori del ZKM possedevano la versione (quasi) originale e funzionante di Karlsruhe moviemap frutto della migrazione del 2006. Proviamo a interpretare la loro decisione di eseguire modificazioni così radicali. La migrazione è certamente una strategia fondamentale, ma privilegia l’aspetto tecnico rispetto a quello di una fruibilità a un livello più alto rispetto al mero funzionamento, rischiando di allontanarla dal suo significato originario e dal tessuto vivo della fruizione artistica. Pare soddisfacente l’approccio conservativo attuato per questa installazione, dove la migrazione è la strategia di base e la reinterpretazione viene messa in opera quando si reputa che sia tempo di correggere il tiro in linea con i cambiamenti di un contesto sociale e tecnologico più ampio. Si continua poi nuovamente a modificare l’opera con la migrazione, fino a una nuova reinterpretazione. Così questo processo conduce l’opera nel lungo periodo. Similmente, anche l’esempio presentato nel caso di studio 3.5 (15 seconds of fame) ha messo in pratica una combinazione tra queste due strategie.

Spook… - Conor McGurrigle – 1999

Sulla sinistra il menù di navigazione del sito Spook... Sulla destra la home page di uno dei siti controllati da D.Butler e dal software di controllo militare. Questo sito oggi fa parte del network di Spook... http://www.conormcgarrigle.com/spook.html.

Sulla sinistra il menù di navigazione del sito Spook... Sulla destra la home page di uno dei siti controllati da D.Butler e dal software di controllo militare. Questo sito oggi fa parte del network di Spook... http://www.conormcgarrigle.com/spook.html

Had I decided to let it expire it would be permanently lost with only a few screenshots online and in catalogs as a record of its existence. Per McGurrigle una vera preservazione è nelle misure approntate dall’artista nella fase di produzione dell’opera e nella sensibilizzazione diffusa negli artisti riguardo la conservazione delle loro creazioni. I curatori potrebbero dover gestire in futuro file illeggibili, menomati di risorse esterne o perduti. Paintings, sculpture, published texts on paper enjoy a reasonable grace period following their conception during which one can assume their survival practically without intervention. During that time there is normally plenty of opportunity to determine the artistic significance of works. In contrast, preservation of digital art works such as installation art requires almost immediate action, much earlier than the significance of an art piece for a particular artist or in general can be established.

L’aspetto concettuale di Spook… verte sul controllo governativo del web, anticipando i dibattiti internazionali sulla rete Echelon e sulle rivelazioni di Edward Snowden. McGarrigle è riuscito a intercettare un programma del tipo web crawler (anche detto web bot ) che stava controllando il suo sito web, partito dai computer di una base militare americana. Agganciandosi a questo crawler militare, il programma scritto dall’artista registra i siti che il primo visita nel suo viaggio di controllo. Sul sito dell’opera è contenuta una lista di link a siti web che contengono parole compromettenti, che l’utente può visitare creandosi un percorso di visita personale. I siti web osservati dal programma militare e dal soldato D. Butler (il performer virtuale inventato dall’artista che gira per il web) fanno parte del contesto di questo lavoro: i controllati sono oggetto dell’azione performativa tanto quanto il controllore. L’opera registra metaforicamente un pezzo di storia del web (la fase detta 1.0) dove il surfing, il saltare di nodo in nodo, era un aspetto prevalente rispetto al marketing che domina il web 2.0. Su Spook… non si tratta di un surfing casuale, ma motivato da un preciso interesse e indirizzato su linee della rete che toccano anche il web profondo altrimenti inaccessibile all’utente comune, plasmando dunque una immagine di una delle infinite connessioni logiche del web. Lo sguardo su internet dell’utente di Spook… viene a coincidere con quello di uno dei controllori della rete. In questa esperienza dell’utente risiesde l’aspetto più importante del significato dell’opera.

Per quanto riguarda la conservazione digitale, ci troviamo di fronte a un network di risorse. Il caso di studio pone una serie di questioni conservative che l’artista mette in luce, da quelle di careattere tecnico a quelle degli aspetti culturali e di contesto. Come preservare le seguenti tecnologie e aspetti immateriali: l’ambiente software di un’opera digitale che si appoggia alla rete internet (APIs, remote databases, linked resources, scripts and plugins, proprietary file formats, as well as external components that serve to contextualize an individual work ); l’attività dei web bot (militare e di spook…), le cui tracce esistono solo nei server log (messaggi del sistema informatico), invisibili all’utente, ma rappresentano lo strumento dell’azione performativa messa a punto dall’artista; la visione di siti web di fine anni ‘90, molti dei quali scompaiono già dopo pochi mesi dalla messa in rete; un’intera web culture degli anni ’90 , della quale l’opera in oggetto non è punta di diamante, ma vive con essa e sulla base di essa; l’azione del surfing degli utenti; l’esperienza dell’utente con la grafica del web anni ’90, connessione internet lenta e vecchi monitor RTC. “Spook… was a site specific work situated at the center of a conceptual network with 99% of its content consisting of appropriated web pages directly linked and enframed within the project's structure, the internet as ready-made as it were”.

La soluzione adottata dall’artista è stata quella di copiare sul suo server i siti web che compongono il contesto dell’opera. Azione non dissimile da quella che abbiamo incontrato nella pratica del Web archiving (paragrafo 2.7), sebbene egli non dichiari di aver seguito un particolare standard. L’autore critica il modo di procedere di alcune istituzioni che, selezionando per l’archiviazione solamente siti web reputati di particolare interesse, condannano all’oblio interi ecosistemi culturali e artistici (vedi paragrafo 2.10). I took the decision to […] replace websites that ceased to exist with archived copies hosted on the Spook... server recreating that portion of the web even after it ceased to exist online. This happened with a website central to Spook..., psychicspy.com, an extensive resource for all things conspiracy run by a former US military intelligence officer that was unexpectedly deleted. This event highlighted the advantages and drawbacks to this approach. On one hand a portion of this site as it pertained to Spook… was preserved and is still accessible. However, the replacement is only partial and the depth of material saved and re-hosted effectively removes the option of diving deep into its world of conspiracy as part of the Spook... experience.

L’autore in un primo momento dubita della necessità stessa di salvare l’opera. Questa arte effimera percorre e abbandona le vie del web autonomamente e risulta improbabile riuscire a incapsularla in un ambiente conservativo. È liquida come le performance di Fluxus. Prendiamo 7000 quercie del 1982 di Joseph Beuys , il quale ha predisposto con la sacralità artistica tipica del suo stile la possibilità per gli abitanti di Kassel di piantare alberi nei dintorni della città. La riforestazione è durata oltre la morte dell’artista (1987). Conservare opere vive come questa è un problema complesso: oltre a foto, video, locandine e documenti cartacei, si può proteggere il paesaggio finchè durerà la vita degli alberi, ma l’esperienza dell’opera, l’emozione più intensa, è stata vissuta da coloro che li hanno piantati e li hanno visti crescere. Similmente, gli utenti di Spook.. agli inizi del Duemila hanno costruito l’opera con il loro surfing impostato dall’artista. In una esposizione artistica l’obbiettivo è quello di riproporre agli utenti questo surfing lungo le vie tracciate dal crawler militare, impostando un ecosistema di siti-immagine predisposto dall’artista, reso vivo dalla fruizione su internet.

Con le reti di computer si è creato un linguaggio ancora più liquido e intracciabile rispetto a quello delle performance di arte contemporanea. Nell’arte delle reti nulla vi è di materiale, mentre le esperienze del secolo scorso avevano come oggetto il corpo umano, un luogo, costumi, strumenti di ogni tipo, persino una strada, per quanto riguarda certe azioni pubbliche. Possono essere riproposte al pubblico, eventualmente aggiornandole in alcuni aspetti. Nella rete internet, di fronte alla prospettiva di lasciare unicamente feticci per i musei bisogna predisporre in tempo l’ecosistema tecnico alla riproposizione dell’esperienza utente.

Proviamo a suggerire che anche a distanza di anni si potrebbe procedere a una ricreazione (paragrafo 2.3) o a una reinterpretazione (paragrafo 2.6) di Spook…, agganciando nuovamnete un diverso web crawler e far navigare gli utenti su veri siti web. In effetti, dobbiamo però concordare con McGarrigle che nel caso appena visto i legami con il contesto culturale e politico sono troppo forti e resi espliciti nel messaggio profondo dell’opera. Rappresentano una proprietà significativa che va tenuta in considerazione. Se altre strategie fossero messe in pratica, si produrrebbe una nuova e diversa opera, una sua derivazione più che la sua conservazione.

