DOI: http://doi.org/10.6092/issn.2532-8816/9421

Abstract

Text Genetics in Literary Modernism è il titolo della recente pubblicazione di Hans Walter Gabler, edita per OpenBook Publishers nel 2018, che testimonia, attraverso sedici stimolanti contributi, l’itinerario delle ricerche di un filologo, critico e accademico che ha segnato la storia recente degli studi testuali. Con la sua scrittura chiara e fluente, Gabler si rivolge alla comunità critica, agli editori, agli studenti e agli studiosi di ecdotica e di letteratura (con una particolare attenzione a due autori-chiave del Modernismo: James Joyce e Virginia Woolf) per rispondere a una serie di quesiti teorici e pratici sulla critica genetica, sulla sua applicazione in ambito digitale, sull’analisi compositiva e strutturale di un testo e sulle sue implicazioni metodologiche. Con un’argomentazione che spazia dalla critique génétique alle Digital Humanities, dal design del libro alla stabilizzazione dell’opera in un canone letterario, questo libro si afferma come un importante contributo nell’ambito della disciplina e risponde in maniera innovativa e ambiziosa all’esigenza di consolidare il dialogo tra lo studio dei testi e il mondo digitale.

Text Genetics in Literary Modernism is the title of the recent collection of essays from Hans Walter Gabler, published by OpenBook Publishers in 2018. The book shows, through sixteen stimulating contributions, the research itinerary of a scholar, critic and editor who has had a profound impact on the recent history of textual studies. Written in Gabler’s clear and fluent style, the book is addressed to the community of critics, editors, students and scholars of Editing and Literature (with a focus on two key authors of the Modernism: James Joyce and Virginia Woolf), in order to respond to a series of notional and practical issues on genetic criticism, on its application to the digital environment, on the compositional and structural analysis of a text and on its methodological implications. The arguments range from the critique génétique to the Digital Humanities, from the book design to the cultural canonization of the literary works. This volume ultimately affirms itself as an important contribution in this field of studies and it responds in an innovative and ambitious way to the necessity of strengthen dialogue between the study of texts and the digital word.

Contesto e intenzioni

Dopo aver animato il dibattito all’interno della comunità scientifica sulla legittimità dei principi ecdotici alla base del monumentale allestimento dell’edizione critica e sinottica dello Ulysses di James Joyce (1984) ed essersi dedicato, negli anni ‘90, ad altre importanti edizioni di opere dello stesso autore, Hans Walter Gabler ritorna a riflettere sullo Scholarly Editing con questo libro pubblicato nel 2018 per OpenBook Publishers , che raccoglie l’esperienza degli ultimi vent’anni del suo lavoro critico e filologico. Con l’autorevolezza di chi ha dedicato la propria intera carriera agli studi di critica genetica e testuale (è stato membro della International James Joyce Foundation, della International Shakespeare Association e della Society for Textual Scholarship), Gabler propone qui una selezione di articoli pubblicati tra il 2004 e il 2018 che testimoniano il decorso dei suoi studi recenti. Sin dall’Introduzione, le intenzioni di questo libro si delineano chiaramente: partendo dalle testimonianze materiali degli interventi da parte dell’autore sul testo, Gabler si ripropone di analizzarne gli aspetti relativi alla composizione e alla trasmissione in una prospettiva genetica.

La necessità sottesa alla raccolta è quella di discostarsi da una linea critica diffusa nella tradizione anglo-americana che vedrebbe nella resa delle varianti e della genetica di un testo una distrazione per il lettore e dunque un atto inessenziale, per riaffermarne, invece, il carattere fondamentale. Quello sostenuto da Gabler in Text Genetics in Literary Modernism è un vero e proprio rovesciamento dei rapporti gerarchici tra testo e apparato, per cui l’allestimento di un’edizione si deve misurare anche e soprattutto con la resa dell’apparato: un apparato che restituisca al lettore lo stato, tanto problematico quanto proficuo, del documento. Alla primacy of the text di Tanselle, Gabler oppone dunque una primacy of the document che si fondi non tanto sulla semplice restituzione del testo al lettore, quanto sulla riflessione a partire dalle testimonianze materiali del testo, poste in dialogo tra loro con intento critico e diacronico. Riconoscere questa priorità significa spostare l’attenzione da una prospettiva author-centered a una prospettiva text-centered, che non si declini a partire da una inconfutabile intentio auctoris, ma che consideri il testo nel suo farsi, con tutte le deviazioni rispetto al progetto originario d’autore che questo può comportare.

