Abstract

This issue of the journal presents a selection of the papers given at the AIUCD2017 Conference (12-18 January 2017, Sapienza University of Roma), whose theme was The Reverse Telescope: Big Data and Distant Reading in the Humanities. The numerous and high-quality talks presented at the conference have given an important contribution to the reflection on the epistemological and methodological impact of those methodologies in the various fields of the Humanities. The selection of articles derived from the conference papers here published is enriched by an important theoretical article by Mike Kestemont and Luc Herman entitled Can Machines read Literature? This selection testify the overall thematic variety and depth of elaboration that characterizes the scientific community gathered around AIUCD.

Questo numero della rivista ospita una selezione dei contributi presentati alla conferenza AIUCD 2017 (Università Sapienza di Roma, 24 -28 gennaio 2017), il cui tema era Il telescopio inverso: big data e distant reading nelle discipline umanistiche. I numerosi e qualificati interventi forniti durante le giornate del convegno hanno fornito importanti contributi di riflessione sull’impatto metodologico ed epistemologico di queste metodologie e sulle loro applicazioni nei diversi ambiti del sapere umanistico (letterario, storico, artistico, archeologico, filosofico). Il presente fascicolo offre una selezione di articoli elaborati a partire dalle presentazioni al convegno, arricchisce da un importante lavoro di carattere teorico dal titolo Can Machines read Literature?, scritto da Mike Kestemont e Luc Herman. Questa selezione testimonia la molteplicità, ricchezza tematica e profondità di elaborazione che caratterizza la comunità di studi che si raccoglie introno alla AIUCD.

Introduzione

Questo quinto numero della rivista Umanistica Digitale ospita una selezione dei contributi presentati alla conferenza AIUCD 2017, la sesta della serie di conferenza annuali organizzate dall’Associazione per l’Informatica Umanistica e la Cultura Digitale, che si è tenuta presso l’Università Sapienza di Roma dal 24 al 28 gennaio 2017. Si è trattato di una edizione caratterizzata da una forte proiezione internazionale, testimoniata dalla cooperazione nella sua organizzazione con il network della International Training Network Marie Curie DiXiT (http://dixit.uni-koeln.de/) e con la European Association of Digital Humanities (EADH, http://www.eadh.org).

Frutto della prima collaborazione è stato il workshop The educational and social impact of Digital Scholarly Edition, dedicato alle applicazioni educative e all'impatto sociale delle edizioni scientifiche digitali. Gli interventi in programma (http://aiucd2017.aiucd.it/?page_id=1190) hanno mostrato come l'uso delle tecnologie digitali nell'insegnamento fornisca un valore aggiunto alla didattica delle scienze del testo - favorendo un attivo coinvolgimento degli studenti nella attività di ricerca - e soprattutto come i risultati e i metodi della ricerca filologica digitale non possano essere considerati separatamente dal più generale contesto culturale e sociale. In questo senso, la produzione e fruizione delle edizioni scientifiche digitali possono svolgere un ruolo rilevante per il public engagement, o come si usa dire in contesto italiano, per lo svolgimento delle attività di terza missione da parte delle discipline umanistiche.

La collaborazione con l’EADH ha portato alla organizzazione del terzo European Association for the Digital Humanities Symposium (EADH Day), un evento che l’associazione europea ha promosso al fine di stringere i legami scientifici con le varie associazioni nazionali di Informatica umanistica con cui ha stabilito rapporti di cooperazione formali, come AIUCD, e di valorizzare i contributi dei giovani ricercatori in un orizzonte europeo. Il tema dell’incontro è stato Diversity, multiculturalism and theoretical foundations of DH: how big can the tent be?, un ambito di discussione che ha dominato il dibattito globale delle Digital Humanities negli anni più recenti, poiché fortemente connesso al problema della natura e dei confini disciplinari di questo campo di studi.

Per quanto riguarda la conferenza AIUCD vera e propria, il tema guida della edizione 2017 è stato: Il telescopio inverso: big data e distant reading nelle discipline umanistiche. Si è trattato della prima occasione di riflessione scientifica su larga scala in Italia sull’uso dei cosiddetti Big data e sui metodi della cultural analytics e del distant reading nelle discipline umanistiche. I numerosi e qualificati interventi presentati durante le giornate del convegno hanno fornito importanti contributi di riflessione sull’impatto metodologico ed epistemologico di queste metodologie; sulle loro applicazioni nei diversi ambiti del sapere umanistico (letterario, storico, artistico, archeologico, filosofico) e nelle diverse tipologie di media e risorse digitali; sui loro effetti nella comprensione dei fenomeni culturali e storici; e, da ultimo ma non ultimo, sulle loro conseguenze e ricadute nella considerazione sociale e pubblica delle scienze umane. La ricchezza, varietà e profondità dei contributi e del dibattito di questa conferenza è testimoniata dal volume AIUCD2017 - Book of Abstracts (a cura di Ciotti, Fabio e Crupi, Gianfranco. Firenze: AIUCD, p. 246. ISBN: 978-88-942535-1-1. DOI 10.6092/unibo/amsacta/5885).