Brutalism: Stereo Reality Environment 3 – J. C. Martinat Mendoza – 2007 e la conservazione della software art presso la Tate di Londra

Brutalism. Alistair Ashe, Patrícia Falcao and Brian Jones, “Virtualisation as a Tool for the Conservation of Software-Based Artworks,” in Proceedings of the 11th International Conference on Digital Preservation (IPRES), Melbourne, Australia, October 6 - 10, 2014, 88, http://www.ipres-conference.org/ipres14/sites/default/files/upload/iPres-Proceedings-final.pdf

Brutalism. Alistair Ashe, Patrícia Falcao and Brian Jones, Virtualisation as a Tool for the Conservation of Software-Based Artworks, in Proceedings of the 11th International Conference on Digital Preservation (IPRES), Melbourne, Australia, October 6 - 10, 201488, http://www.ipres-conference.org/ipres14/sites/default/files/upload/iPres-Proceedings-final.pdf

Abbiamo seguito nel caso di studio 3.1 il workflow di acquisizione di arte digitale della Time-based media Collection della Tate. Avevamo focalizzato sull’hardware e interrotto la trattazione nel momento in cui i conservatori auspicavano una strategia conservativa per i dati digitali che fosse il più possibile astratta dall’hardware, per traghettare l’opera nel lungo periodo installandola su sistemi al passo con le tecnologie.

Nel 2014 i conservatori hanno valutato la virtualizzazione in due casi di studio, uno di essi è Brutalism. By keeping software-based artworks running in virtual machines they are rendered less dependent on the original hardware. Once the original hardware stops working it should still be possible to revert to the virtual version. By identifying and documenting the significant properties of the artwork and the artwork software, and by ensuring that the virtual version is an exact copy of the original, we can then use the virtual version of the artwork to compare any new version that may be created. The new version could either be created on new hardware or migrated to a new operating system or programming language.

In un aggiornamento del 2016 l’emulazione (paragrafo 2.9) è stata reputata la strategia privilegiata per il software nel lungo periodo. La virtualizzazione è adatta come archivio intermedio per opere realtivamente recenti che sfruttano l’hardware dei computer moderni. La macchina virtuale è legata al sistema operativo e all’hardware del computer ospitante. L’emulatore, comunicando solo con il sistema operativo, simula in modo più astratto l’ambiente di esecuzione del codice d’arte.

Prima di procedere alla encapsulazione del codice in una macchina virtuale o in un emulatore, i conservatori della Tate consigliano di valutare la strategia alternativa (migrazione, paragrafo 2.5). Attraverso gli elementi in possesso (a volte l’ambiente software di un codice d’arte non è noto), l’opinione dell’artista e questioni legali o tecniche, bisogna scegliere la strategia appropriata e più economica. Viene anche consigliato di seguire insieme migrazione e incapsulazione (virtualizzazione o emulazione). Recommendation: Collect information to support emulation /virtualization in a timely manner. In particular, obtain source code and build instructions (if available), and install the artefact as soon as possible in an emulated / virtualized environment - while an original reference installation and/or the artefact’s creator are available.

Introduciamo l'opera d'arte oggetto del presente caso di studio. “Technically [Brutalism] is composed of different software elements embedded in the shell of an Ubuntu operating system. It requires an internet connection to connect to Google and outputs to either RS232 or USB printers. We knew that interfaces with external systems cause the most problems”. Oltre a questo sistema digitale complesso l’installazione è composta da un elemento scultoreo-architettonico: “un modello in scala del quartier generale militare del Perù, un esempio di architettura 'brutale', soprannominato il Piccolo Pentagono. Durante la presidenza di Fujimori, l'edificio è diventato noto per le torture, gli omicidi e le sparizioni condotte dal servizio segreto. La scultura incorpora un computer programmato per la ricerca su internet di riferimenti alla parola 'Brutalismo', raccogliendo estratti sulle dittature latino-americane e globali, ma anche sull'architettura, forgiando associazioni tra diversi tipi di 'brutalismo', che vengono 'sputate, [da stampanti incorporate nella scultura] sul pavimento della galleria”. Che cosa hanno salvato i conservatori di Brutalism? L’obbiettivo della conservazione del software è permettere al codice di continuare a fare quello per cui è stato progettato. Nel caso di Brutalism: connettersi a internet, cercare informazioni sulla rete, registrarle in un database. Non ci si preoccupa di link rotti o dati mancanti , il software cerca quello che vi è nella rete nel momento in cui viene eseguito. I dati vengono aggiornati nel database in tempo reale. Questo è l’elemento tecnico più significativo dell’opera. La virtualizzazione è la strategia appropriata per lavori che sono basati su tecnologie web: Virtualization is today ubiquitous for web server . L’applicazione all’interno di Brutalism è un client web particolare che invia e ricevere messaggi http, come opera un server web. Per l’output: at the planning stage we expected problems when setting up the printers, but because they already use a fairly recent type of connection, namely, a USB connection, this proved to be straightforward.

La macchina virtuale scelta per Brutalism è VMware, preferita a Virtual Box, considerata come seconda scelta. Dopo aver implementato la macchina virtuale, si è installato in essa l’immagine del sistema operativo. Si è copiato il codice d’arte nella macchina virtuale insieme a informazioni reperite dall’hard disk consegnato dall’artista (come ad esempio il programma usato per lo sviluppo del codice). È stata eseguita la comparazione del comportamento del software all’interno della macchina virtuale e all’interno del computer originario. L’intero ambiente software della macchina virtuale, compreso il codice d’arte, è stato esportato in un file OVF, inserito poi nello storage file system dell’Information System department.

Il seguente workflow, sebbene in certi casi modificato in favore dell’emulazione, è indicativo delle pratiche di preservazione alla Tate: “1. Description of the artwork. 2. Documentation of the hardware and software environments. 3. Identification of the artwork’s significant properties and associated risks for long-term preservation, in discussion with the other stakeholders. 4. If software is bespoke, analysis of the function of the source code supplied, by someone other than the original programmer. 5. Creation of exhibition copy. If any extra software must be added to the physical computer (e.g. libraries or drivers for particular printers) then this should also be made a documented component of the artwork. 6. Creation of virtual machine using the physical to virtual process. 7. Compare the significant properties in the physical and virtual machines. Specialist technical support is likely to be required to identify the less visible differences between the physical and virtual machines. 8. Add virtual machine to the virtualisation platform running the other Tate servers. 9. Create OVF file and test it on Virtual Box. 10. Add the OVF file to Tate’s High Value Digital Asset (HVDA) storage system. 11. All the new elements created must be tracked in the Tate’s Collection Management System, The Museum System (TMS), so a component with a unique identifier is created for the following elements: physical back-up machine, virtual machine on virtualisation platform, OVF file on the HVDA system, individual software required, for example the operating system and particular libraries or drivers”.

Ripetiamo che l’approccio alla conservazione della Tate è quello di astrarre il software dell’opera da ogni sistema hardware. L’astrazione è ottenuta con la creazione dell’immagine di un supporto di memoria (hard disk). L’immagine conserva sia il contenuto che la descrizione del contenuto del codice d’arte e dell’ambiente software (il sistema operativo e il software di esecuzione) che permette a questo di essere eseguito. Poiché il sistema operativo si interfaccia con l’hardware e poiché il software di esecuzione può essere codice proprietario, creando due immagini, una dedicata al codice d’arte e un’altra al suo contesto software, si può assicurare la conservazione nel lungo periodo lasciando la possibilità di trasportare l’immagine dell’opera su un diverso contesto software. In altre parole, l’immagine del codice d’arte può essere resa indipendente dai livelli sottostanti through the substitution of existing and installed software components with abstract software dependencies. This yields an abstracted artefact, which may not only be rendered by its original software environment, but also by any other environment providing the well defined software dependencies. L’analisi del sistema hardware e software è finalizzato principalmente all’individuazione delle dipendenze. Tools are available to support the process of determining software dependencies for a digital artwork, to a certain extent. Creare una immagine ai fini della conservazione, analizzare il sistema e individuare le dipendenze sono operazioni complesse, durante la quale bisogna individuare e salvare le proprietà significative dell’opera. Nonetheless, if a disk image can be run correctly on either an emulation or virtualization platform, and if it is comparable with an approved version of an artwork, then hardware dependencies can be considered to have been removed, or at least decreased, and the risks to the longevity of the software can be better managed. If any dependencies are identified during the process of emulation, then a future move to a different emulator or virtualiser is less likely to be problematic.