Il fondamento metodologico di Gabler risente, da una parte, della critica testuale anglo-americana nata a partire dagli studi su Shakespeare e sul Rinascimento, dall’altra della critica testuale tedesca e del lavoro di Hans Zeller e Gunter Martens (Gabler, del resto, per tutta la sua vita ha insegnato alla Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera). Gli sviluppi recenti di entrambe le tradizioni riconoscono, non a caso, nel fallimento dell’ideale dell’ultima volontà dell’autore la possibilità di una nuova legittimità nel ruolo e nella responsabilità dell’editore rispetto agli esiti dell’edizione scientifica. A queste si aggiunge una terza fonte metodologica sostanziale: la critique génétique francese e l’analisi genetica delle tracce compositive di un testo a partire dallo studio del processo di scrittura dell’autore in questione. Text Genetics in Literary Modernism si concentra dunque sulla possibilità - da un punto di vista ecdotico e, soprattutto, in una prospettiva digitale - di concepire la critica del testo come un metodo ermeneutico basato sulle fonti, sulla documentazione esaustiva delle note compositive e sulla loro rappresentazione.

Lo stile, come è proprio della scrittura di Gabler, è uno stile semplice e esplicativo, che senza inerpicarsi in specialismi, pur basandosi su un’ampia letteratura scientifica e su una altrettanto ampia esperienza nello Scholarly Editing, dimostra la propria efficacia a partire da un’impostazione generale chiara e ben definita. Il pubblico di riferimento - dall’editore all’umanista digitale, dal critico al filologo, fino al più giovane e curioso lettore - potrà sicuramente nutrire per questo volume, grazie anche alla continuità tematica che segna il passaggio di capitolo in capitolo, l’interesse di chi vede dipanarsi, caso dopo caso, esempio dopo esempio, autore dopo autore, l’itinerario delle ricerche e le fasi evolutive che documentano lo sviluppo e la maturazione del pensiero di Gabler attorno a una serie di tematiche portanti, dal più recente articolo incluso nella raccolta (Structures of Memory and Orientation: Steering a Course Through Wandering Rocks, del 2018) al meno recente (A Tale of Two Texts: Or, How One Might Edit Virginia Woolf’s To the Lighthouse, del 2004).

Articolazione e contenuti

Il libro è composto da sedici capitoli ricavati da sedici interventi inediti - diversificati per motivazioni e occasione di composizione - elaborati dall’autore nel corso degli ultimi vent’anni. Una lettura più funzionale porta a suddividere la raccolta in quattro macro-sezioni su base tematica: una prima sezione (cap. 1-4) dedicata all’edizione dei testi di James Joyce e, in particolare, alla loro storia compositiva a partire dal binomio tra scrittura e esperienza personale dell’autore; una seconda sezione più teorica (cap. 5-10) dedicata alla Text Genetics, alle pratiche di allestimento di un’edizione scientifica e all’editing digitale; una terza sezione (cap. 11-13) che torna a riflettere sulla storia della trasmissione di un altro grande romanzo del modernismo: To the Lighthouse di Virginia Woolf; infine una quarta sezione, di impostazione più interdisciplinare, che spazia dalla prospettiva genetica applicata allo studio numerologico della musica (cap. 14), al design e all’aspetto visuale di un’edizione (cap. 15), fino allo studio del canone culturale a partire dalle scelte prese in sede ecdotica (cap. 16). Valore aggiunto del volume risiede nel fatto che i saggi di taglio più teorico trovano un corrispettivo diretto nei saggi che invece sono più specificamente monografici, dedicati al caso di studio di un autore o di un testo in particolare, così da facilitare, da parte del pubblico, una lettura ragionata e selettiva.