Il presente fascicolo offre una più ristretta raccolta di articoli scientifici elaborati a partire dalle presentazioni al convegno e selezionati tramite peer review. Apre e arricchisce la selezione un importante articolo che non deriva propriamente da un contributo presentato al convegno: Can Machines read Literature?, scritto da due autorevoli studiosi dell’università di Antwerpen, Mike Kestemont e Luc Herman. Si tratta di un lavoro di carattere teorico che si concentra sul rapporto metodologico tra distant reading e altri due concetti a esso connessi, il close e il surface reading. La tesi proposta dall’articolo è che il distant reading è strettamente legato al machine reading (inteso come sottocampo dell'intelligenza artificiale) e che gli studi letterari computazionali possono trarre un notevole contributo metodologico da una teoria dei processi naturali della lettura ridefinita nel contesto di questo innovativo framework teorico computazionale.

Segue The Index Thomisticus as a Big Data Project, di Geoffrey Rockwell e Marco Passarotti, che ripercorre e la storia del progetto fondazionale delle Digital Humanities, e lo reinterpreta alla luce dei recenti sviluppi metodologici, ponendo particolare attenzione ai problemi legati alle infrastrutture della ricerca.

An open problem in computational stemmatology - a model for contamination, di Armin Hoenen, esamina il problema della contaminazione delle tradizioni testuali nella stemmatologia computazionale. L’articolo presenta un modello teorico a grafo per la rappresentazione formale di tradizioni caratterizzate da un elevato grado di contaminazione, mantenendo l'ordine temporale e fornendo una formula per la deduzione di possibili scenari derivazionali.

Un’Analisi Multidimensionale della Ricerca Italiana nel Campo delle Digital Humanities e della Linguistica Computazionale, di Rachele Sprugnoli, Gabriella Pardelli, Federico Boschetti e Riccardo Del Gratta, propone un interessante studio meta-disciplinare che analizza in modo comparativo i contributi proposti nell’arco di quattro anni a varie conferenze italiane nei campi delle Digital Humanities e della Linguistica Computazionale. Attraverso l’uso di metodi di indagine sia qualitativi sia quantitativi, questo lavoro individua come tali due ambiti di ricerca, che storicamente hanno sorgenti comuni, siano caratterizzate da forti elementi di convergenza ma anche da importanti differenziazioni sia nei metodi sia negli obiettivi della ricerca.

Propone una indagine meta-disciplinare anche il lavoro di Sytze Van Herck Visualizing Gender Balance in Conferences. Questo articolo da una parte analizza la distribuzione di genere degli autori/autrici di contributi presentati a diverse conferenze internazionali di Informatica, evidenziandone il gender-gap; dall’altra riflette sul ruolo epistemologico dei metodi di visualizzazione dei dati, e sui percoli di una loro ingenua utilizzazione a fini esplicativi.

Ci spostiamo nel campo del Digital Cultural Heritage con L’impatto culturale e sociale dei dati archeologici nella tutela e valorizzazione del paesaggio storico. Un case study: il XV Municipio di Roma, di Margherita Bartoli. Questo contributo propone una riflessione sugli aspetti metodologici implicati dalla raccolta e della gestione di documentazione fotografica, archivistica e bibliografica in ambito archeologico, a partire da uno specifico caso di studio: un progetto di gestione della documentazione relativa a diversi siti archeologici collocati nel territorio del XV Municipio di Roma.

Chiude la selezione l’articolo di Nicola Barbuti, Ripensare i formati, ripensare i metadati: prove tecniche di conservazione digitale, che si misura su un tema di grande importanza: la considerazione dei dati digitali come entità culturali autonome, come prodotto e retaggio culturale della società digitale, e non più e solo quali strumenti di supporto per la gestione amministrativa del patrimonio, o come mere surroghe virtuali del patrimonio culturale analogico. Ne consegue la necessità di una ridefinizione strutturale dei metadati per il digitale nativo, finalizzata a conferirgli la funzione di fonti primarie cui le generazioni future potranno accedere per leggere, studiare, condividere e riusare il patrimonio digitale del nostro presente.

Mi pare di poter dire che questi lavori, pur se numericamente ridotti rispetto alle oltre cento relazioni ascoltate al convegno che ho avuto l’onore di coordinare dal punto di vista scientifico, siano in grado di testimoniare la molteplicità, ricchezza tematica e profondità di elaborazione che caratterizza la comunità di studi che si raccoglie intorno alla AIUCD, una comunità che è ovviamente radicata nel panorama accademico e scientifico del nostro paese, ma che ha ormai una forte interazione con la scena globale delle Digital Humanities. Anzi, proprio in questa proiezione globale e multiculturale - che la conferenza del 2017 ha così ben rappresentato - si misura il livello scientifico e la credibilità della comunità degli studi italiani di Informatica umanistica, che invece hanno trovato molti più ostacoli per ottenere un adeguato riconoscimento istituzionale nel panorama accademico nazionale. Oggi, a distanza di due anni da quell’evento, mi sento di poter dire che, proprio a partire da AIUCD 2017, si è data una inversione di tendenza anche in questo ambito: questo numero di Umanistica Digitale mostra, almeno in parte, le ragioni di tale successo.