Valutare i rischi, incapsulare o migrare, analizzare un sistema. Occorrono nuove competenze e nuovi ruoli per i conservatori, che devono interagire con i curatori d’arte e con i dipartimenti tecnici. Conservators of software-based works will need to learn how to access the mechanisms for community support that already exist around software and gaming and find ways to build and maintain these networks. Ciò in linea a quanto mostratoci da Ippolito sugli effetti del digitale sulla società e sull’arte (vedi paragrafo 2.10). Con le macchine analogiche la soluzione di problemi tecnici era compito di professionisti per lo più anziani con una vita di esperienze su un apparecchio o una tecnologia. Nell’era digitale le chiavi per far funzionare hardware e software critico sono nelle mani delle giovani generazioni e nella creatività delle loro sperimentazioni.

Flusser Hypertext– Gruppo di ricerca dell’ITAS -1992

L'installazione del Flusser Hypertext in una esibizione presso il ZKM di Karlsruhe. Martin Häberle et al., “A Case Study on Emulation-based Preservation in the Museum: Flusser Hypertext,” in Proceedings of the 13th International Conference on Digital Preservation (IPRES), Bern, Switzerland, October 3 - 6, 2016, 153, https://services.phaidra.univie.ac.at/api/object/o:502767/diss/Content/get.

L'installazione del Flusser Hypertext in una esibizione presso il ZKM di Karlsruhe. Martin Häberle et al., A Case Study on Emulation-based Preservation in the Museum: Flusser Hypertext, in Proceedings of the 13th International Conference on Digital Preservation (IPRES), Bern, Switzerland, October 3 - 6, 2016153, https://services.phaidra.univie.ac.at/api/object/o:502767/diss/Content/get.

La soluzione installativa adottata con il computer nascosto alla vista dell'utente sotto il tavolo. Martin Häberle et al., “A Case Study on Emulation-based Preservation in the Museum: Flusser Hypertext,” in Proceedings of the 13th International Conference on Digital Preservation (IPRES), Bern, Switzerland, October 3 - 6, 2016, 153, https://services.phaidra.univie.ac.at/api/object/o:502767/diss/Content/get.

La soluzione installativa adottata con il computer nascosto alla vista dell'utente sotto il tavolo. Martin Häberle et al., A Case Study on Emulation-based Preservation in the Museum: Flusser Hypertext, in Proceedings of the 13th International Conference on Digital Preservation (IPRES), Bern, Switzerland, October 3 - 6, 2016153, https://services.phaidra.univie.ac.at/api/object/o:502767/diss/Content/get.

Titolo dell’opera: Flusser Hypertext

Ambito artistico: Ipertesto elettronico

Autore: Gruppo di ricerca dell’ITAS (Institute for Technology Assessment and Systems Analysis) del Karlsruhe Nuclear Research Center, oggi parte del Karlsruhe Institute of Technology

Composizione hardware e software originari: Programma informatico dell’autore – Registrazione audio – Testi - Immagini

Data della creazione: 1992

Conservato presso: Flusser Archive – Berlino, Germania

Progetto di conservazione a cura di: ZKM Zentrum für Kunst und Medien di Karlsruhe - Università delle Arti e del Design di Karlsruhe - Università d’arte di Berlino

Data delle operazioni di preservazione: 2013

Strategia applicata per la preservazione: Emulazione

Composizione hardware e software dopo l’intervento di preservazione: Emulatore - Programma informatico dell’autore sotto forma di file immagine – Registrazione audio – Testi - Immagini

Questo caso di studio, realizzato dal ZKM Zentrum für Kunst und Medien di Karlsruhe, dall’Università delle Arti e del Design di Karlsruhe e dall’Università d’arte di Berlino, ci mostra le operazioni di emulazione di un ipertesto creato nel 1992 e rimasto inerte circa venti anni all’interno di un Macintosh Performa 630 (entrato in commercio proprio nel 1992). Durante una esposizione nel 2010 attraverso hardware obsoleto simile a quello originale si erano registrati malfunzionamenti. Nel 2013 un team di esperti delle istituzioni sopra citate è riuscito a dare nuova vita e un ambiente conservativo a lungo termine al software in oggetto per mezzo dell’emulazione. L’opera che presentiamo in questa sede, inserita in un emulatore, è stata esposta presso Trasmediale, presso il ZKM di Karlsruhe e presso la galleria e museo d’arte The West di Den Haag, Olanda.

Se considerassimo una nozione ristretta di arte il Flusser Hypertext potrebbe non rientrare nei confini della creazione artistica. Non è stato ideato o sviluppato da un artista, ma da un gruppo di ricercatori presso i laboratori ITAS. Trattandosi sostanzialmente della versione elettronica e ipertestuale di un testo scientifico, forse non ha esattamente quella carica estetica ed emozionale che inficia altre opere che abbiamo incontrato in questo testo. Eppure lo inseriamo in questa trattazione non solo perché questo caso di studio mostra in modo chiaro la strategia dell’emulazione: workflow, soluzioni tecniche adottate, problemi rilevati, lezioni imparate, ma anche perché sentiamo il suo valore tra gli incerti confini dell’arte nell’era digitale, quando scienza, tecnologia, cultura, storia e arte fanno saltare le loro categorie verso l’indistinto, il valore si identifica con la creazione da parte dell’uomo, che è la definizione più genuina di arte. Cerchiamo di articolare brevemente la spiegazione di questo concetto. Il compito dei musei è selezionare e conservare opere significative per le future generazioni. Questo concetto di museo a cui siamo abituati e al quale non potremmo mai rinunciare, non solo per le nostre abitudini di vita, ma nemmeno teoricamente, rischia di rimanere ancorato, con l’avvento delle tecnologie digitali, alla fase precedente di un paradigma di arte in fase di cambiamento. È sempre difficile stabilire ciò che è arte. Vi è sempre una sfasatura tra l’arte viva dei produttori di idee e oggetti e il sistema (e il mercato) dell’arte in vigore in un certo periodo storico. Di quest’ultimo, d’altronde, non è possibile fare a meno, perché senza di esso e senza artisti riconosciuti, musei e critici d’arte non vi sarebbe né risposta alla domanda di ordine e di chiarezza da parte delle persone fuori da questo sistema, né funzione culturale. Questa sfasatura si fa sentire nella storia quando le innovazioni e le avanguardie premono e le istituzioni ufficiali (che prima erano state frutto di avanguardia) diventano conservatrici nel definire ciò che è arte. In questo scenario tra le centinaia di migliaia di utenti che usano programmi di authoring (Photoshop, 3D Studio Max e molti altri), tra gli sviluppatori di software (grandi ditte multinazionali e singoli sperimentatori), tra i così detti makers (manipolatori di hardware, software e reti) non saranno pochi gli ingegni che hanno creato delle opere d’arte. Molti di coloro che sviluppano gli strumenti di authoring, le piattaforme di condivisione, i computer e i sistemi operativi, per risalire fino ai pionieri della rete e del computer andrebbero ammessi nei luoghi deputati all’arte. Le istituzioni che attualmente decretano ciò che è arte sono ancora molto lontane dal consegnare valore al vivo mondo della creazione digitale. Alcuni nuovi operatori dell’arte digitale si sono ritagliati i loro circuiti di produzione e diffussione, festival, esposizioni e concorsi internazionali che intrattengono un rapporto ambiguo con il sitema ufficiale dell’arte.

Il Flusser Hypertext fa sentire tutta la sua bellezza nel contesto che abbiamo delineato. È un importante ipertesto elettronico sviluppato nel 1992, quando il web muoveva parallelamente i suoi primi passi. Le modalità di implementazione di un sistema integrato per i contenuti testuali, iconici e sonori non erano ancora assestate. Sappiamo che successivamente la navigazione ipertestuale del web sarebbe diventata uno standard incontrastato. Il Flusser Hypertext rappresenta un documento di notevole valore culturale, tecnologico e artistico di una fase ricca di ricerche e di sperimentazioni nel campo della creazione e della fruizione multimediale. Inoltre rappresenta una proposta di presentazione elettronica di testi scientifici. Il contenuto è un discorso del filosofo e teorico dei media ceco Vilém Flusser (1920-1991) pronunciato a una conferenza dell’ITAS nel 1989. Tratta gli stessi argomenti che hanno informato la realizzazione elettronica dell’ipertesto: By building upon his earlier language philosophy and communication theory, Flusser’s media theory of the 1970s and 1980s can be read as an analysis of the coming informatized society, claiming (similar to Marshall McLuhan) the end of writing as the dominant discursive form. According to Flusser, written text and the linear structure of discourses will vanish and soon be replaced by what he called ―synthetic images-: visualizations of concepts that need not be transcoded into letters but can be calculated as computer generated images. La trascrizione del discorso è stata divisa 47 slide principali da seguire sequenzialmente. Vi sono altre 400 slide che da quelle principali si diramano lungo l’ipertesto. Contengono informazioni bibliografiche, immagini, esempi, commenti e annotazioni. Per mezzo di un editor di testo incorporato nel sistema l’utente può aggiungere ulteriori commenti o annotazioni. L’ipertesto cresce su stesso incorporando sviluppi critici, tesi contrapposte, interpretazioni. L’utente può ascoltare il discorso attraverso la registrazione audio. Il sistema passa alla slide successiva una volta terminata la lettura della porzione di testo contenuta in ogni slide.