La prima parte del volume è dedicata alle carte di un autore dal confronto con le quali Gabler ha tratto tanta notorietà quante critiche da parte della comunità scientifica: si tratta, naturalmente, del caso di James Joyce, che torna all’attenzione del suo più discusso editore con il romanzo semi-autobiografico A Portrait of the Artist Young Man. I primi tre capitoli si concentrano infatti sulla storia compositiva di quest’opera, insistendo particolarmente sulla corrispondenza tra esperienza biografica e esigenza narrativa, tra fiction e non-fiction‘He chronicled with patience’» [what he saw], non a caso, è il titolo del secondo capitolo, tratto da una citazione da A Portrait of the Artist Young Man). Al lettore che si aspetti uno studio basato sulla primacy of the document questi primi capitoli potrebbero, inevitabilmente, apparire fuorvianti: Gabler non si limita al rigoroso studio genetico dei testi, ma apre la propria riflessione a una serie di interessi e connessioni interdisciplinari che esulano dal metodo, misurando la propria argomentazione con l’analisi tematica, contestuale e intertestuale dell’opera e con questioni di natura decisamente più teorica riguardanti le nozioni di testo, memoria e esperienza. Solo nel quarto capitolo, ricostruendo le dinamiche compositive dell’episodio Wandering Rocks dello Ulysses, ispirato al mito di Giasone e degli Argonauti, Gabler recupera una prospettiva metodologica aderente a quanto dichiarato nell’Introduzione, dedicandosi alla descrizione dello stato materiale dei testimoni ma, soprattutto, dimostrando come dallo studio delle bozze e delle varianti del testo si possa identificare nella tendenza di Joyce alla segmentazione e alla dispersione una qualità strutturale della scrittura modernista.

La seconda parte del volume è probabilmente la sezione più densa nei contenuti e affronta ampiamente la questione ecdotico-metodologica connessa all’esigenza critica sulla quale si basa l’esperienza di Gabler. Il quinto capitolo - dal titolo già esplicativo: Editing Text - Editing Work - presenta al lettore la distinzione fondamentale tra text e work, testo e opera, l’uno sempre basato sulla materialità della sua trasmissione, l’altra immateriale perché, essenzialmente, riferita a un concetto, a una nozione. Con la chiarezza esplicativa che gli è propria, Gabler descrive la Text Genetics a partire dalla sua applicazione, per cui il testo viene analizzato (e, successivamente, editato) secondo le sue variazioni, corruzioni e revisioni: per questo motivo, l’errore che segna eventualmente la storia della sua trasmissione non viene individuato come un ostacolo alla stabilità del testo, ma come elemento indicativo del contesto con il quale il testo stesso interagisce. Questa intuizione si basa su una terza dimensione interpretativa che consiste nelle variazioni che attraversano un testo nel suo farsi e che ne determinano il carattere fondamentalmente mobile e dinamico. La questione, a lungo dibattuta in Italia a partire dalla centralità del metodo storico di Giorgio Pasquali fino alla variantistica di Gianfranco Contini, è stata abilmente riassunta da Cesare Segre negli anni Settanta del secolo scorso, quando con sorprendente anticipo rispetto ad altre tradizioni nazionali sosteneva che «occorre […] capovolgere i rapporti gerarchici tra testo e apparato, dare la maggiore enfasi all’apparato e considerare il testo come una superficie neutra» dato che la funzione critica di un’edizione si esplicita, appunto, nell’apparato: l’elemento «discorsivamente problematico» che «sintetizza il diasistema della tradizione, e […] svolge un vaglio completo, anche se non sempre conclusivo, delle lezioni».

Questa terza dimensione si articola in una serie di strutture difficilmente integrabili dall’edizione scientifica tradizionale, che trovano la loro più diretta rappresentazione nella dimensione visiva e interattiva dell’edizione digitale, dove la rappresentazione non è vincolata da limiti di spazio e dalla fruizione tendenzialmente sequenziale del supporto cartaceo. Le potenzialità della filologia digitale verranno ampiamente discusse nel capitolo successivo, dedicato alla Digital Scholarly Edition. Qui Gabler argomenta la sua idea di edizione digitale: un’edizione strutturata razionalmente, in maniera autonoma rispetto alla sua eventuale versione cartacea e caratterizzata da una prospettiva intertestuale, dialogica, che permette al lettore di esercitare un explorative reading che non sia neutra registrazione del dato riportato. La dimensione visuale dell’edizione digitale permette di porre il testo allo stesso livello dell’apparato, senza che quest’ultimo venga considerato - come purtroppo accade spesso - un’eccedenza, un rassicurante elemento accessorio, quanto piuttosto una componente autonoma e produttiva dell’edizione. Rendere giustizia alla dimensione spaziale dell’avantesto significa, ci dice Gabler, arricchire la lettura della dimensione materiale, stratificata e vitale del testo, facendo dell’edizione un vero e proprio «strumento per organizzare la conoscenza»: una conoscenza non compilativa ma diacronica e interdisciplinare, che ponga il testo continuamente in relazione con il suo contesto. Questa natura relazionale e dialogica dell’edizione digitale trova il proprio fondamento nel concetto di knowledge sites ideato da Shillingsburg e nella sua idea di un’edizione che superi la gerarchia tra i saperi e sviluppi sincronicamente capacità e discipline trasversali.

Gabler non esita a far dialogare il suo lavoro con quello di altri eminenti studiosi e colleghi: dopo aver espressamente basato le sue osservazioni in fatto di Digital Scholarly Edition sulla riflessione teorica di Shillingsburg riguardo al rapporto tra studi testuali e mondo digitale, nel capitolo successivo ci presenta una brillante recensione al fortunato libro di Paul Eggert Securing the Past. Conservation in Art, Architecture and Literature (2009). Qui Gabler insiste sulla natura dinamica e processuale della tradizione e sulla necessità di restituire al lettore un’edizione che aderisca alla variabilità connaturata al testo. Quest’ultima viene posta in relazione diretta, nel capitolo successivo, con il fallimento dell’idea di una intentio auctoris originaria che legittimi la forma del testo da pubblicare. Questo capitolo, che nel titolo (Beyond Author-Centricity in Scholarly Editing) e nei contenuti si afferma come uno dei contributi più significativi della raccolta, affronta un tema con il quale Gabler si è da sempre misurato: il tema dell’autorialità e della sua mancata aderenza a un ideale unico e assoluto. Ancora una volta, dunque, viene messa a fuoco una variabilità di forme e intenti che si impone come principio ontologico del testo, rispetto alla quale è costretta a cedere la nostra esigenza culturale di concepire i testi come elementi stabili, razionalizzabili, tramandabili in una forma canonica e definitiva.

In questa urgenza di stabilità Gabler riconosce la tendenza, propria della nostra epoca, a storicizzare il prodotto culturale: studiarne la discendenza, emendarne gli errori e stabilire, con pretesa scientifica, una forma che idealmente provenga direttamente dalla mano dell’autore. Questo ideale, che è proprio della stemmatica tradizionale, rappresenta tuttavia più una nozione culturale che un dato reale ed è perciò destinato a fallire di fronte alla complessità di certe insorgenze reali come le dinamiche editoriali e legali che spesso caratterizzano, e condizionano, le tradizioni dei testi moderni e determinano la loro complessità. Secondo le considerazioni di Gabler, allora, l’authorial orientation sussiste solo dal momento in cui si instaura una relazione formale tra autore, testo e documento, senza elevare in maniera del tutto arbitraria la persona dell’autore a punto di riferimento assoluto dell’intero lavoro ecdotico. Dallo scandaglio di queste tematiche ricorrenti all’interno della raccolta, è chiaro come Gabler si inserisca in un dibattito più ampio già avviato in Italia da Alfredo Stussi (Fondamenti di critica testuale, 1998) e all’estero dalle applicazioni della variantistica in ambito medievale di Paul Zumthor (Essai de poéthique médiévale, 1972), poi riprese da Jerome J. McGann (A critique of modern textual criticism, 1983). L’itinerario degli studi di Gabler, del resto, rappresenta per la sua stessa natura una tappa fondamentale nel processo di conversione e integrazione tra lo Scholarly Editing anglo-americano, la Editionswissenschaft tedesca e la critique génétique francese e la sua edizione dello Ulysses del 1984 non può che testimoniare praticamente questa innovativa combinazione di diverse tradizioni ecdotiche. Questo aspetto, probabilmente, nell’espressa volontà di trascendere le prerogative nazionali e le barriere linguistico-disciplinari al fine di instaurare, in funzione della pratica ecdotica, un più fecondo e proficuo dialogo tra le stesse, rappresenta uno dei caratteri fondamentali del contributo di Gabler allo stato attuale della ricerca nell’ambito della critica testuale.