L’emulatore scelto come ambiente conservativo per il Flusser Hypertext è Basilisk II, che emula il funzionamento dell’hardware originario: un Macintosh Performa 630. Il processo di emulazione è iniziato con la creazione del file/immagine dell’hard disk del computer nel quale è contenuta l’opera oggetto di conservazione. Nell’immagine è contenuto sia il sistema operativo che il software dell’opera stessa. Il file/immagine è stato inserito nel sistema che contiene l’emulatore. Il passo successivo è la configurazione dell’emulatore. Tra le configurazioni, è possibile settare la risoluzione e la profondità dei colori dello schermo, l’uso o meno di acceleratori per la scheda grafica, la quantità di memoria RAM e di quella di massa, il tipo di processore. La preparazione dell’immagine è stata la fase più delicata, foriera di problemi tecnici e dispendiosa in termini di tempo. Richiede un’accurata analisi dell’ambiente in cui vive il software d’arte. Driver, file e interfacce del sistema obsoleto possono non essere compresi nell’ambiente dell’emulatore e vanno dunque aggiustati e adattati in questa fase. Funzioni del sistema operativo non previste dall’emulatore vanno disattivate se non connesse con l’opera. Se nel codice vi sono bug o risorse mancanti questa operazione è ancora più complessa. Al momento di avviare il programma all’interno dell’emulatore il sistema ha rilevato incompatibilità, comparivano messaggi di errore e alcune funzionalità non davano risposta, come per l’audio dell’ipertesto. Le soluzioni vanno rintracciate caso per caso. Vanno prese talvolta soluzioni drastiche, da sottoporre alla decisione dei curatori, come è avvenuto nel caso nella modifica del software per risolvere l’appena citato problema audio. È stata una soluzione estrema perché scopo dell’emulazione è la conservazione del codice così come è stato consegnato dell’artista. Confontare l’opera emulata con quella funzionante sul computer originario, in modo da verificarne il corretto funzionamento, è particolarmente importante per le opere di arte digitale e questo confronto va effettuato quando l’hardware obsoleto è ancora in condizioni ottimali.

Concludiamo con l’esposizione presso lo ZKM di Karlsruhe. I curatori hanno mirato a un look and fell simile a quello originario. Il mini computer moderno con l’emulatore al suo interno è stato nascosto sotto la scrivania usata nell’installazione e connesse a esso vi erano periferiche storiche: tastiera e mouse vintage Apple sopra la scrivania, più un paio di casse audio risalenti agli anni Novanta connesse al mini PC con cavi audio standard. “The whole arrangement looked quite authentic; as if it came straight from the 90s”. Di fronte allo spettatore, su un vecchio monitor simile a quello originario (un 15 inch vintage Apple multiscan color display ) la tipica grafica dei software anni ’90. After booting-up the host system, the emulation automatically starts. “The emulator presents the desktop of the vintage Mac system to the user, including an icon in the center for starting the Flusser Hypertext waiting to get double-clicked.

Click! A Crowd-Curated Exhibition – Brooklyn Museum – 1979.

Dubrow Cafeteria. Marcia Bricker Halperin Photography, http://brickerhalperinphotography.blogspot.com/.

Dubrow Cafeteria. Marcia Bricker Halperin Photography, http://brickerhalperinphotography.blogspot.com/.

In questo caso di studio osserviamo la conservazione proliferativa nel web. Si vedrà dopo dieci anni come vive nella rete un esperimento di crowdsourcing (vedi paragrafo 2.10) del Brooklyn Museum di New York. Si osserverà come un’opera fotografica che è stata protagonista di questo esperimento è conservata naturalmente nel web.

Click! A Crowd-Curated Exhibition , del 2008 al Brooklin Museum di New York, è stata curata da Shelley Bernstein, manager dell’Information Systems del museo, former Vice Director of Digital Engagement & Technology. Nonostante molteplici aspetti dell’esibizione siano stati presi in carico da questa curatrice, la selezione delle opere fotografiche oggetto di questa mostra è stata effettuata dagli utenti attraverso un’applicazione web in cui potevano esprimere una valutazione sulle fotografie partecipanti alla selezione. Dopo aver lanciato una open call per artisti fotografi sul tema Changing Faces of Brooklyn, è stato possibile per chiunque visionare le immagini e compiere questa valutazione. Tra le 389 fotografie partecipanti, il 20% con il maggior numero di voti è stato stampato ed esposto in uno dei vani del Brooklin Museum. I votanti (sono stati 3344) dovevano indicare la loro provenienza geografica e il loro grado di conoscenza dell’arte. Sono particolarmente interessanti alcune funzionalità dell’applicazione web per votare: 1) L’URL della pagina è stata disabilitata per inibire gli artisti dall’inviare ad amici e conoscenti il link e raccogliere voti in questo modo. 2) L’utente che si approccia alle quasi 400 fotografie per valutarle si trova a visionarle in ordine casuale a ogni refresh della pagina ed è costretto a scorrerle una per volta con il tasto next, senza una visione d’insieme di tutte le foto; così viene reso difficile votare per una foto su indicazione di qualcuno. 3) Nella fase di valutazione le fotografie compaiono accompagnate dal titolo e dall’artist steatment senza il nome dell’autore. 4) I commenti erano abilitati, ma oscurati a tutti gli altri utenti fino alla fine della fase di valutazione. Queste limitazioni sono state inserite dagli organizzatori per minimizzare l’influenza e le opinioni della massa o dei singoli, per creare un giudizio indipendente e diversificato. Si è voluto verificare il presupposto che un gruppo molto largo ed eterogeneo possa compiere una selezione artistica più giusta rispetto a quella compiuta da un singolo o da un gruppo ristretto di professionisti del settore. Per fare interessare il publico non esperto gli organizzatori hanno pubblicizzato l’evento in caffè, librerie, siti di photosharing, come Flickr . La piattaforma di voto ha permesso di creare statistiche, come la distribuzione dei voti per grado di conoscenza dell’arte. Si può verificare se esperti e non esperti abbiano valutato positivamente le stesse opere o al contrario i giudizi differissero. Ebbene, le valutazioni dei diversi gruppi di utenti hanno mostrato poche differenze.

Per quanto riguarda la conservazione, la prima scoperta è stata che il sito/applicazione web della mostra Click! è off-line. Nonostante ciò il blog del Brooklyn museum permette di ricostruire, post dopo post, una cronaca di tutte le fasi dell’evento. Il blog presenta molti link rotti verso quel sito, ma anche interessanti collegamenti a blog di artisti e collettivi di artisti. Uno dei post ci ha consegnato uno screenshot dell’interfaccia di voto. Si è poi scoperto che la Way back machine dell’Internet Archive ha conservato e registrato il sito/applicazione web di questo evento artistico. In esso abbiamo potuto vedere: tutte le fotografie partecipanti, le 76 più votate, l’elenco degli artisti partecipanti, strumenti dell’applicazione per comparare le foto più votate. Sulla way back machine è presente la versione del sito della mostra con la open call ancora in corso, poi a un’altra data con con lo strumento attivo per la votazione e a un’altra ancora dopo la pubblicazione delle foto vincitrici. Nella versione in cui nel 2008 si poteva votare la navigazione è oggi inibita oltre la pagina di benvenuto, in quanto bisognerebbe inserire username e password. Questo è uno dei limiti che presenta la piattaforma dell’Internet archive.

Si è compiuto una ricerca nella collezione del museo dal sito attualmente online e si è reperito: informazioni sulla mostra (date, sinossi e altro) e cinque immagini dell’esibizione avvenuta nelle sale del Brooklyn Museum. Nessuna traccia su questa piattaforma delle fotografie vincitrici. Aggiungiamo che il museo ha creato una API per sviluppatori web, i quali possono estrarre immagini e informazioni e inserire i dati (in formato JSON) raccolti nella propria applicazione. È una carta bianca per esposizioni online non curate dal museo.