In particolare, il riferimento alla Text Genetics è fondante e non retrocede mai in alcuna sezione della raccolta. Nel capitolo nono viene declinato secondo il caso emblematico della drammaturgia del King Lear di Shakespeare, che per la sua natura performativa è intrinsecamente soggetta a scarti e oscillazioni: ogni edizione teatrale, ci dice Gabler, rappresenta una sorta di edizione performativa che si modifica secondo una serie di interventi sul testo di natura collaborativa e contestuale. Il caso di Shakespeare - caso emblematico su cui si è esercitata, come è noto, larga parte della critica testuale anglo-americana - permette dunque all’autore di riconsiderare una dimensione qui per la prima volta espressamente definita come sociale. Il capitolo successivo è interamente dedicato alla definizione metodologica di uno studio genetico dei testi che recuperi la lezione della critica testuale tedesca e quella della critique génétique francese, allo scopo di analizzare razionalmente le stratigrafie di bozze e avantesti e renderle fruibili all’interno dell’edizione. A proposito della restituzione di questi scritti che precedono la stesura definitiva e ne documentano l’elaborazione, Gabler insiste sulle potenzialità del digitale e delle recenti acquisizioni della Text Encoding Initiative (TEI) nel mark-up dei testi letterari al fine di rappresentare la natura visiva, stratigrafica e, potremmo dire, geografica delle varianti e delle revisioni d’autore.

La terza sezione tematica individuata nell’organizzazione del volume è dedicata alla scrittura di Virginia Woolf, altra grande protagonista del modernismo europeo che, insieme a Joyce, giustifica il titolo dell’intera raccolta. L’interesse di Gabler è orientato alla storia compositiva del romanzo To the Lighthouse considerando, in una prospettiva text-centered, le letture e le ri-letture che hanno attraversato il testo e ne hanno condizionato la forma in divenire, tra diversi stadi di revisione e complesse circostanze editoriali. La sfida sembra essere quella di far convivere, nell’ipotesi di edizione scientifica avanzata da Gabler, la fluidità delle revisioni del romanzo con il carattere distintivo delle due diverse edizioni nelle quali si presenta al suo pubblico. L’attenzione è rivolta, in particolare, agli interventi dell’autrice sul testo, tanto consistenti da poter essere definiti come dei veri e propri «auto-palimpsest» passibili, all’interno del processo di «writing, rewriting, overwriting», di una sorta di critica delle varianti (dalla felice formulazione di Contini) che colga, nell’alterazione della lezione promossa a testo dall’autore, il mutare della sua percezione di sé e della propria opera.