Come ulteriore esperimento si è cercato in quante istanze compaia sul web la fotografia Dubrow’s Cafeteria di Marcia Bricker Halperin, a distanza di dieci anni da quando è risulata la più apprezzata secondo la valutazione estetica collettiva attuata al Brooklyn Museum. Dubrow’s Cafeteria è lo scatto di un artista che ha avuto una certa risonanza nella città di New York dopo aver immortalato alcune caffetterie alla fine degli anni ’70. La ricerca è stata condotta sui motori di ricerca generalistici del web e i più famosi siti di photosharing. ll numero delle istanze conservate di questa foto è 22, comprendendo quella sul blog del Brooklyn Museum e quella sull’Internet Archive. Tre di queste istanze appartengono a una istituzione importante, il New York Times. Tre sono su social network (Facebook, Pinterest, Tumblr) . Due in siti di raccolta e diffusione di opere artistiche di larga diffusione (Mashable e Art Stack ). Una è presente su blurb.com. Le altre istanze sono conservate in blog e siti con una risonanza pubblica minore, tra cui il blog dell’autrice.

La proliferazione di una fotografia della famosa artista-fotografa americana Nan Golding del 1980 ci porta alle conclusioni di questo piccolo esperimento. Abbiamo cercato The hug New York City con gli stessi criteri di Dubrow’s Cafeteria. La foto è stata esposta recentemente al Moma di New York e alla Triennale di Milano. Una miriade di blog e di siti web hanno pubblicizzato questi eventi e l’hanno pubblicata come foto-copertina. Molti siti ne vendono la stampa. È presente su Wikipedia ed è entrata in collezione permanente al Moma.

Il web rappresenta il mondo in sedicesimo e asseconda le scelte delle istituzioni internazionali del sistema dell’arte. La rete si occupa naturalmente di conservare nei suoi server sparsi per il mondo The hug di Nan Goldin, ma ha anche ritagliato un piccolo spazio per Dubrow’s Cafeteria. Se i musei in futuro fallissero nella loro missione, possiamo sperare di attingere dal web istanze o tracce del patrimonio artistico digitale. La rete è uno dei campi in cui si svolge la competizione dell’accesso alla memoria collettiva.

Il web è fatto di server, che conservano dati nella memoria di massa e li mettono a disposizione di altri nodi. Il web è anche un mastodontico diffuso supporto di memoria. Condivide alcune caratteristiche degli archivi e dei musei, ad esempio standard per reperire le informazioni e la cura di esse da parte di ogni nodo della rete.

Ringraziamenti

Si ringrazia la Professoressa Lucilla Saccà, docente di Storia dell’Arte Contemporanea dell’Università degli Studi di Firenze, Dipartimento S.A.G.A.S e Centro Studi Jorge Eielson e referente della presentazione espositiva negli spazi della Biblioteca Umanistica, che ha letto e commentato il testo, dando preziosi suggerimenti.

Opere d’arte, tecnologie, piattaforme software citate

Sitografia

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Ultimo accesso URLs: 28/10/2018

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Sul tema dell’attuale fragilità della memoria nel settore dell’arte: .

.

.

La realtà aumentata permette di sovrapporre contenuti digitali (figure 2D o 3D, statiche o in movimento, testi, foto, video) a oggetti reali. Due sono i modi per ottenerla: 1) Per mezzo di un dispositivo mobile, in questo caso sia gli oggetti aumentati sia l’ambiente che li circonda sono filtrati attraverso la fotocamera e lo schermo del device. Sul monitor compaiono sia gli oggetti creati digitalmente che quelli reali, i quali interagiscono tra loro assecondando i movimenti e il punto di vista dell’utente, grazie alla tecnologia del GPS e la velocità con cui il computer calcola e ricrea a ogni frame l’immagine sullo schermo. 2) Per mezzo di un videoproiettore (projection mapping o videomapping), l’utente non ha bisogno di alcun apparecchio per osservare l’ambiente (che può essere ampio) e le immagini digitali che si animano all’interno di esso, in questo caso il punto di vista della scena è unico. Vedi ; ; .

Testi recenti con un approccio introduttivo e di presentazione delle strategie di conservazione dell’arte digitale: ; ; ; ; ; ; ; . Sulle singole strategie si vedano i riferimenti bibliografici lungo il testo. Una sintetica storia degli studi sulla conservazione dell’arte digitale deve partire dal momento in cui alcuni grandi musei iniziano a prendere coscienza dei rischi che corrono le opere digitali nelle loro collezioni. Nel 1999 viene lanciata la Variable Media Initiative, promossa dal Guggenheim Museum, vedi “The Variable Media Initiative – Guggenheim,” https://www.guggenheim.org/conservation/the-variable-media-initiative, dove sono poste le basi di un approccio conservativo che privilegia il contenuto o concetto artistisco e significativo rispetto alla forma esteriore e materiale dell’opera, che può variare in occasione di ogni reinstallazione e reinterpretazione (vedi paragrafo 2.3). Nel 2005 il MOMA di New York, il San Francisco MOMA e la TATE di Londra propongono le Guidelines for the care of media artworks, vedi Matters in Media Art, http://mattersinmediaart.org. La ricerca sulle tecnologie digitali in campo artistico e la ricerca accademica si sono concentrate principalmente sull’emulazione (paragrafo 2.9), sin dalla metà degli anni ’90, quando le opere che si appoggiavano a internet iniziavano a diventare obsolete dopo pochi mesi dalla creazione. Importanti contributi sono venuti da università e centri di ricerca tedeschi. Nella bibliografia del paragrafo 2.9 sono citati alcuni articoli che a loro volta segnalano riferimenti alla storia degli studi sull’emulazione.

Sull’individuazione e sulla comprensione delle proprietà significative come principale elemento da conservare insiste tutta la letteratura sull’argomento. Vedi nota precedente.

Si è consultato: ; ; . Vedi anche . Il caso di studio 3.1 è dedicato alle pratiche di conservazione dell’hardware funzionante alla Tate di Londra.

Per questo paragrafo sull’approccio materiale alla conservazione: ; ; ; ; .

In questo paragrafo introduciamo un tipo di ricostruzione che considera la variabilità nel tempo dell’hardware e del software come principio guida. Testi e risorse recenti che affrontano questo approccio: ; .

In Fino-Radin , che riprende teorie del filosofo Nelson Goodman e di Pip Laurenson, ricercatrice alla Tate di Londra che ha proposto di redefinire i concetti di autenticità, cambiamento e perdita.

Sullo storage il testo principale tra quelli consultati è Fino-Radin, nel quale l’autore illustra le pratiche di storage al MOMA di New York. Ben Fino-Radin è conservatore indipendente e divulgatore (Ben Fino-Radin, http://benfinoradin.info; Small Data Industries, http://smalldata.industries). Si veda uno dei suoi contributi rivolto a soggetti in cerca di aggiornamento: . Informazioni dettagliate sullo storage anche in Sustaining Media Art, http://mattersinmediaart.org/sustaining-your-collection.html.

Vedi Archivematica: open-source digital preservation system, https://www.archivematica.org/en/.

“Bit curator,” https://bitcurator.net/; GitHub - finoradin/pre-ingest: A utility for copying files, bagging, and validating bagged files against original, https://github.com/finoradin/pre-ingest; GitHub - WeAreAVP/fixity. https://github.com/WeAreAVP/fixity.

Vedi sulla migrazione ; ; . Sulla conservazione digitale, della quale la conservazione di arte digitale è un sottoinsieme, la bibliografia è molto ampia. Si è consultato una pubblicazione recente su un’autorevole rivista online (D-Lib Magazine of Digital Library Research and Development): . Sui metadati vedi ; ; Per una ontologia, un modello di dati condiviso su cui basare il workflow di conservazione: .

, 58.

OAIS (Open Archival Information System) è il modello di riferimento in grado di fornire concetti fondamentali per la conservazione digitale e definizioni essenziali finalizzate a dare stabilità e coerenza anche terminologica alla funzione conservativa di oggetti digitali di qualunque natura. È oggi considerato lo standard de facto per lo sviluppo di archivi e depositi digitali, soprattutto perché il modello non fa riferimento ad un’architettura specifica, ma si limita a definire le funzionalità richieste, che le implementazioni effettive possono raggruppare o suddividere in modi diversi. OAIS Reference Model | Conservazione Digitale, http://www.conservazionedigitale.org/wp/approfondimenti/depositi-di-conservazione/oais-reference-model/, sito curato dall’Università La Sapienza di Roma e dal CINI (Consorzio Interuniversitario Italiano per l’Informatica).