L’ultima parte del volume è composta da tre articoli di carattere leggermente diverso dai precedenti: uno studio genetico della Passione di San Matteo di Johann Sebastian Bach; uno studio della pratica ecdotica declinato a partire dal design delle edizioni e dalle tecniche grafiche di presentazione del testo; infine, una riflessione sulla posizione dello Scholarly Editing rispetto alla definizione di un canone culturale. La questione filologica viene dunque affrontata dapprima da un punto di vista prettamente editoriale, con una particolare attenzione alla restituzione delle varianti nel processo di composizione e revisione dell’opera, poi declinata secondo la sua aderenza o meno alla nozione di canone, dalla quale dipende la sua conservazione e trasmissione a vantaggio delle nuove generazioni. La riflessione di Gabler si conclude nella messa a fuoco dei tre soggetti o «coequal partners» che stanno alla base della sua argomentazione e che si definiscono, all’interno di quel territorio plurale e dinamico che è la tradizione di un testo, come funzioni endemiche, attive e vitali: 1) l’autore, culturalmente riconosciuto come entità generativa alla base del testo; 2) il testo, che per la sua natura dinamica e processuale si apre, come si è visto, a contaminazioni e corruzioni tali da impedirne una stabilizzazione definitiva; 3) il documento, il testimone materiale, concepito nella sua forma-libro o nella sua forma-manoscritto.

Conclusioni

L’idea con la quale Gabler chiude il libro - quella di un testo mai monolitico perché sempre soggetto a una mutevolezza sostanziale dalla quale nessuna tradizione è immune - non vuole relegare l’applicazione della critica genetica al vizio intellettuale del filologo, quanto piuttosto riconoscere in questo metodo uno strumento fondamentale per quella storicizzazione che è indispensabile alla conservazione del prodotto culturale. È evidente come ricorrano, sfogliando il volume, una serie di temi (la primacy of the document, le questioni testuali e ecdotiche, l’attenzione alla variabilità e alla vitalità dei testi e la loro rappresentazione elettronica) che testimoniano, una volta chiusa la quarta di copertina, un indice di coerenza e di continuità che rappresenta il vero valore aggiunto di questo libro.

Le perplessità che potrebbero emergere dalla lettura si riferiscono a quegli aspetti che, in una riflessione sull’ecdotica e sulla critica genetica del testo, non hanno forse goduto della dovuta attenzione da parte dell’autore: mi riferisco, in particolare, a quella dimensione sociale, storica, culturale e politica nella quale è calato il testo nel suo farsi, e di conseguenza ai soggetti ulteriori che, al di là dell’autore e della sua autorevolezza empirica, influiscono sullo stato del testo stesso. Il mancato riconoscimento delle possibili entità orbitanti attorno alla definizione classica di intentio auctoris si accompagna al mancato riconoscimento della prospettiva del lettore e della sua consapevolezza testuale, a vantaggio della legittimazione della sola responsabilità dell’editore, che viene posta da Gabler al centro della sua riflessione. Il testo, inteso sia come prodotto che come processo, viene generalmente sottoposto comunque a una disamina accurata dal punto di vista dello studio delle varianti, che include l’aspetto diacronico e sincronico, organizzando attorno a questi due poli opposti la propria argomentazione. La messa in atto del metodo rende quindi questa pubblicazione non solo un’importante testimonianza dell’itinerario degli interessi e degli interrogativi del suo autore, ma anche un’efficace sintesi delle prospettive di applicazione dello studio genetico ai diversi campi del sapere (dall’editing tradizionale al digitale, dalla drammaturgia di Shakespeare ai romanzi modernisti del Novecento, passando per Bach e Milton, fino agli studi visuali e al design). Il valore sostanziale della raccolta consiste proprio in questa propensione alla molteplicità delle prospettive adottate e alla facilità con la quale vengono messe in dialogo tra loro, a testimonianza di un impegno e di una curiosità intellettuale che non si esauriscono nella sola applicazione di una metodologia.

References

  1. Gabler, H. W. 2007. “The Primacy of the Document in Editing.Ecdotica 4.

  2. Gabler, H. W. 2018. Text Genetics in Literary Modernism and Other Essays. OpenBook Publishers, p. 136.

  3. Segre, C. 1978. “La critica testuale.” In XVI Congresso Internazionale di Linguistica e Filologia romanza, Napoli, 15-20 Aprile 1974, Vol. I, Napoli-Amsterdam: Macchiaroli-Benjamins, p. 497.

  4. Shillingsburg, P. L. 2006. From Gutenberg to Google. Cambridge: Cambridge University Press.

.

.

.

.

, 276.

, 381.