Vedi per esempio la Variable Media Initiative, promossa dal Guggenheim Museum, nel sito web “The Variable Media Initiative – Guggenheim”. Sulla stessa linea Rinehart and Ippolito, Re-collection Art.

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Sulla reinterpretazione: ; ; ; ; vedi anche , dove c’è un caso di studio del MOMA di New York: Ivi, 530; vedi Magnavox Odyssey - First Home Video Game – 1973, https://www.youtube.com/watch?v=H2EIsnr_cv4 e per il design moderno: .

Sulla documentazione vedi ; , 31; , 273; Alain Depocas, Documenting and Conserving Technological Art: The Evolution of Approaches and Methods, in Preservation of Digital Art, ed. Serexhe; “Variable Media Questionnaire: documentation,” http://variablemediaquestionnaire.net/; Documentation and Conservation of the Media Arts Heritage research alliance, DOCAM, http://www.docam.ca/.

It was our hypothesis that once the behavior of software-based art is understood by combining a standard software engineering approach with considerations specific to artist and museum needs, conservators and programmers will be better prepared to address changes in the operating environment. , 440.

Per il web archiving: . NYARC è composto da: Brooklyn Museum, Frick Collection, MOMA di New York. Vedi anche .

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Rizhome, http://rhizome.org/.

Ad esempio il sito di Ricardo Cabello, che sperimenta applicazioni del 3D sul web: Mr. Dobb, https://mrdoob.com/; Voxels liquid, https://mrdoob.com/#/137/voxels_liquid. Per oggetti 3D manipolabili e ambienti 3D navigabili sul web (realtà virtuale) vedi anche: Web3D Consortium | Open Standards for Real-Time 3D Communication, http://www.web3d.org/.

Vedi Processing.js exhibitions, http://processingjs.org/exhibition/; p5.js | home, https://p5js.org/; toxiclibs, http://toxiclibs.org/; un esempio tra i tanti Poly Smooth - Toxiclibs.js, http://haptic-data.com/toxiclibsjs/examples/poly-smooth-p5 fa vedere un nuovo paradigma dell’arte fatto di strumenti interattivi per creazioni artistiche a un livello diverso. Processing JS e p5.js sono nel framework Processing, non esclusivo per il web Exhibition Archives \ Processing.org, https://processing.org/exhibition/.

Browse Popular 24 Hours | DeviantArt, https://www.deviantart.com/.

Vimeo | We’ve got a thing for video, https://vimeo.com/.

Sulla virtualizzazione: ; ; ; ; , 529. Il caso di studio 3.8 è dedicato alle pratiche di conservazione del software alla Tate di Londra.

La bibliografia sull’emulazione in campo artistico è ampia. Una introduzione in , 530. Un caso di studio dettagliato su CD Rom artistici: ; informazioni tecniche ed un elenco di emulatori in Ivi, Appendix A2. Per un approccio teorico: ; . Casi di studio in: ; , con storia degli studi sull’emulazione; , con storia degli studi sull’emulazione; .

; .

.

Vedi la bibliografia alla nota di introduzione a questo paragrafo. Nel decennio scorso più comune era la migrazione (paragrafo 2.5). , section 1 Introduction.

In questo paragrafo seguiamo le argomentazioni di Jon Ippolito .

Arduino è una una carta microcontroller 8 x 5,5 x 2,5 cm con funzioni di interfaccia tra software scritto dall’utente e piccoli componenti hardware acquistabili per pochi euro come sensori e minimotori elettrici con cui assemblare dispositivi complessi. Arduino, https://www.arduino.cc/.

Sul Crowdsourcing: ; .

Seguiremo un esempio di crowdsourcing e di co-curation nel caso di studio 3.10.

Ivi, 140.

Per questo esempio: , 86-87; 'Diab DS-101 Computer', Richard Hamilton, 1985-9 | Tate, http://www.tate.org.uk/art/artworks/hamilton-diab-ds-101-computer-t07124. L’opera in oggetto è conservata presso la Tate di Londra. Tratteremo questo museo come caso di studio sulle pratiche di conservazione di arte digitale di una istituzione museale di livello internazionale. Nel caso di studio 3.1 (il presente) guarderemo la conservazione dell’hardware e le operazioni di ingresso delle opere alla Tate. Si è consultato su questi argomenti ; ; . Nel caso di studio 3.8, dedicato all’opera alla Tate Brutalism dell'artista Martinat Mendoza, la trattazione seguirà con le pratiche di conservazione nel lungo periodo e in particolare del software alla Tate.

. La Collection Care Research lavora in stretta collaborazione com la Collection Care Division. Quest’ultima è divisa in cinque sezioni: Dipinti e cornici, sculture, opere su carta e fotografie, time-based media e conservation science.

Ivi, 286. Per il problema dell’esposizione di installazioni artistiche con le apparecchiature originali nel lungo periodo vedi anche .

, 287.

, 234.

Vedi il sito web Matters in media arts.

, 234, nota 35

.

La collection of time-based media art conserva 350 opere that use video, film, audio, 35 mm slide and computer-based technologies. Citazione da Time Based Media | Tate, https://www.tate.org.uk/about-us/conservation/time-based-media. Vedi , 282. Tra queste ci sono otto opere d’arte digitale (nel 2014): , 85. La Media art (a volte detta New media art) comprende un vasto range di media accomunati dal possedere una qualche componente tecnologica complessa (ad esempio l’elettricità). Le riflessioni sulla media art risalgono al saggio di Walter Benjamin L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica del 1936. Per la conservazione della media art: Hediger et al., Preserving and Exhibiting Media Art. I cambiamenti nel concetto di conservazione nel reame della media art in con nozioni e bibliografia sulla conservazione delle opere d’arte contemporanea.

, 282. , 85.

, 286.

87.

Ibidem.

Ibidem. Con un monitor collegato è stato mostrato al pubblico più volte, tra cui la retrospettiva dell’artista inglese alla Tate (1992). Sullo schermo vi erano informazioni sul computer stesso, accessibili dall’utente tramite un menu. Ibidem.

, 86.

Ibidem

Vedi la prefazione di e .

Vedi . In 1979 Hamilton created Lux 50 – functioning prototype, a high-fidelity amplifier in the form of an image of a ‘hi-fi’ painted onto a very thin amplifier, in collaboration with the Japanese electronics manufacturer Lux. (…) He was an early adopter of the Quantel Paintbox programme, which was also used by the British artist David Hockney, and later in his career Hamilton used Adobe Photoshop in his work. 'Diab DS-101 Computer', Richard Hamilton, 1985-9 | Tate. Il Quantel Paintbox è un computer per la composizione di video e grafica per la televisione. Quantel Paintbox Demo 1990, https://www.youtube.com/watch?v=BwO4LP0wLbY.

Il presente caso di studio è tratto da . Vedi anche . Videoripresa dell’animazione ricostruita: Eduardo Kac, ‘Reabracadabra’ (1985) on Vimeo, https://vimeo.com/189945892. Eduardo Kac (1962), artista brasiliano-statunitense, è noto in ambito internazionale per le sue ricerche artistiche nel campo della genetica, della robotica e della commistione in un corpo vivente di biologico e artificiale. KAC, http://www.ekac.org/.

, 114.

Vedi il sito web Arduino.

, 118.

Per questo caso di studio: , 17. Il progetto di ricostruzione di DISP è stato condotto dal LIMA, centro internazionale di ricerca, di conservazione (offre servizi alle imprese) e di distribuzione (prestito e fruizione) di opere d’arte digitale di base ad Amsterdam nei Paesi Bassi. LIMA, https://www.li-ma.nl/site/. Peter Struycken (1939), artista olandese, è stato pioniere della software art e della grafica compiuterizzata. Peter Struycken, http://www.pstruycken.nl/. Video dimostrazione di DISP: Digital art - Who Cares?, https://www.youtube.com/watch?v=Kf1umv-5JfA (vai al min. 3’08”). Un altro esempio delle origini della software art è SHIFT 34 dello stesso autore. Vedi Ibidem, al min. 8’20”; per alcuni stills dell’opera: ). Un altro esempio delle origini della software art è SHIFT 34 dello stesso autore. Vedi Ibidem, al min. 8’20”; per alcuni stills dell’opera: ; per alcuni stills dell’opera: “SHFT-34 (1982-2007) - Peter Struycken | www.li-ma.nl,” http://www.li-ma.nl/site/article/shft-34-1982-2007-peter-struycken. Per la conservazione nel lungo periodo di SHFT-34 vedi Ibidem e .

I colori analoghi sono posti l’uno accanto all’altro nel cerchio cromatico della Teoria del colore e dunque il passaggio da un colore qualsiasi all’analogo risulterebbe armonico all’occhio umano.

,17.

Ivi, 18.

Wassily Kandinsky all’inizio del secolo XX ha teorizzato e indagato con le sue opere la corrispondeza tra poesia grafica e poesia musicale.

Pip Laurenson ha per prima reso evidente che sia la musica che le arti digitali sono arti che si sviluppano nel tempo e afferiscono a un campo comune di problemi per quanto riguarda la conservazione. , 2.

Ibidem

Sul complesso rapporto tra cinema e televisione: TELEVISIONE in ‘Enciclopedia del Cinema’, http://www.treccani.it/enciclopedia/televisione_%28Enciclopedia-del-Cinema%29/.

L’esempio proposto è la realtà italiana di Careof. Le informazioni di questo paragrafo sono state raccolte da una conversazione con il conservatore responsabile di questa istituzione Mario Gorni. Vedi Careof, https://www.careof.org/.

Ibidem.

Archiviare, conservare e diffondere i materiali d’arte contemporanea è fra le vocazioni principali di Careof fin dalla sua costituzione. Il patrimonio raccolto – composto da fotografie, video d’artista, video documentazioni, cataloghi, riviste specializzate – rappresenta una memoria importante per comprendere l’evoluzione della ricerca artistica contemporanea degli ultimi 40 anni, in particolare di quella italiana. Performare l'archivio è l’attitudine che Careof ha scelto di perseguire, al fine di riattivare una riflessione che non solo contempli la memoria storica, ma le permetta di rivivere, attualizzarsi, arricchirsi e ampliarsi. Careof | Archivio, https://www.careof.org/about/archivio-storico.

Per questo esempio: . Installazione d’arte interattiva creata da un gruppo di ricerca afferente al Computer Vision Laboratory: “Computer Vision Laboratory,” https://fri.uni-lj.si/en/laboratory/lrv e al Video and New Media Department of the Academy of Fine Arts, entrambi dell’Università di Lubiana, Slovenia. La conservazione dell’installazione è a cura degli autori. Vedi anche . Ripresa video in: 15 seconds of fame, interactive art installation, https://www.youtube.com/watch?v=DPrgM0qMgiY&feature=youtu.be&list=PLHGd9WmePQ0g7H9fPM3iZ6J_Nep2Bm2lH%2C. L’opera è stata esposta a: Maribor, 9th International Festival of Computer Arts, 2003; Lubiana, mostra personale alla SVC gallery, 2004; New York, ACM Multimedia conference, 2004; Ljubljana, ZDSLU gallery, 2014. Un’altra installazione interattiva studiata come caso di studio sulla migrazione è Liquid perceptron ( , 279; ) di Hans Diebner, un’altra figura di artista e scienziato. Già negli anni ’60 del Novecento collettivi come il Gruppo 0 di Düsseldorf (Germania) Gruppo Zero - EduEDA - The EDUcational Encyclopedia of Digital Arts, http://www.edueda.net/index.php?title=Gruppo_Zero o il Gruppo T di Milano Gruppo T - EduEDA - The EDUcational Encyclopedia of Digital Arts, http://www.edueda.net/index.php?title=Gruppo_T, avevano rifiutato l’autorialità, il genio e il sentimento, per un’arte che si sposasse con la tecnologia, la scienza, la freddezza dei circuiti e degli algoritmi. Si guardi il curriculum di Franc Solina Homepage of Franc Solina, http://lrv.fri.uni-lj.si/~franc/, responsabile del gruppo di ricerca che ha creato 15 seconds of fame, i suoi interessi scientifici e informatici (è Professor of Computer and Information Science) si mescolano con quelli dell’arte e delle materie umanistiche, passando per il 3D, il patrimonio culturale, la musica, e gli studi sulle Human computer interface.

, 217.

Con l’editor Lens studio gli utenti stessi possono creare l’animazione o l’immagine 2D o 3D da applicare sul proprio corpo: Lens Studio - Lens Studio by Snap Inc., https://lensstudio.snapchat.com/lenses/. Nonostante l’assenza di un messaggio o di un metodo di lavoro in linea con gli standard attuali dell’arte, Snapchat è un esempio che fa riflettere sulla creatività di programmatori, disegnatori, sviluppatori 2D/3D e degli utenti nel contesto della conservazione di arte digitale.

Raspberry Pi è una computer dimensioni 65 × 30 × 5 mm. Molte caratteristiche lo accomunano al microcontroller Arduino. A differenza di questo Raspberry possiede CPU, RAM e tutto quello che si può aspettare da un computer. Raspberry Pi — Teach, Learn, and Make with Raspberry Pi, https://www.raspberrypi.org/.

Il presente caso di studio è tratto da , 420. Videoripresa dell’installazione: ZKM Michael Naimark: The Karlsruhe Moviemap (1991/2009), https://zkm.de/en/media/video/michael-naimark-the-karlsruhe-moviemap-1991-2009. Michael Naimark (1952) è artista, inventore e ricercatore statunitense. Michael Naimark Home Page, http://www.naimark.net/index.html. Pioniere di esperienze artistiche in molti campi del digitale, come la realtà virtuale e la projection mapping. Uno dei suoi contributi in quest’ultimo campo del 1980: Displacement, https://www.youtube.com/watch?v=bMDr_CFFgWE. Nel sito web del ZKM è presente la descrizione delle opere d’arte digitale presenti nella collezione di questa istituzione: The Karlsruhe Moviemap | ZKM, https://zkm.de/en/artwork/the-karlsruhe-moviemap; The Karlsruhe Moviemap 09 | ZKM, https://zkm.de/en/artwork/the-karlsruhe-moviemap-09. La stessa istituzione conserva la celebre installazione interattiva: Jeffrey Shaw: Legible City, Responsive Environment 1988-91, https://www.youtube.com/watch?v=61l7Y4MS4aU. Per la conservazione di The legible city: , 489.

.

Aspen Moviemap, http://www.naimark.net/projects/aspen.html.

Molkenmarkt - Google Maps, https://www.google.it/maps/@52.5161249,13.4102818,3a,75y,81.93h,85.73t/data=!3m6!1e1!3m4!1sJrH9OLuijiOKTe7eDM8s-A!2e0!7i13312!8i6656. Michael Naimark conosce bene queste tecnologie in quanto è stato coinvolto in progetti con Google street view. , 440.

Per Arduino vedi il paragrafo 2.10 e il sito web Arduino.

, 423.

Ivi, 432.

Ivi, 424.

Ivi, 437.

, 438.

, 440.

Ibidem.

Trattazione dell’opera in . Conor Mc Garrigle è un artista digitale irlandese, lettore e ricercatore presso la Dublin School of Creative Arts. “Conor McGarrigle : Artist,” http://www.conormcgarrigle.com/. Per l’opera in oggetto: Conor McGarrigle: Spook..., http://www.conormcgarrigle.com/spook.html. Naviga Spook...: Surveillance Control console, http://www.stunned.org/spook/console.htm. Di questo artista digitale riportiamo altre due opere: 24h Social (vedi il sito web con dimostrazione dell’opera in azione su YouTube: Conor McGarrigle: 24h Social, http://www.conormcgarrigle.com/24hsocial.html la cui conservazione per il lungo periodo è trattata in 177. 24h Social mostra simultaneamente, accumulandosi sullo schermo, video catturati da Vine, la piattaforma di condivisione di video di soli sei secondi di Twitter (la cattura dei video è avvenuta grazie all’interfaccia – API - che permette agli sviluppatori di raccogliere dati dal social network e usarli in altre applicazioni). Vine ha chiuso i battenti nel gennaio 2017 e conserva i video degli utenti in archived state Vine, https://vine.co/. La società che cambia, un nuovo paradigma, osservare l’estetica della partecipazione (che l’arte di alto livello propaganda da più sessant’anni), sono queste le sensazioni che chi scrive ha provato di fronte a Vine.co. HALL OF FAME VINES (RIP Vine), https://www.youtube.com/watch?v=TYgd6e4GFnU&t=2s. Nel sito originale i video andavano fruiti in loop, creando una ricezione leggermente diversa; NAMAland: opera di realtà aumentata che si snoda tra le vie della città di Dublino alla ricerca di emergenze architettoniche acquisite e poi abbandonate da istituti bancari. Vedi ; vedi anche Conor McGarrigle: NAMAland, http://www.conormcgarrigle.com/namaland.html.

,169.

, 256.

Anche i motori di ricerca usano questo tipo di programmi per catturare dati da inserire nei loro database. Lo stesso abbiamo visto avviene per le piattaforme di Web archiving (paragrafo 2.7).

, 166.

Si pensi per esempio al sogno che animava molte comunità online degli anni ’90 di un web democratico, open source, espressione della creatività personale.

Ivi, 177.

Ivi, 176-177.

Fluxus - EduEDA - The EDUcational Encyclopedia of Digital Arts, http://www.edueda.net/index.php?title=Fluxus.

Su Joseph Beuys e 7000 quercie: Beuys Joseph - EduEDA - The EDUcational Encyclopedia of Digital Arts, http://www.edueda.net/index.php?title=Beuys_Joseph.

Il caso di studio è tratto da , 85, 88. Vedi anche , 12-15. Vedi 'Brutalism: Stereo Reality Environment 3', Jose Carlos Martinat – Tate, http://www.tate.org.uk/art/artworks/martinat-mendoza-brutalism-stereo-reality-environment-3-t13251. J. C. Martinat Mendoza (1974) è un artista peruviano. Attraverso sculture e grandi installazioni indaga i rapporti tra la politica, la società e l’arte. Brutalism in azione: Brutalism: Stereo Reality Environment 2007 - Jose Carlos Martinat, https://www.youtube.com/watch?v=tlRxc7iH1tc. Continuiamo qui il caso di studio sulle pratiche di conservazione alla Tate, che abbiamo diviso tra il caso di studio 3.1, dedicato alla conservazione dell’hardware e il presente, dedicato alla conservazione del software. Per quanto segue sulla conservazione nel lungo periodo del software alla Tate: ; ; ; ; ; .

. L’altro caso di studio è Becoming, di M. Craig‐Martin, ‘Becoming’, Michael Craig-Martin, 2003 | Tate, https://www.tate.org.uk/art/artworks/craig-martin-becoming-t11812. Becoming.mov on Vimeo, https://vimeo.com/114122231. Per la conservazione di Becoming, vedi: , 8-12 e , 85, 87.

Ivi, 84.

.

88.

Ibidem (traduzione mia).

, 15.

Questo era il problema di Spook… nel caso di studio 3.7.

Rather than the days of having dedicated rack servers, today with only one rack appliance, a sysadmin can host numeros virtual servers, all with different purposes and software environments. This can be incredibly useful for the long term preservation and access to artwork that are web-based, and require very specific server environments, as virtualization removes a device specific dependency that is not teneable over the long term. , 530.

, 88.

Ivi, 88-89.

, 21.

Ibidem.

Ibidem. Una lista di strumenti per la creazione dell’immagine e per l'analisi dei sistemi hardware/software: Ivi, 43-47.

, 9. Sulle dipendenze vedi anche .

, 123-126; , 17. , 5-6.

, 19.

Caso di studio tratto da . L’ITAS è l’Institute for Technology Assessment and Systems Analysis del Karlsruhe Nuclear Research Center, che è oggi parte del Karlsruhe Institute of Technology. KIT - ITAS, https://www.itas.kit.edu/english. Si può navigare il Flusser Hypertext sul web grazie alla piattaforma BwFLA (vedi paragrafo 2.9): The Digital Heritage of Vilèm Flusser -- bwFLA: Emulation as a Service, http://eaas.uni-freiburg.de/demo-flusser.html.

Seguiamo . Il mondo (le cose) segue un ritmo diverso rispetto alle categorie create dall’uomo per descriverlo (le parole).

Per gli strumenti di authoring, ovvero i programmi informatici che servono a creare contenuti vedi . L’autore tratta in dettaglio due ambiti del digitale per presentare la sua analisi del mondo del software, che tocca anche i temi dell’arte: la grafica in movimento e gli effetti speciali per il cinema.

Tra i più famosi ricordiamo lo ZKM- Centre for Art and Media di Karlsruhe ZKM, https://zkm.de/en; Transmediale a Berlino art&digitalculture | transmediale, https://transmediale.de/; Ars Electronica a Linz, Ars Electronica, https://ars.electronica.art/news/en/.

In questo contesto è importante ricordare Ted Nelson (1937), quasi misconosciuto pioniere dell’ipertesto, che ha elaborato una proposta di rete diversa da quella creata dai link del web, Project Xanadu, http://www.xanadu.net/. Per una storia dell’ipertesto vedi . L’autrice argomenta che attribuire a Tim Berners-Lee l’invenzione del web, come se la Rete fosse nata da una sua intuizione di genio, vuol dire non riconoscere i debiti di questi verso Ted Nelson e la sua nozione di ipertesto, che risale al 1960.

, 150.

ZKM, https://zkm.de/en/introduction-to-the-exhibtion.

Per collegarli al mini PC è servito un adattatore da Apple Desktop Bus (ADB) a USB, ancora nel mercato. , 153.

Ibidem.

Ibidem.

Ivi, 154. In una installazione e caso di studio simile è stata presentata attraverso EmiL (vedi paragrafo 2.9) My Boyfriend Came Back From The War del 1996 di Olia Lialina. Lialina Olia - EduEDA - The EDUcational Encyclopedia of Digital Arts, http://www.edueda.net/index.php?title=Lialina_Olia. Vedi War, http://www.teleportacia.org/war/wara.htm per navigare dal proprio computer questa opera del 1996. Questa artista russa è tra le rappresentanti storiche della net art, l’arte che nasce con la rete e sfrutta le sue possibilità tecnologiche come espressione artistica, attraversa temi come l’interazione utente, i rapporti di potere che si creano per mezzo della tecnologia, internet come mezzo di comunicazione e di diffusione di nuove espressioni artistiche.

L’iniziativa del Brooklyn Museum (Brooklyn Museum, https://www.brooklynmuseum.org/) oggetto di questo caso di studio è citata in Ippolito, Trusting Amateurs with Our Future, 544. L’evento (Brooklyn Museum: Click! A Crowd-Curated Exhibition, https://www.brooklynmuseum.org/exhibitions/click/) è trattato in dettaglio in , , , 28.

Vedi Brooklyn Museum: Click! A Crowd-Curated Exhibition.

Ibidem.

.

Trova la tua ispirazione | Flickr, https://www.flickr.com/. Oggi lo standard per la pubblicazione online di fotografie è Instagram, https://www.instagram.com/?hl=en.

Non è raro nel panorama artistico contemporaneo che i curatori di esposizioni artistiche riescano a inserire in esse un valore aggiunto che, parafrasando una frase della linguista Maria Corti (Principi della comunicazione letteraria, 1976), non è assolutamente la somma dei valori parziali delle opere d’arte che partecipano all’esposizione. La nuova figura del critico-curatore, cfr. , si comporta da artista e la mostra come un’opera d’arte. L’operazione del Brooklyn Museum mostra certe affinità con opere di net art, l’arte che vive nelle reti e ha come oggetto la società che vi è dietro. Secondo chi scrive, a questa mostra è attribuibile un valore artistico.

click - BKM TECH, https://www.brooklynmuseum.org/community/blogosphere/tag/click/

Minimizing Influence - BKM TECH, https://www.brooklynmuseum.org/community/blogosphere/2008/03/31/minimizing-influence/

Brooklyn Museum: Exhibitions: Click! A Crowd-Curated Exhibition: What's in the Gallery, https://web.archive.org/web/20080630223740/http://www.brooklynmuseum.org:80/exhibitions/click/gallery.php

Il successo di Facebook Facebook, https://www.facebook.com/ nasce dal fatto che si può interagire con persone di cui si ha preliminarmente delle informazioni date dai contatti della loro rete. I contenuti inviati su Facebook sono visibili unicamente alla rete delle proprie conoscenze. Scopo di Pinterest è invece la condivisione pubblica di foto e immagini per offrire e trovare ispirazione. Pinterest, https://www.pinterest.it/. Tumblr è un servizio di microblogging. Se il blog classico è composto da post principalmente testuali (e di solito contenenti un pensiero articolato), Tumblr si focalizza su post composti principalmente da contenuti multimediali. Tumblr, https://www.tumblr.com/.

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ArtStack - art online, https://theartstack.com/shop. ArtStack è un sito per la vendita di opera d’arte attraverso la rete.

Servizio web per la stampa in proprio. Create, Print, and Sell Professional-Quality Photo Books | Blurb, http://www.blurb.com.

Marcia Bricker Halperin Photography, http://brickerhalperinphotography.blogspot.com/.

Nan Goldin - Wikipedia, https://en.wikipedia.org/wiki/Nan_Goldin.

In neretto le opere oggetto principale dei casi di studio, per le opere d’arte è riportato l’autore.